SELF-HELP E PSICOLOGIA   |   Tempo di Lettura: 6 min

Anteprima del libro "Ma Chi Ti Credi di Essere?" di Tiberio Faraci

Anteprima del libro "Ma Chi Ti Credi di Essere?" di Tiberio Faraci

Qualunque cosa pensi... sei molto di più.

La lotta non è una componente imprescindibile dalla conquista

«Nessuno è separato da nessuno. Nessuno lotta per se stesso. Tutto è uno. L'angoscia e il dolore, il piacere e la morte non sono altro che un processo per esistere».
F. Kahlo

Riuscire a neutralizzare il bisogno di lotta che abbiamo, specialmente quella sorta di “necessità di conquista a qualsiasi costo” che esiste in noi uomini, contribuirebbe al raggiungimento immediato della pace, vale a dire di quella serenità di cui tanto parliamo e che in assoluto mi viene richiesta per prima dai miei clienti quando domando loro: “Che cosa vorresti raggiungere con il lavoro che faremo?”.

“Pace nella nostra coppia”, se stiamo vivendo una situazione affettiva instabile. “Nella nostra famiglia”, dove quasi sempre ci sono dinamiche quantomeno migliorabili. “Nelle nostre relazioni interpersonali”, dove quasi mai ci collochiamo in modo totalmente tranquillo. E infine perché no, “a livello globale”!

Avere diritto di cittadinanza in un mondo fatto di pace! Ti piacerebbe avere un passaporto di questo tipo?

Che bella soddisfazione! Smetti allora di lottare!

“Il lottatore Tiberio (scrivi il tuo nome al posto del mio), annulla tutti i combattimenti in programma!”.

E lo faremo, intanto, fino alla fine dell’anno; poi si vedrà... E se mentre stai leggendo la fine dell’anno è prossima, allora afferma che li annullerai per un anno a partire da ora. Il tuo Ego, il tuo procuratore di incontri di lotta, sarà molto contrariato e all’inizio ti minaccerà. Se poi confermerai la tua volontà di smettere definitivamente di combattere, proverà a convincerti con parole di questo tipo: «È un vero peccato che tu voglia rinunciare a combattere proprio ora che stavo per organizzarti "il combattimento ” per antonomasia, quello vero. Il più importante, quello decisivo per affermare la tua imbattibilità! Quello dell’apoteosi, il preludio del tuo successo! Quello determinante, che avrebbe dato una svolta definitiva al tuo futuro! Un vero peccato che, proprio ora, tu voglia reprimere il tuo talento innato, il tuo istinto naturale al combattimento...».

Non ci cascare! Questa è la tua parte oscura, l’unica che possa davvero guadagnare qualcosa da questi incontri di lotta! La lotta, la difficoltà implicano sempre il dolore, tuo o degli altri. Se c’è una lotta, qualcuno vince e qualcuno perde. Prova a riflettere: tutto quello che trattiamo, ogni acquisizione, ogni esperienza, ogni competenza, può in seguito essere riproposto ad altri ed essere rivenduto come tutto ciò che acquistiamo. Normalmente, quando si compra qualcosa, una parte di quel valore, se lo volessimo, se ne avessimo bisogno, potrebbe esserci in seguito riconosciuta, restituendo o rimettendo in vendita quanto acquistato.

Tutto o quasi può essere ceduto a qualcun altro interessato a comprarlo.

A questo concetto si oppone un’unica eccezione, quella rappresentata dal dolore. Il dolore non trova mercato in alcun Paese del mondo! Nessuno sarebbe disponibile ad acquistarne. Normalmente la gente se ne tiene alla larga il più possibile, e non c’è qualcuno a cui possa interessare; nessuno lo comprerebbe, nessuno acquisterebbe il dolore che provi, quindi nessuno si farebbe mai carico di un qualcosa che, quando agisce, lascia dietro di sé soltanto rovine e devastazione.

Solo i masochisti sono disposti a pagare per ottenere dolore, ma neanche ad essi interessa il dolore degli altri, poiché a loro preme attrarre soltanto il proprio. Non c’è nessuno che si offra per soffrire al posto di qualcun altro e, anche se molti genitori lo farebbero molto volentieri, non è possibile farlo, se non sostituendosi ai figli eseguendo per loro compiti non piacevoli, onerosi o sacrificanti. Per di più, oltre a non essere interessante attirarne, dopo averlo neutralizzato, una volta vinto, esso scompare. Infatti, il dolore trascende il suo valore almeno due volte: in primis, chiunque pagherebbe moltissimo per non averlo, per neutralizzarlo, e in seguito, una volta tolto, il suo investimento non troverebbe più alcun valore di collocazione, più nessun compratore, quindi come potrebbe interessare a qualcuno? Eppure, anche nel caso che ci trovassimo tutti d’accordo su quanto affermato, ciò nonostante, sicuramente, salterebbero fuori numerose persone amanti delle difficoltà e del conflitto, situazioni dalle quali conseguono spesso risultati di delusione, preoccupazione e frustrazione, come se non ne potessero fare a meno. Così, quasi incessantemente, senza rendercene conto, avanziamo remando in direzione di questi tre avamposti del dolore. In particolare, la delusione ne rappresenta la componente principale. Il dolore è composto da tante tristezze non risolte in precedenza e, a loro volta, queste sovrapposizioni virano nella delusione. Tristezza più tristezza più tristezza uguale dolore. Delusione più delusione più delusione uguale stallo, blocco!

Ma è vero che è così inutile? Certamente non ci lascia mai come eravamo prima. E potremmo restare delusi anche per sempre, mentre se volessimo uscirne avremmo un’unica porta da varcare: quella del credere che si possa ancora conseguire quel qualcosa che fino ad ora non siamo riusciti a realizzare.

Il dolore trova nella non considerazione un catalizzatore importante. Talvolta basterebbe un abbraccio per scioglierlo, un sorriso, una richiesta di scuse. E qualora non arrivasse nulla da parte di chi ci ha procurato sofferenza? Quello che non ha funzionato nel passato andrebbe possibilmente sempre lasciato andare, ovvero perdonato. Ma occorre anche dire che, tal voi La lotta non è una componente imprescindibile dalla conquista.

ta, da ciò che un tempo non ha funzionato sono arrivate nella nostra esistenza pure cose di inestimabile valore. Questo avviene sempre in successione al perdono che permette di lavare ciò che è accaduto, preservando quello che di buono resta. Quindi oggi noi sceglieremo di lasciare andare solo quello che non ha funzionato, ma manterremo i frutti positivi che ne sono conseguiti.

In seguito, tutto quello che avrà comportato vantaggi, lo investiremo insieme a quel capitale!

Gli orientali dicono che “il dolore è il miglior Maestro”, noi invece consideriamo il dolore un esame da affrontare, se capita. Una prova da superare.

Non guardarlo negli occhi vorrebbe dire non presentarsi a un test valutativo dopo aver studiato tanto, dopo essersi preparati alla grande.

E se lo facessimo saremmo giudicati non classificabili e non potremmo fare quel salto di qualità per il quale ci ritenevamo pronti. Questo non significa che l’esperienza del dolore sia apprezzabile, ma è evidente e innegabile che spesso siamo proprio noi - o una parte di noi - a richiederla, per avere così la possibilità di farci del male da soli, per fare in modo che proprio quella prova a cui tenevamo tanto non venga superata (“Non era proprio giornata”, “Stavo di un male...”). Invece la consapevolezza odierna ci insegna che la lotta non va più presa in considerazione. Vogliamo vivere ora!

Tiberio Faraci

Data di Pubblicazione: 2 ottobre 2017

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