SELF-HELP E PSICOLOGIA   |   Tempo di Lettura: 10 min

Due Ore al Top - Anteprima del libro di Josh Davis

Strategia 1 - Riconoscere i punti decisionali

Strategia 1 - Riconoscere i punti decisionali

Una delle mansioni di Doug, in quanto consulente per la pianificazione strategica, è la redazione di un’analisi mensile sugli ultimi sviluppi nel settore delle tecnologie pulite. È un compito che a Doug piace molto, perché gli consente di dare spazio alla propria creatività e di approfondire un argomento che lo affascina.

Un giorno, mentre sta preparando una di queste relazioni, entra in una specie di trance e comincia a non pensare più a niente, all’infuori dello schermo del computer davanti a sé e il rumore dei tasti mentre scrive. Tuttavia, l’incantesimo si spezza nell'attimo in cui gli cade l’occhio sull’orologio sulla scrivania: purtroppo è già tarda mattinata e avverte una fìtta allo stomaco, quando si rende conto a malincuore che dovrebbe smettere di scrivere (benché voglia continuare) e rispondere piuttosto a una mail che ha ricevuto giorni prima da un collega, il quale ha bisogno di ricevere da lui dei dati per redigere il bilancio preventivo del loro dipartimento.

Così, in preda all’ansia, Doug apre la casella di posta, deciso a rispondere al collega, ma ad attenderlo ci sono una dozzina di nuovi messaggi. La sua attenzione è attirata dalla mail di una coordinatrice di progetto, che ha bisogno di conoscere la sua disponibilità nei prossimi mesi per fissare una riunione. Doug si occupa subito di questa richiesta, che gli pare piuttosto semplice e di immediata soluzione. Ma proprio quando sta per mettersi a rispondere alla mail sul bilancio preventivo (una questione alquanto complessa, a cui deve per forza fornire una risposta), arriva una notifica del calendario, che gli ricorda la riunione con l’amministratore delegato dell’azienda di lì a quindici minuti; Doug deve ancora finire di prepararsi per quell’incontro.

La cosa più intelligente

La cosa più intelligente da fare sarebbe chiudere la casella di posta, raccogliere le idee in vista della riunione e avviarsi verso l’ufficio dell’amministratore delegato. Ma il desiderio di provare un senso di appagamento, dato dall’aver portato a termine almeno un compito, è troppo allettante. Doug vuole togliersi il pensiero della mail sul preventivo oggi. Sono giorni che si sente in colpa per aver fatto attendere il collega.

Così, senza pensarci troppo su, decide di dedicarsi alla questione. Ha un vago ricordo di essere stato talvolta in grado, in passato, di portare a termine un compito altrettanto complesso nel giro di una decina di minuti. È successo di rado, ma è successo. E ci sono state anche delle occasioni in cui è riuscito a prepararsi per la riunione con il CEO in soli cinque minuti. Chissà quali strani segnali neurochimici di natura contraddittoria spingono le sue dita ad aprire la mail sul preventivo, eppure è quello che il suo cervello decide di fare: provare a fornire al collega i dati richiesti.

Dieci minuti dopo ha a malapena reperito le informazioni necessarie per abbozzare una risposta. Quattro minuti più tardi, si accorge che la riunione con l’amministratore delegato sta per cominciare, si maledice da solo e si precipita fuori dall’ufficio in preda alla frustrazione, lasciando a metà il proprio lavoro. Gli ci vorrà del tempo per rintracciare le informazioni che aveva raccolto per formulare la mail di risposta, ma non può arrivare in ritardo all’incontro con il CEO.

Così si presenta all’appuntamento esausto e impreparato. E non è nemmeno soddisfatto del proprio rendimento durante la mattinata che ha preceduto la riunione: nonostante abbia compiuto qualche passo avanti nella stesura del report mensile sulle tecnologie pulite, non ha però completato la sezione finale. Di conseguenza, dopo l’incontro con l’amministratore delegato perde dell’altro tempo per cercare di farsi tornare in mente come intendeva concludere quella parte. È riuscito soltanto ad abbozzare la mail sul bilancio preventivo per il collega, ma non l’ha ancora inviata. Di positivo c’è che ha spedito alla coordinatrice di progetto un messaggio relativamente poco importante con le proprie disponibilità, in modo che lei possa organizzare una riunione di lì a qualche mese.

Nell’arco della mattinata Doug ha agito come un automa, passando da un’attività all’altra senza operare delle scelte strategiche per impiegare al meglio il proprio tempo. Come vedremo tra poco, il nostro amico (proprio come tutti quanti noi) fa fatica a disinserire il pilota automatico. Il trucco per riuscirci è riconoscere quelle rare occasioni, a cavallo tra un’attività e l’altra, in cui ci si presenta davanti un punto decisionale e saperne approfittare.

Ogni tanto diventiamo consapevoli

Noi tutti operiamo quasi sempre in modalità automatica: pensiamo, proviamo sensazioni e agiamo seguendo delle abitudini inconsapevoli. “Inconsapevole” si riferisce a qualsiasi cosa la mente o il cervello facciano in maniera non conscia. Questo non significa che il nostro comportamento sia sconsiderato; significa soltanto che è ormai rodato e consolidato, per cui non necessita di un grande controllo consapevole.

Benché nell’introduzione io abbia sottolineato il fatto che non siamo dei computer in grado di fornire prestazioni sempre prevedibili e regolari, in una cosa siamo molto simili a quei cervelloni elettronici: in quasi tutto quello che facciamo, dal pulirsi i denti con il filo interdentale al passare la giornata a rispondere alle mail, seguiamo delle abitudini neurali (ovvero la versione umana dei programmi informatici) che guidano i nostri pensieri, i sentimenti e i comportamenti. In un certo senso ci affidiamo a queste routine in maniera automatica, senza riflettere o valutare coscientemente se ne valga davvero la pena oppure no. Come con un programma per computer, una volta avviata una routine neurale, la si lascia andare finché non viene completata o interrotta.

Quando vi pulite i denti con il filo interdentale, è molto probabile che, una volta finito, non vi rendiate nemmeno conto del numero di passaggi complicati che avete messo in atto per arrivare ad avere i denti puliti. Se qualche minuto dopo essere giunti in ufficio cominciate a controllare la posta in arrivo, può darsi che non vi accorgiate nemmeno che, una volta finito di aprire, leggere e rispondere alla prima mail, passate di getto alla successiva... e a quella dopo ancora... e così via, finché non venite interrotti da un collega per andare a pranzo. È tra l’altro altamente plausibile che quella mattina, appena giunti in ufficio, aveste sperato di occuparvi di altri progetti, ma dopo aver iniziato a rispondere alle mail, le routine neurali si sono attivate e non siete più riusciti a fermarvi, finché qualcosa non vi ha fatto tornare in voi stessi.

Nel suo libro Il potere delle abitudini, il reporter del «New York Times» Charles Duhigg mostra come, in certi casi, sembriamo proprio degli automi, forse più spesso di quanto siamo disposti ad ammettere. L’autore spiega che non di rado agiamo in maniera piuttosto passiva, se ci vengono fomiti i giusti input. Supponiamo ad esempio che, tornando a casa dal lavoro, dobbiate passare a fare un po’ di spesa. Mentre vi recate in auto al supermercato, non vi soffermate certo a riflettere su ogni singola azione compiuta, come ad esempio quanto forte premete il pedale del freno o quante volte vi girate a guardare la strada. Ciascuna di queste azioni può essere svolta con estrema facilità mentre si è concentrati su qualcos’altro, come sforzarsi di ricordare la lista della spesa. Se siete come la maggior parte delle persone, una volta scesi dall’auto, nel parcheggio del supermercato, potreste infilare le chiavi in tasca sovrappensiero, per poi chiedervi se le avete effettivamente prese (e quasi sempre è così), confermando quindi l’automatismo con cui si compiono certi gesti.

Gran parte delle azioni che svolgiamo ogni giorno sono automatiche o guidate dall’abitudine e richiedono poca consapevolezza cosciente, il che non è un fattore negativo. Come afferma Duhigg, le abitudini sono fondamentali, perché ci aiutano a risparmiare energia mentale. Abbiamo bisogno di alleggerire il carico di lavoro per la parte cosciente della mente, in modo da risolvere i nuovi problemi man mano che ci si presentano davanti.

Per esempio, una volta imparati i passi di un ballo, possiamo procedere per abitudine e liberare la mente per concentrarci piuttosto sull’intrattenere una conversazione mentre danziamo. Se invece si prova a parlare durante le prime lezioni di tango, il risultato non può che essere disastroso, perché all’inizio abbiamo bisogno di tutta la nostra attenzione cosciente per memorizzare i passi. Pensate a quante poche cose potremmo realizzare se dovessimo concentrarci in maniera consapevole su ogni singola mossa, come ad esempio dove mettere i piedi per compiere ciascun passo.

È per questo che le nostre giornate comprendono una serie di routine neurali inconsapevoli e abituali che spesso chiamiamo “attività”: alzarsi la mattina, vestirsi, recarsi a lavoro, accendere il computer, rispondere alle mail, pranzare, partecipare a una riunione, andare a correre, cucinare la cena, prepararsi per andare a letto. H problema è che spesso passiamo da un’attività all’altra senza riflettere a fondo su cosa abbia più senso fare prima. Agiamo in maniera spontanea, oppure seguiamo l’istinto, per quanto fuorviante possa essere, e il risultato è che sprechiamo una quantità enorme di tempo ed energie.

La prima strategia per ritagliarsi un paio di ore super produttive è molto semplice e consiste nell’imparare a riconoscere, nel corso della giornata, i rari momenti in cui si ha la possibilità e la capacità di scegliere come impiegare il proprio tempo. Questi momenti sono quelli in cui un’attività termina o viene interrotta (quando, ad esempio, si finisce di fare una telefonata) e bisogna decidere a cosa dedicarsi in seguito: meglio rispondere a una mail o prepararsi per una riunione?

Nella mia esperienza personale

Nella mia esperienza personale ho avuto modo di constatare che tendiamo a superare in fretta questi momenti, o punti decisionali, in modo da rimetterci il prima possibile a fare qualcosa che sembri produttivo. Affrontare un punto decisionale (a cavallo tra un’attività e l’altra) in modo frettoloso può farci risparmiare cinque minuti, ma partire con l’attività sbagliata può costarci anche un’ora. Eppure, quei cinque minuti ci provocano maggiore sofferenza perché siamo ben consapevoli di ogni secondo che passa, mentre durante l’ora persa procediamo per lo più con il pilota automatico inserito, il che ci fa soffrire di meno. Purtroppo, molte persone sprecano ore svolgendo lavori non essenziali o che non possono essere portati a termine fino in fondo nel tempo a disposizione.

Un ulteriore problema è che, siccome siamo spesso in modalità “pilota automatico”, non ci sono tanti momenti nell’arco della giornata in cui abbiamo accesso alle nostre risorse coscienti per decidere su cosa lavorare. Per questo motivo è importante riconoscere i punti decisionali e saperne approfittare. Nelle prossime pagine spiegherò come; ma prima bisogna capire come funzionano le routine neurali e perché è così facile gestire male i punti decisionali.

Questo testo è estratto dal libro "Due Ore al Top".

Data di Pubblicazione: 2 ottobre 2017

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