SELF-HELP E PSICOLOGIA   |   Tempo di Lettura: 8 min

Il Counseling Corporeo - Anteprima del libro di Omar Montecchiani e Francesco Ruiz

Quanti tipi di counseling esistono?

Quanti tipi di counseling esistono?

Nel 2013 Assocounseling definisce trentatré specializzazioni diverse rispetto alle possibili applicazioni della professione: counseling di coppia, counseling di gruppo, counseling educativo, counseling comunitario, counseling di fine vita, counseling familiare, counseling espressivo/artistico, counseling grafologico, counseling filosofico, counseling interculturale, counseling infermieristico, counseling nelle dipendenze, counseling ospedaliero, counseling intergenerazionale, counseling medico, counseling pedagogico, counseling pastorale, counseling per il sostegno nelle malattie, counseling per la disabilità, counseling per la balbuzie, counseling per forientamento scolastico, counseling per l’orientamento professionale, counseling sessuologico, counseling psicologico, counseling scolastico, counseling socio-assistenziale, counseling socio-sanitario, counseling telefonico, counseling on line, counseling socio-lavorativo, eco-counseling.

Va da sé che in questo capitolo, vista la gran mole di percorsi formativi possibili, tracceremo brevemente solo alcuni modelli di counseling tra i più diffusi, definendoli a partire dagli elementi teorici fondamentali e fornendo alcune indicazioni generali relative alle tecniche applicate per ogni approccio.

Counseling umanistico-esistenziale

Il counseling umanistico-esistenziale può essere identificato con il counseling centrato sulla persona di Carl Rogers, uno dei padri fondatori della psicologia umanistica.

I principi fondamentali dell’approccio centrato sulla persona sono l’autorealizzazione del soggetto, la responsabilità e la libertà dell’individuo, il valore assoluto di ogni vita, la possibilità di cambiamento da parte di ognuno, la focalizzazione sulle emozioni e sull’esperienza rispetto alle interpretazioni e ai pensieri.

Secondo questa prospettiva, l’uomo ha già dentro di sé le risorse e le potenzialità per sviluppare la cosiddetta tendenza attualizzante, e cioè quella forza innata presente in ogni organismo, capace di prendere dall’ambiente ciò che gli serve per realizzare psicologicamente e fisicamente la sua esistenza. La tendenza attualizzante non è semplicemente l’istinto di sopravvivenza che prende forma dai bisogni istintuali biologici dell’organismo, per far sì che esso possa sopravvivere di fronte a qualunque condizione avversa. La vita biologica insomma. Qui si intende una spinta all’autorealizzazione delle proprie capacità peculiari, dei propri talenti, risorse, potenzialità intrinseche specifiche e personali, al di là del contesto in cui ci si ritrova a vivere. In questo senso si parla di realizzazione sociale, relazionale, affettiva, professionale, intellettuale, che tende a concretizzarsi qualunque sia la dimensione umana già data.

Se questa tendenza viene bloccata per via di cause esterne o interne, l’organismo si ritrova a vivere una serie di blocchi rispetto al suo sviluppo, che possono ostacolarne la crescita e una sana evoluzione. È possibile quindi che la naturale tendenza all’autorealizzazione possa essere stata inibita o bloccata in virtù di esperienze traumatiche o impossibilitanti da parte della persona. Compito del counselor è allora quello di ristabilire le migliori condizioni possibili affinché questo flusso interrotto riprenda il suo corso, e l’individuo possa in questo modo riaccordarsi alle proprie capacità di autonomia e autosviluppo.

Le condizioni a cui mi riferisco riguardano ovviamente la relazione, intesa come contenitore della persona, di riconoscimento di sé, e quindi come luogo di trasformazione. Il counselor deve dunque avere determinate competenze relazionali: deve saper gestire il suo saper essere, oltre a delle tecniche specifiche necessarie per agevolare, all’interno della relazione, le capacità di autodeterminazione del cliente.

I tre principi fondamentali dell’ascolto attivo di Rogers sono l’empatia, l’accettazione incondizionata (o considerazione positiva) e la congruenza.

Il counselor deve avere un atteggiamento empatico nei confronti della persona: sentire ciò che sente l’altro e vedere ciò che l’altro vede dal suo stesso sistema di riferimento. In questo modo, il cliente si sente compreso, considerato e agevolato nella chiarificazione dei suoi vissuti e delle sue esperienze poiché l’altro, il counselor, riesce a capirlo per come lui stesso si comprende: viene evitata (o limitata) qualsiasi interpretazione da parte del professionista della relazione di aiuto. L’interpretazione potrebbe creare uno sfasamento tra la modalità di vivere la propria esperienza da parte del cliente, e il modo di percepire questa stessa esperienza da parte del counselor, facendo sì che la persona non si senta compresa e accettata fino in fondo.

Nell’eventualità in cui il counselor dovesse porsi in una posizione up, il cliente perderebbe il punto di vista di ciò che gli accade, facendo affidamento unicamente su un presunto detentore di verità assoluta, se così vogliamo chiamarlo. In quest’ottica il counselor incarna la figura del sapiente che dall’alto distribuisce il suo sapere incondizionato. Ma questo non è il principio del counseling. Poiché il counseling parte dal presupposto che la persona sa già, potenzialmente, ciò di cui ha bisogno: è solo che il flusso organismico che avrebbe potuto farla accedere alle sue risorse si è temporaneamente bloccato.

L’accettazione incondizionata si riferisce al fatto che il counselor sospende ogni atteggiamento valutativo, ogni giudizio, ogni interpretazione, per far sì che l’altro possa sentirsi in diritto di esprimere liberamente se stesso, le sue idee, i suoi sentimenti e le sue emozioni, per come si sente e per come crede. È la capacità di accettare l’altro per quello che semplicemente è. Significa riconoscere il suo valore come persona, senza per questo essere d’accordo con i suoi comportamenti e convinzioni.

La congruenza invece, o autenticità, fa riferimento alla coerenza e alla trasparenza del counselor nel momento in cui si rapporta al cliente. Questo significa che il counselor può comunicare alla persona che ha di fronte ciò che prova per lui, se lo ritiene necessario e opportuno per il bene del cliente, secondo un’autorivelazione capace di agevolare il processo di cambiamento. L’apertura personale del professionista induce in modo naturale un’apertura nella persona che interloquisce con lui.

Il counselor non può dire una cosa e al tempo stesso esprimerne un’altra attraverso il corpo, perché lascerebbe passare dei messaggi contraddittori al cliente, rendendolo confuso e generando in lui una mancanza di fiducia nei suoi confronti. La fiducia invece è la base fondamentale della relazione tra counselor e cliente, perché è attraverso di essa che le persone acquistano il coraggio di contattare parti di sé nascoste o addirittura bloccate.

La tecnica fondamentale del counseling umanistico esistenziale, o centrato sul cliente, è quella della riformulazione, la quale rientra nella griglia generale del cosiddetto ascolto attivo. Il counselor ripete al cliente, possibilmente con le sue stesse parole, ciò che questi gli sta dicendo, secondo diverse modalità e livelli di complessità sempre maggiori. Si passa dalla semplice riformulazione eco (il ripetere le ultime parole della persona, inducendola a continuare nel discorso), alla riformulazione riepilogo (nella quale il counselor sintetizza gli argomenti fonda-mentali e i contenuti significativi, anche di una intera seduta). Nella riformulazione emotiva vengono sottolineati i contenuti emotivi della comunicazione, così da agevolare una chiarificazione e un approfondimento di questa dimensione specifica.

Cliente: “Questa situazione mi sta appesantendo, mi sento arrabbiato con la mia ragazza perché sento di non essere libero di fare ciò che voglio quando sono con lei”. Counselor: “Mi sta dicendo che quando si trova con la sua ragazza lei si sente oppresso, prova rabbia per il fatto di non sentirsi libero di esprimersi”. Il counselor umanistico esistenziale può procedere anche a una serie di domande, a partire dalle quali può fissare determinati punti, riportare il cliente a una certa concretezza, chiarire, ottenere maggiori informazioni e approfondire il discorso, agevolandolo nell’esplorazione. Le domande possono essere aperte, chiuse, semichiuse, interlocutorie, ecc. Counselor: “Come si sente in questo momento? Che cosa le piace del suo lavoro?” (Domande aperte). Cliente: “Quando mi trovo in mezzo agli altri, spesso mi sento solo”. Counselor: “In che modo lo stare in mezzo agli altri la fa sentire solo? Che cosa intende per sentirsi solo? Può dirmi quando si è sentito solo recentemente, in quale occasione?” (Domande di approfondimento).

Questo testo è estratto dal libro "Il Counseling Corporeo".

Data di Pubblicazione: 1 ottobre 2017

Ti è piaciuto questo articolo? Rimani in contatto con noi!

Procedendo con l'invio dei dati:

Lascia un commento su questo articolo

Caricamento in Corso...