SELF-HELP E PSICOLOGIA   |   Tempo di Lettura: 10 min

Essere un Padre - Anteprima del libro di Michele Mezzanotte

Polo paterno e polo maschile

Polo paterno e polo maschile

Il ruolo maschile si compone di un polo paterno e di un polo maschile non riuniti in una sintesi armonica come invece può essere nella personalità femminile e questo per un motivo in fondo molto semplice, che però rende necessaria la genealogia del padre.

Questa ricostruzione storica e, se possibile, anche preistorica ci dice che il padre è un’invenzione molto recente, infinitamente più recente della maternità; una creazione culturale e non il frutto di una lenta specializzazione evolutiva.

Gli uomini non sono padri per natura ed è per questo che il padre è più spesso trasgressivo. Il padre “mostro” è statisticamente infinitamente più frequente delle madri “mostro”.

3 Resoconto registrato della conferenza del 23 novembre 2002. Il testo non è stato rivisto dall’autore, ma viene pubblicato con la sua autorizzazione. Si è preferito lasciare tutta la vivacità dell’esposizione a braccio. Un artìcolo più formale avrebbe rischiato di ridursi a un riassunto del testo Il gesto di Ettore, Bollati Boringhieri, Torino 2000. Una versione modificata di questo intervento è stata pubblicata ne il desiderio e l’identità maschile e femminile. Un percorso di ricerca, Franco Angeli, Milano 2004.

Margaret Mead, la più grande antropoioga del secolo scorso, diceva sostanzialmente: “Il compito e il ruolo del padre va insegnato di nuovo, generazione dopo generazione”. Questa è la regola. Altrimenti, se non viene insegnato, si dimentica.

Viceversa, diceva, per il femminile, vale il principio opposto. Generalmente, a meno che una specifica cultura non insegni a dimenticare la maternità, essa si conserva, perché è più radicata nell’istinto, in modi di comportamento pre-culturali. Abbiamo quindi sia un maschio pre-paterno, un maschio competitivo, sia il padre come faticosa produzione dei millenni di civiltà e decostruzione dei millenni di inciviltà.

Sto parlando soprattutto di quella che genericamente caratterizziamo come la civiltà occidentale, anche se oggi in fondo non fa tanta differenza specificare, perché quella che chiamiamo civiltà occidentale, che è stato un mondo patriarcale iniziato da noi sulle sponde del Mediterraneo, di fatto domina tutto il pianeta e sta rapidamente assimilando chi ha abitudini di tipo diverso.

Uno dei motivi che mi ha portato a occuparmi del problema del padre è che, benché gli studi e i dibattiti sul maschile e sulla paternità aumentino, soprattutto in America, di fatto le pubblicazioni sulla madre, in ambito almeno psicologico, sono circa dieci volte più numerose di quelle dedicate al padre.

Inoltre, le storie della paternità che ho trovato, anche se assolutamente interessanti e affascinanti, erano sempre incomplete. Ad esempio, Histoire des pères et de la paternità 4, un ottimo lavoro collettivo francese, inizia con la caduta dell’Impero Romano, con il Medioevo. E comunque, non erano storie psicologiche della paternità, come avrebbe desiderato un analista: storie di atteggiamenti più che di eventi esterni; storie del mondo interiore della paternità.

Così ho fatto ricerche in linea con la cultura junghiana da cui provengo, la quale studia gli archetipi, Varchi della paternità. La prima arche mi porta a risalire più indietro della storia, fino alla zoologia.

Prima, per anticipare quello che c’è da dire del mondo animale, lasciatemi concludere questa parte introduttiva con un tentativo di definizione su che cosa è il padre. Quali sono gli atteggiamenti psicologici che caratterizzano quello che chiamiamo “padre” e che mi sembra di rintracciare in tutto quello che poi viene chiamato “comportamento paterno”? Dire: “Questo è un vero padre” è un messaggio potente. E frasi come: “Tu non sei stato un vero padre” o “Tu non sei capace di fare il padre”, sappiamo che sono delle mannaie molto taglienti.

Che cosa si intende in genere per padre, quali sono le caratteristiche costituenti che non possono mancare?

La famiglia è connotata in prevalenza dal nome del padre, dal patronimico, proprio perché il padre non è naturale, è un’invenzione culturale. La madre è già data. Pensate al noto proverbio: Mater semper certa est, pater num-quam. Il padre invece compensa la propria fragilità con questa insistenza di tipo istituzionale, quindi con un’intenzione di continuità.

L’intenzione di continuità è insita nel progetto, implica l’autolimitazione degli istinti, delle pulsioni, dei desideri, in funzione di qualcosa che vedo là, più lontano, o addirittura che non vedo ma che immagino. È necessaria la forza dell immaginazione e la forza di credere in qualcosa di astratto, che non vedo e che quindi non mi emoziona direttamente.

Forse anche per questo, nell’uomo è più sviluppata una funzione astratta e razionale a discapito dell’emozionalità: l’uomo come insensibile programmatore.

Limitare le pulsioni, gli istinti, in funzione di un programma che si svolge nel tempo, significa, quindi, una auto-imposizione, significa che il padre è un lavoro contro natura, diversamente dalla maternità, che ha ovviamente anche un aspetto culturale, fortunatamente in continuità con l’aspetto naturale.

Il padre è una auto-imposizione del maschio, e forse proprio per questo nella tradizione della civiltà patriarcale dell’Occidente è alla figura del padre che è stato delegato l’insegnamento della disciplina e la limitazione dei desideri ai figli.

Mi riferisco a quella funzione educativa che viene delegata al padre in una fase, grosso modo, secondaria, mentre alla madre è delegata una cura primaria del figlio e un’educazione primaria in continuità con l’accudimento corporeo, legata alla soddisfazione dei bisogni e dei desideri.

Il padre entra, nella fase secondaria, come terzo rispetto alla relazione simbiotica originaria madre-bambino. La presenza del padre è l’inizio dell’esistere in gruppo per il figlio e insegna a uscire dalla relazione simbiotica e privilegiata con la madre, che taglia fuori il resto del mondo, per essere prima nella famiglia e poi nella società.

Ciò comporta ovviamente limitare continuamente il proprio spazio. Di nuovo, guardando in avanti, in nome del progetto si sacrifica l’immediato; guardando indietro, la continuità del progetto paterno alla rovescia vuol dire memoria, vuol dire il senso della storia e la consapevolezza dell’albero genealogico”.

Questo mi porta a suggerirvi un’immagine molto semplice.

Una linea verticlae: la genealogia

Probabilmente saprete che gli junghiani, diversamente dai freudiani, lavorano molto sulle immagini, proprio per valorizzare quel dato psichico che è il più originario, prima ancora dell’introduzione del concetto.

Vorrei, perciò, offrire questa immagine di linea verticale: la genealogia, l’albero genealogico, la continuità. Questa è consustanziale allo sforzo faticoso di dichiarazione delle generazioni, dichiarazione del padre, contrapposta agli aspetti orizzontali della società.

Mi ricollego così a un autore, Robert Bly, il quale, attraverso la poesia Lo Sguardo Verticale ha offerto bellissime immagini sulla verticalità e sullo sguardo verticale del padre, a cui si tende oggi a sostituire uno sguardo orizzontale.

Oggi i figli imparano sempre più dai coetanei. Sempre più siamo la società dei coetanei. Sempre più si va tutti al McDonald. Siamo tutti uguali. Il democraticismo da un lato e la perdita della memoria, della continuità dall’altro, sono tipici della società dei consumi di massa; in particolare del mondo americano, non perché sia geneticamente più cattivo, ma solo perché anticipa, anche nel male, tutto quello che noi saremo tra poco.

La critica che ho fatto a Bly (ed è un difetto che si incontra sovente negli Stati Uniti), riguarda il suo punto di vista senza sufficiente profondità storica. Per Bly si può parlare del mondo del padre ancora negli anni ‘50 del secolo xx. Secondo lui, questo mondo è scomparso ed e stato sostituito dal mondo orizzontale.

Cercherò di mostrarvi le mie argomentazioni, secondo cui le cose sono più complesse e la decadenza del padre inizia molto, molto prima, cioè da quando la più grande di tutte le religioni sostituisce la parola del padre con quella del figlio.

Storia del padre a partire dalla zoologia

In natura, lungo tutta la storia evolutiva, anche negli animali più vicini a noi, le grandi scimmie antropomorfe, non appare la figura del padre.

Chiedo scusa a tutti quelli di voi che se ne intendono di evoluzione e di zoologia. Naturalmente, le grandi scimmie non sono i nostri antenati. Il nostro antenato è l’anello mancante dell’evoluzione. Però di fatto sappiamo che questo anello mancante era molto simile a ciò che possiamo osservare nelle scimmie antropomorfe.

Quindi, le scimmie antropomorfe, le quali rappresentano, al di là dell’uomo, il massimo dell’evoluzione, non hanno una figura paterna. Esse fondamentalmente non sono monogamiche, e quando non c’è la monogamia non c’è il padre.

Lo sviluppo del legame stabile con la compagna corrisponde sempre allo sviluppo del legame stabile con la prole e, pur semplificando un argomento complesso, possiamo dire che nella ricostruzione di come è nata la società umana, tutto concorda in questo senso.

Perciò, sempre con una buona dose di semplificazione, la più evoluta delle società animali, la più vicina a noi, non ha ancora il padre.

È vero che, in realtà, la maggior parte degli uccelli sono monogamici e pure i maschi si occupano della prole. Chi, ad esempio ha avuto canarini, lo sa. Ma quello che ci interessa è che, di fatto, gli animali più vicini a noi non sono monogamici e non hanno padre. Quando l'evoluzione ha inventato i mammiferi, ha alimentato, specializzato, reso raffinatissimo il rapporto madre e figlio, mentre il maschio è rimasto un bruto, non si è evoluto. Il mammifero, lo dice l’etimologia, è l’evoluzione della maternità.

Ciò che constatiamo è che nella società animale più evoluta non abbiamo il padre; nella società umana più antica o più semplice, quando osserviamo i fossili umani, oppure nelle poche società tribali ancora esistenti, abbiamo una figura paterna.

Qualcuno potrebbe obiettare che magari quelle società sono matriarcali o patrilineari, eccetera. E possibile anche questo. Quello che sappiamo, però, è che in tutte le società esiste una figura maschile stabile, che è il responsabile maschile del bambino, corrispondente al responsabile femminile che è la madre. Non ci importa il fatto che in talune di queste società primitive, per 

Questo testo è estratto dal libro "Essere un Padre".

Data di Pubblicazione: 2 ottobre 2017

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