SPIRITUALITÀ ED ESOTERISMO

False Flag - Sotto Falsa Bandiera - Anteprima del libro di Enrica Perucchietti

Falsare la storia dall'USS Maine a Pearl Harbor

Falsare la storia dall'USS Maine a Pearl Harbor

«La storia era un palinsesto che poteva essere raschiato e riscritto tutte le volte che si voleva».
George Orwell, 1984

«I vasti interessi bancari erano profondamente a favore della [prima] guerra mondiale, viste le ampie opportunità di raggiungere grossi profitti».
William Jennings Bryan, 41° segretario di Stato USA

«Non fu una vittoria, perché mancarono i nemici».
Oswald Spengler, 1933

Kevin, il novantanove per cento di quello che fai nella serie succede davvero. L'uno per cento è sbagliato, perché non potresti mai far passare una legge sull'istruzione così velocemente». In un'intervista alla rivista «Gotham» l'attore Kevin Spacey - produttore e protagonista, nel ruolo di Frank Underwood, della serie TV House of Cards - ha raccontato che nell'aprile del 2015 l'ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton - suo caro amico e fan della serie - gli avrebbe rivelato tra il serio e il faceto che il telefilm riflette al 99% gli intrighi che si consumano per davvero tra le mura della Casa Bianca.

Clinton ha così confermato che complotti e manipolazione dell'opinione pubblica sono all'ordine del giorno, a Washington.

Ma fino a che punto? Per scoprirlo dobbiamo risalire alla fine del XIX secolo e rispolverare certi episodi della nostra storia contemporanea sepolti dalle sabbie del tempo e da chili di retorica e di menzogne.

USS Maine

È il 15 febbraio del 1898. Alle ore 21:40 la corazzata USS Maine esplode nella baia dell'Avana, trascinando sul fondo del mare i corpi senza vita di 266 marinai. Il porto è gestito e controllato dagli spagnoli. La tragedia diviene così il pretesto per lo scoppio della guerra ispano-americana.

Questo breve ma importantissimo conflitto - con cui gli Stati Uniti toglieranno alla Spagna il controllo su Cuba e Portorico, nell'Atlantico, e su Guam e le Filippine, nel Pacifico - segna l'inizio dell'espansionismo americano. La guerra viene scatenata da un pretesto per aggirare il divieto previsto dalla Costituzione americana di aggredire per primi uno Stato estero. La tragedia focalizza infatti l'attenzione dell'opinione pubblica americana su Cuba. Il presidente William McKinley, inizialmente titubante, viene convinto dal suo gabinetto a muovere guerra alla Spagna.

I dubbi iniziano a serpeggiare fin da subito, ma l'occasione è troppo ghiotta per non sfruttarla.

Come sono andate invece realmente le cose?

All'epoca del presunto attentato nemico, il futuro presidente Theodore Roosevelt era ministro della Marina e disponeva di un piano per l'invasione navale dell'isola che aspettava solamente l'ordine di esecuzione. Mancava però un pretesto per dare il via all'operazione, e questo venne trovato nell'esplosione dell'incrociatore USS Maine. Il governo degli Stati Uniti ne approfittò per accusare gli spagnoli di aver collocato clandestinamente dell'esplosivo a bordo della nave e - secondo uno schema che da quel momento in poi si ripeterà fino alla nausea - l'episodio venne utilizzato dai media per fomentare l'indignazione popolare necessaria al Congresso per legittimare la guerra.

La stampa sensazionalista dell'epoca, la cosiddetta "yellow press" del magnate William Randolph Hearst e di Joseph Pulitzer, contribuì infatti in modo determinante, insieme alla propaganda dei dissidenti cubani stanziatisi negli USA, a orientare l'opinione pubblica degli statunitensi verso la volontà di muovere guerra alla Spagna giornali di Hearst inventarono di sana pianta la dinamica dell'incidente, addossando la colpa agli spagnoli. Il peso che la stampa ebbe in quest'occasione si sarebbe replicato ogni qualvolta un'amministrazione avrebbe potuto strumentalizzare un grave incidente per dichiarare una guerra che altrimenti non sarebbe mai stata accettata dall'opinione pubblica. Hearst aveva persino inviato a Cuba un fotografo per immortalare l'imminente guerra con la Spagna. Quando il fotografo gli chiese di quale guerra si trattasse, dato che non ne era a conoscenza, Hearst si limitò a rispondere: «Tu fai le foto e io procurerò la guerra». Di lì a poco avvenne l'esplosione dell'USS Maine.

Vennero realizzate a scopo propagandistico anche delle vignette che mostravano degli spagnoli intenti a far esplodere una mina per affondare la nave statunitense. Le vignette ancorarono nell'opinione pubblica una ricostruzione plausibile, pur se inventata, dei fatti. Le immagini fanno più presa di litri di inchiostro e di mille pagine stampate. I lettori si convinsero che la responsabilità della tragedia ricadesse effettivamente sulla Spagna: perché mai il governo e la stampa statunitense avrebbero dovuto mentire? La guerra era la logica conseguenza di quell'evento sanguinoso.

Nonostante la Spagna negasse il proprio coinvolgimento nella strage fino al punto di chiedere l'istituzione di una commissione mista per indagare sulle vere cause dell'affondamento, gli USA le dichiararono guerra e l'attacco ebbe inizio il 24 aprile dello stesso anno.

Il comandante dell'USS Maine, il capitano Sigsbee, che si era opposto a queste conclusioni affrettate e aveva chiesto un'indagine completa sulla causa dell'esplosione, venne attaccato con violenza dalla stampa per il comportamento antipatriottico che sfiorava il tradimento: la rivista «Atlantic Monthly» scrisse che il solo supporre che l'esplosione non fosse altro che un'azione deliberata della Spagna «sfidava completamente le leggi della probabilità».

In brevissimo tempo l'intera flotta navale spagnola colò a picco sotto le cannonate della Marina statunitense. Gli spagnoli furono così costretti a firmare la resa incondizionata siglata con il Trattato di Parigi.

agli spagnoli. Il peso che la stampa ebbe in quest'occasione si sarebbe replicato ogni qualvolta un'amministrazione avrebbe potuto strumentalizzare un grave incidente per dichiarare una guerra che altrimenti non sarebbe mai stata accettata dall'opinione pubblica. Hearst aveva persino inviato a Cuba un fotografo per immortalare l'imminente guerra con la Spagna. Quando il fotografo gli chiese di quale guerra si trattasse, dato che non ne era a conoscenza, Hearst si limitò a rispondere: «Tu fai le foto e io procurerò la guerra». Di lì a poco avvenne l'esplosione dell'USS Maine.

Vennero realizzate a scopo propagandistico anche delle vignette che mostravano degli spagnoli intenti a far esplodere una mina per affondare la nave statunitense. Le vignette ancorarono nell'opinione pubblica una ricostruzione plausibile, pur se inventata, dei fatti. Le immagini fanno più presa di litri di inchiostro e di mille pagine stampate. I lettori si convinsero che la responsabilità della tragedia ricadesse effettivamente sulla Spagna: perché mai il governo e la stampa statunitense avrebbero dovuto mentire? La guerra era la logica conseguenza di quell'evento sanguinoso.

Nonostante la Spagna negasse il proprio coinvolgimento nella strage fino al punto di chiedere l'istituzione di una commissione mista per indagare sulle vere cause dell'affondamento, gli USA le dichiararono guerra e l'attacco ebbe inizio il 24 aprile dello stesso anno.

Il comandante dell'USS Maine, il capitano Sigsbee, che si era opposto a queste conclusioni affrettate e aveva chiesto un'indagine completa sulla causa dell'esplosione4, venne attaccato con violenza dalla stampa per il comportamento antipatriottico che sfiorava il tradimento: la rivista «Atlantic Monthly» scrisse che il solo supporre che l'esplosione non fosse altro che un'azione deliberata della Spagna «sfidava completamente le leggi della probabilità»5.

In brevissimo tempo l'intera flotta navale spagnola colò a picco sotto le cannonate della Marina statunitense. Gli spagnoli furono così costretti a firmare la resa incondizionata siglata con il Trattato di Parigi.

L'influenza esercitata dalla stampa, che aveva avuto un ruolo determinante nel manipolare l'opinione pubblica, contribuì a dipingere Theodore Roosevelt - che a Cuba aveva dimostrato non solo la propria abilità di comando, ma anche quella propagandistica, mandando resoconti dettagliati delle proprie imprese a tutti i principali giornali in patria - come un eroe di guerra, favorendolo così nelle successive elezioni presidenziali. La sua scalata al pantheon della politica era quasi conclusa.

L'indagine dell'ammiraglio rickover scagiona gli spagnoli

Nel 1975 un'indagine guidata dall'ammiraglio in pensione Hyman Rickover - padre della Marina nucleare statunitense - esaminò i dati recuperati nel 1911 da un'analisi del relitto e concluse che non vi era alcuna prova di un'esplosione esterna; la causa più probabile dell'affondamento era l'esplosione della polvere di carbone contenuta in un serbatoio imprudentemente piazzato vicino ai depositi di munizioni della nave. Gli spagnoli non avevano avuto alcuna responsabilità nell'attentato. L'esplosione era avvenuta probabilmente «a causa di esplosivi fatti collocare troppo vicino alle caldaie dal capitano della nave» e gli americani semplicemente avevano approfittato dell'occasione come casus belli.

L'ammiraglio Rickover non fu in grado di escludere che l'esplosione fosse stata la conseguenza di una bomba piazzata deliberatamente dagli stessi americani, lasciò però aperta quest'eventualità6. Una sola cosa era chiara: gli spagnoli non avevano avuto alcuna colpa.

Quest'episodio rappresenta solo uno dei numerosi casi in cui una nazione ha sfruttato un pretesto che si è palesato per dichiarare guerra a un altro Stato. Spesso è difficile appurare se si sia trattato di un mero incidente poi utilizzato come casus belli o se, al contrario, esso sia stato organizzato a tavolino (come si voleva fare, ad esempio, con l'Operazione Northwoods) e inscenato sacrificando delle vite umane (il caso di Gleiwitz).

Beffa del destino, nel 1906 Roosevelt fu anche insignito del premio Nobel per la pace per il suo ruolo di mediatore tra russi e giapponesi nella guerra russo-giapponese, la cui pace venne firmata il 5 settembre del 1905. Nulla di insolito, dato che l'onorificenza sarebbe poi stata assegnata anche a Henry Kissinger e Barack Obama.

In base al Trattato di Portsmouth, che ebbe l'avallo di Roosevelt, il Giappone si assicurava così porti, territori e ferrovie nella Manciuria meridionale (compreso il controllo della strada ferrata di Mukden). La Russia, sconfitta, conservava soltanto i vecchi privilegi nella Manciuria del Nord e cedeva al Giappone la metà meridionale dell'isola di Sakhalin, che era stata sino ad allora sotto il dominio russo. I russi, inoltre, dovettero rinunciare al controllo della base navale di Port Arthur e della penisola circostante; infine, dovettero ritirarsi dalla Manciuria e riconoscere la Corea come zona di influenza giapponese.

Costretta a sottoscrivere l'accordo, la Cina manteneva la sovranità simbolica sulla Manciuria, ma di fatto tutti i centri importanti della regione passavano sotto il controllo dei giapponesi. Quando poi, nel 1910, il Giappone tolse le ultime velleità di indipendenza alla Corea, la Cina si ritrovò i soldati del Sol Levante alla frontiera del fiume Yalu e alcuni avamposti nipponici già saldamente arroccati in casa. Era il primo trampolino, per Tokio, di una grande operazione di conquista.

Gli eventi peggiorarono con la prima guerra mondiale, quando il governo di Washington rivolse tutta la sua attenzione all'Europa. I giapponesi ne approfittarono presentando ventuno richieste, che reclamavano, fra l'altro, il diritto di sfruttare in esclusiva tutte le ricchezze minerarie della Manciuria meridionale fino alla Mongolia interna10. I cinesi furono costretti a cedere ancora una volta sulla Manciuria. Finita la guerra, sperarono che il Trattato di Versailles, con il principio dell'autodeterminazione dei popoli, avrebbe fatto giustizia, ma invano11. Una grande rivolta studentesca, il movimento del Quattro Maggio, portò al mondo l'indignata protesta della gioventù cinese contro i predatori più disinvolti: inglesi e nipponici.

Si arriva così al 1931, anno in cui un attentato sotto falsa bandiera, cioè attuato e pianificato dal Giappone ai danni dei cinesi, avrebbe fatto riesplodere la guerra.

L'incidente di Mukden

La sera del 18 settembre 1931 una bomba esplose fra i binari della ferrovia della Manciuria meridionale, vicino alla storica città di Mukden. Questo fu il segnale che diede il via alla guerra cino-giapponese: la storia lo avrebbe ricordato come "l'incidente di Mukden".

La guarnigione nipponica in Manciuria, già in stato di allarme per la morte di un ufficiale ucciso per sbaglio da soldati cinesi, entrò sparando a Mukden, con un'azione di rappresaglia che inaugurava di fatto l'invasione12.1 militari giapponesi accusarono immediatamente i terroristi cinesi, fornendo così un pretesto per l'annessione della Manciuria all'Impero del Giappone, anche se nessuna autorizzazione era giunta da Tokyo. L'Unione Sovietica non reagì, mentre le nazioni occidentali si limitarono a una protesta diplomatica.

Tutte le indagini sulla famosa bomba della ferrovia hanno indirettamente provato che fu il servizio segreto nipponico a farla esplodere, per fornire il pretesto dell'intervento bellico.

L'incidente di Mukden fu così deciso a freddo dai generali giapponesi, che puntavano a un regime militare supernazionalista; ma per arrivare a ciò avevano bisogno di una giustificazione.

Per i giapponesi fu un colpo di mano straordinariamente facile su una delle zone più ricche e ambite dell'Estremo Oriente. La guerra era in aria da tempo, preparata da una situazione interna cinese che risaliva al disfacimento del Celeste Impero, crollato nel 1911. La Cina era sola, disorganizzata e lacerata dalla guerra contro una delle più efficienti potenze militari esistenti al mondo.

Questo testo è estratto dal libro "False Flag - Sotto Falsa Bandiera".

Data di Pubblicazione: 1 ottobre 2017

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