SELF-HELP E PSICOLOGIA   |   Tempo di Lettura: 9 min

Fai Spazio nella Tua Vita - Anteprima del libro di Fumio Sasaki

Perchè è nato il minimalismo?

Perchè è nato il minimalismo?

Alla nascita siamo tutti minimalisti

Lo stile di vita minimalista (o ideologia del minimo indispensabile) consiste nel ridurre all’essenziale le cose di cui si ha bisogno. Questo libro si propone di ripensare in tal modo il concetto di felicità.

Dopotutto, gli esseri umani non nascono con qualcosa in mano: alla nascita siamo tutti minimalisti! È come se ogni qualvolta abbiamo più del necessario fossimo privati della nostra libertà. Il nostro valore non è rappresentato dalla somma di quello che possediamo, perché gli oggetti ci rendono felici solo per brevi momenti e le cose superflue ci tolgono molto tempo ed energia.

Chi ha ridotto gli oggetti intorno a sé prova ogni giorno una sensazione di libertà nuova. Questo lo può ben immaginare anche chi, in questo momento, vive circondato di cose. Chiunque, infatti, ha avuto occasione di sperimentare lo stato d’animo che si prova con meno cose intorno.

Facciamo l’esempio di un viaggio. Fino a un attimo prima della partenza siamo tutti presi nei preparativi, continuiamo a consultare la lista di quello che dobbiamo portare con noi, eppure resta sempre la sensazione di aver scordato qualcosa. Poi arriva l’ora di andare: smettiamo di arrovellarci, chiudiamo la porta di casa e siamo pronti a partire. In quel momento chiunque prova un senso di liberazione: finalmente! Con tutto quello che c’è in una sola valigia posso tirare avanti per un bel po’. Avrò anche scordato qualcosa, però, se ho preso lo stretto necessario, avrò sempre con me quello che mi serve davvero.

Certo, c’è anche il rovescio della medaglia. Sono sul volo di ritorno. Al momento di ripartire, le cose che avevo intenzione di riporre ordinatamente in valigia le ho buttate alla rinfusa. I regalini che ho acquistato non sono entrati nel bagaglio e ho dovuto infilarli in due sacchetti di carta. Mi sono ficcato in tasca i biglietti d’ingresso dei vari luoghi visitati in viaggio, con l’intenzione di metterli a posto e conservarli una volta a casa. Arrivato al controllo del bagaglio a mano mi metto a cercare quello che davvero è essenziale: il biglietto aereo! Dove diavolo l’ho cacciato? Sarà in questa tasca o in quell’altra? Sono preoccupato, comincio a perdere la pazienza, sento lo sguardo gelido delle persone in fila dietro di me...

Quando abbiamo per le mani più cose di quelle che siamo in grado di gestire, queste finiscono per diventare degli ostacoli: consumiamo una quantità impressionante di tempo ed energia solo per procurarci degli oggetti e poi per conservarli e gestirli. È uno sforzo così grande che le cose, anziché essere semplicemente degli strumenti in mano nostra, arrivano prima o poi a diventare i nostri padroni, come dice Tyler Durden, il protagonista del film Fight Club: «Le cose che possiedi alla fine ti possiedono».

Una mia giornata-tipo prima di diventare minimalista

Ecco com’era una mia giornata nel periodo in cui accumulavo oggetti: rientrato dal lavoro, per prima cosa mi spogliavo gettando i vestiti qua e là alla rinfusa. In bagno la vasca era rotta e io non riuscivo mai a farla riparare, quindi facevo una doccia al volo e poi bevevo una lattina di birra grande, guardando i programmi televisivi che avevo registrato o un film noleggiato. A quel punto passavo al vino: spesso capitava che un’intera bottiglia non mi bastasse, allora correvo completamente ubriaco in cerca di un supermercato aperto ventiquattr’ore su ventiquattro.

La mattina seguente mi svegliavo brontolando senza riuscire ad alzarmi dal letto; la sveglia continuava a suonare ogni dieci minuti finché finalmente non mi decidevo ad alzarmi, quando il sole era ormai alto. Avevo la testa pesante e il corpo fiacco per colpa dell’alcol della sera prima. Seduto sul water, prendevo fra le mani i rotoli della pancia per controllare il grasso. Durante la notte mettevo i vestiti nell’asciugatore, al mattino li tiravo fuori e li indossavo così come ne uscivano, tutti sgualciti. I piatti della cena rimanevano sporchi nel lavello: li guardavo con un’occhiata di traverso e uscivo.

Da buon pendolare facevo sempre lo stesso percorso e arrivavo in ufficio svogliato e annoiato. Sul lavoro faticavo a ingranare e allora ammazzavo il tempo guardando le notizie online. Man mano che arrivava una mail la leggevo, e facevo l’errore di pensare che per rispondere bastassero pochi minuti. Il tempo volava tra questi piccoli lavori di routine, ma i compiti davvero importanti restavano inevasi: tornavo a casa solo perché era passato un certo numero di ore, e non perché avessi terminato il mio lavoro.

In quel periodo avevo una scusa per tutto. «Mi sveglio tardi la mattina perché ho lavorato fino a notte fonda», «Ingrasso per colpa della mia costituzione», «Non mi posso trasferire in una casa più spaziosa perché il mio stipendio è troppo basso», «Prenderei le cose più sul serio se l’ambiente circostante fosse più favorevole», «Vivo nel disordine perché non ho abbastanza spazio», «Quest’appartamento è in affitto, non lo sento mio. Se vivessi in una casa grande anch’io metterei in ordine»...

Così, assediato dagli oggetti, cercando solo scusanti, con la testa in preda a pensieri negativi, mi ero legato con le mie stesse mani. Accecato dall’orgoglio, tralasciavo una buona parte di quello che avrei voluto fare davvero per paura di misurarmi con la realtà e fallire.

Una mia giornata-tipo da minimalista

Dopo aver ridotto le cose di cui mi circondavo il mio stile di vita è cambiato radicalmente. Rientrato dal lavoro, faccio il bagno in una vasca lucida e pulita, poi indosso la mia vestaglia preferita. Anziché guardare la tv leggo un libro o scrivo qualcosa. Non bevo più da solo. Nello spazio libero che si è creato dopo il repulisti, faccio tranquillamente un po’ di stretching prima di andare a dormire.

Al mattino mi sveglio con la luce del sole, senza avere più bisogno di puntare la sveglia. La stanza così vuota è molto luminosa, grazie al riflesso della luce del mattino sulla parete di carta bianca (le stanze giapponesi hanno porte, pareti divisorie, paratie alle finestre di carta di riso bianca con una leggera intelaiatura di legno, che fa filtrare la luce e la diffonde N.d.T.). Il risveglio, che era un momento tanto faticoso, è diventato un piacere. Faccio colazione con calma, mi gusto il caffè, rigoverno subito quello che ho sporcato per la colazione e mi siedo a meditare in zazen* con la mente concentrata su se stessa, senza preoccuparmi di cose inutili. Tutti i giorni passo l’aspirapolvere. Se il tempo è bello, faccio il bucato. Ripiego il futon* e lo ripongo nell’armadio a muro. Indosso gli abiti che avevo lasciato ben piegati ed esco. Mi godo ogni giorno lo stesso percorso per andare in ufficio, gustando il cambio delle stagioni.

Faccio fatica io stesso a credere che questa sia una giornata della stessa persona di prima. Ma questa è la conseguenza di aver buttato via tante cose.

Quello che ho eliminato

Ho buttato:

  • tutti i libri. Mi erano costati in tutto circa un milione di yen [più di 8000 euro N.d.T.] e li ho rivenduti per 20.000 [circa 160 euro N.d.T.].
  • Lo stereo e tutti i CD: mi vantavo di avere una profonda conoscenza anche di musica priva di qualunque interesse.
  • Molte suppellettili: perché mai un single dovrebbe avere una credenza così stracolma?
  • Le mie adorate anticaglie comprate all’asta.
  • Abiti costosi ma ormai fuori taglia, che invece prima contavo di indossare se mai fossi dimagrito.
  • Varie attrezzature da fotoamatore. Chissà perché, avevo comprato anche tutto l’occorrente per mettere in piedi una camera oscura...
  • Strumenti per aggiustare la bicicletta: da questi particolari si riconosce il vero perfezionista.
  • Una chitarra elettrica e un amplificatore perennemente impolverati: li avevo tenuti per non accettare lo smacco di non essere un granché come musicista.
  • Una scrivania e un tavolo troppo grandi per un single.

Non veniva mai nessuno a trovarmi, ma ero attrezzato di tutto punto per una gran cena con chissà chi.

  • Un materasso extralusso da una piazza e mezzo: il comfort notturno costa molto caro, e in più era pesantissimo.
  • Un televisore da 42 pollici del tutto inadatto a una stanza di 20 metri quadri (sono un malato di cinema, lo confesso).
  • Una PlayStation3 e un sistema home theatre per godermi i film: ero patito di tecnologia a tutti i livelli.
  • Tutti gli anime per adulti che tenevo stipati nell’hard-disk: lo spirito virile non è forse la cosa più importante per un uomo?
  • Le foto su pellicola. Me ne sono liberato dopo averle scannerizzate tutte: le tenevo ammucchiate, senza averle mai messe in ordine.
  • Le vecchie lettere: ho scannerizzato e gettato anche quelle, era dal tempo dell’asilo che non ne eliminavo una.

Siccom non riuscivo a buttare via le cose a cuor leggero, fotografavo quello che gettavo (per esempio, di tutti i libri che ho venduto ho fotografato la copertina). E così mi sono ritrovato con tremila foto inutili nell’hard-disk.

Se ci penso adesso, avevo tutto quello che poteva servirmi. Ma pur avendo ciò di cui avevo bisogno, il mio pensiero era rivolto a quello che ancora non avevo, e non mi bastava mai.

«Se avessi un divano di pelle a due posti potrei guardare un film insieme a una ragazza (forse a un certo punto potrei perfino passarle un braccio intorno alle spalle...)», «Se avessi una libreria che occupa tutta la parete come quelle che si vedono nelle riviste, farei certo una gran figura da intellettuale.» «Se avessi un grande terrazzo sul tetto, potrei invitare gli amici per una festa in casa.»

Erano cose comuni nelle case che vedevo sulle riviste, ma io non avevo niente di tutto ciò: altrimenti gli altri mi avrebbero tenuto un po’ più in considerazione! «Se solo potessi avere questo, sarei appagato», «Non mi darò pace finché non ce l’avrò»: ecco qual era il mio modo di pensare.

Questo testo è estratto dal libro "Fai Spazio nella Tua Vita".

Data di Pubblicazione: 2 ottobre 2017

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