ALIMENTAZIONE   |   Tempo di Lettura: 7 min

La Dieta della Longevità - Anteprima del libro di Valter Longo

La fontana di Caruso

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Ritorno a Molochio

Risalendo verso nord dall’estremità meridionale della Calabria, la punta dello Stivale, si raggiungono in un’ora d’auto Gioia Tauro e una delle zone più povere, ma più belle e intatte, d’Europa. Da lì si sale verso la montagna per un’altra trentina di chilometri fino al paese di Molochio, nome che molto probabilmente discende dalla parola «malocchio». Lì, nella piazza principale, c’è una fontana da cui si beve l’acqua gelida che attraverso il sottosuolo giunge direttamente dalle montagne dell’Aspromonte.

Nel 1972, all’età di 5 anni, trascorsi 6 mesi a Molochio insieme a mia madre Angelina, tornata al paese per assistere il padre gravemente malato.

Ricordo che a un certo punto, mentre tutti lo chiamavano per capire se fosse ancora vivo, entrai nella sua stanza e dissi: « Non vedete che è morto? » Se n’era andato a seguito di un’infiammazione non particolarmente grave e quindi curabile, ma che purtroppo era stata lungamente trascurata. Volevo molto bene a mio nonno ed ero terribilmente triste; ma avevo deciso che dovevo farmi carico della situazione e non piangere, per far sapere a tutti che nonno Alfonso era morto.

Solo 15 anni dopo mi sarei reso conto di quanto profonda fosse la traccia lasciata da quella vicenda: al punto da alimentare in me la passione di far vivere chiunque, anche gli estranei, il più a lungo e più sani possibile.

A un centinaio di metri dalla casa del nonno viveva Salvatore Caruso, che aveva suppergiù la sua età e mi aveva visto crescere. 40 anni dopo, Salvatore e io saremmo apparsi insieme sul numero della prestigiosa rivista scientifica americana Cell Metabolism in cui si pubblicavano i risultati di una mia ricerca: a un’alimentazione a basso contenuto di proteine simile a quella in uso presso i centenari di Molochio corrisponde una minore incidenza di tumori e, in generale, una vita più lunga. In copertina, Salvatore ritratto con gli ulivi calabresi della varietà « ottobratico » sullo sfondo. Probabilmente anche il Presidente Obama ha saputo di Salvatore e della sua alimentazione « low protein » quando quella fotografia è stata ripresa dal Washington Post e dai media di tutto il mondo.

42 anni dopo la morte di mio nonno, Salvatore era l’uomo più anziano d’Italia e uno dei quattro ultracentenari che fanno del paese natale dei miei genitori e dei miei nonni uno dei luoghi con il più alto tasso di centenari al mondo (4 centenari su 2.000 abitanti, il triplo di quello di Okinawa, considerato il più alto al mondo per un’area di vaste dimensioni). Salvatore Caruso, che è morto nel 2015 a 110 anni, aveva iniziato a bere dalla fontana nella piazza di Molochio poco dopo la nascita, nel 1905. Data l’eccezionale longevità dell’anziano più anziano d’Italia, ho sempre pensato che quella fontana sia quanto di più simile alla fonte della giovinezza a cui chiunque di noi potrebbe attingere.

Mi ha sempre angosciato pensare che probabilmente sarebbero bastate una corretta informazione e le cure adatte per non rivare mio nonno di parecchi decenni di vita, durante i quali mia madre e tutto il resto della famiglia avrebbero potuto godere ancora della sua compagnia.

In un documentario realizzato dalla televisione franco-tedesca ARTE dedicato alle mie ricerche in Ecuador e in Calabria, Sylvie Gilman e Thierry de Lestrade mi hanno paragonato all’Alchimista di Coelho, descrivendomi come il ragazzo che, partito da un piccolo paese europeo, ha girato il mondo alla ricerca della fonte della giovinezza, finendo per trovarla proprio nel piccolo paese di cui sono originari i suoi genitori e dove, da bambino e ragazzo, trascorreva le vacanze estive.

Dalla tradizione alla scienza

Per forza o per destino, la mia vita è sempre stata molto interessante dal punto di vista del nesso nutrizione-salute: a partire dallo stile alimentare altamente salutare di Molochio, passando per quello relativamente salutare della Liguria, dove sono cresciuto, proseguendo in negativo a Chicago e Dallas, per ritornare infine ai cibi salutari nella mecca della nutrizione per la longevità: Los Angeles. Questo viaggio e i suoi correlati alimentari, che abbracciano tutta la gamma dell’alimentazione dal pessimo all’ottimo, sono stati determinanti per la formulazione delle mie ipotesi sul rapporto tra cibo, malattie e longevità e per farmi comprendere molto presto che per vivere a lungo e in buona salute dobbiamo imparare in egual misura dalle popolazioni longeve e dalla scienza, con le sue ricerche in campo epidemiologico e clinico.

Quasi ogni mattina, durante le estati trascorse a Molochio negli anni Settanta, a turno io, mio fratello Claudio e mia sorella Patrizia andavamo dal panettiere a comprare il pane, ancora caldo di forno. Era il pane più buono che io abbia mai mangiato, di frumento integrale, scurissimo. Anno dopo anno è diventato sempre più bianco, e putroppo oggi non è diverso dal pane che si trova ovunque.

Almeno un giorno sì e uno no, a pranzo o a cena mangiavamo « pasta e vaianeia », cioè una porzione relativamente piccola di pasta accompagnata da una gran quantità di verdure, in particolare fagiolini. Un altro piatto che mangiavamo spesso era lo stoccafisso con contorno di verdure. Cerano poi le olive nere, l’olio d’oliva e grandi quantità di pomodori, cetrioli e peperoni verdi. Solo la domenica il piatto forte erano i maccheroni fatti in casa con salsa di pomodoro e sì, polpette di carne, ma massimo 2 per persona. Bevevamo perlopiù acqua (sorgiva, dalle montagne circostanti), il vino locale, tè, caffè e latte di mandorle. Il latte della colazione era spesso di capra e fuori pasto ci veniva difficilmente concesso di mangiare qualcosa che non fossero arachidi, mandorle, nocciole e noci, uva passa o fresca e pannocchie di mais arrosto. Si cenava perlopiù attorno alle otto di sera e da quel momento in poi non si mangiava più fino alla mattina successiva.

I dolci che accompagnavano la celebrazione delle feste religiose erano fatti di frutta secca o a guscio, e al gelato preferivamo la granita che andavamo a gustare nella vicina Taurianova, a 9 chilometri di distanza. Era una granita alla fragola, fatta con la frutta fresca, che per me era e resta il dolce più buono del mondo, anche se contiene moltissimo zucchero.

Oggi non solo il pane, ma anche il companatico dei molochiesi è drasticamente cambiato. Al posto dei fagiolini si mangia molta più pasta e carne, le olive e la frutta secca sono state sostituite dai dolciumi e l’acqua e il latte di mandorle dalle bibite ricche di fruttosio. La maggior parte dei piatti di un tempo si trovano ancora, ma la gente ha abbracciato uno stile alimentare più nordeuropeo, in cui sono presenti maggiori quantità di formaggio, carne e zuccheri semplici. Da piccoli giravamo per Molochio esclusivamente a piedi; l’auto si usava solo per raggiungere altri paesi o le città. Oggi si è quasi del tutto persa l’abitudine di camminare, e se percorrete a piedi il tragitto dal Monastero al centro del paese - appena 800 metri - è probabile che qualcuno si fermi a chiedervi se avete bisogno di un passaggio. In tema di cibo e di attività fisica, negli Stati Uniti sono accadute praticamente le stesse cose, solo molto prima che in Italia: quando mi trasferii là, nel 1984, erano ormai cose scontate.

Questo testo è estratto dal libro "La Dieta della Longevità".

Data di Pubblicazione: 2 ottobre 2017

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