SPIRITUALITÀ ED ESOTERISMO   |   Tempo di Lettura: 7 min

I Curanderos dell'Anima - Anteprima del libro di Hernàn Huarache Mamani

La ricerca dei maestri che guariscono la psiche e lo spirito

I maestri

"Il destino è un cammino lungo il quale ti guiderà il tuo maestro interiore. La vita è l’inizio di questo cammino e la morte è il punto d’arrivo del destino."

Nel 2008, quando tornai in Peru, decisi di trascorrere alcune settimane di vacanza a Lima. Fino a quel momento tutto sembrava andare bene, non mi preoccupavo affatto degli effetti che la ruota della fortuna poteva avere sulla mia vita. Ero felice anche soltanto di andare al mare tutti i giorni con gli amici che, dopo tanto tempo, avevano voglia di stare un po’ in mia compagnia.

Per non disturbare i miei parenti, avevo deciso di affittare una casa vicino alla spiaggia e in quell’angolo di mondo, riservato a una minoranza privilegiata, vivevo come in un’isola incantata, un paradiso artificiale dotato di comfort e sicurezza. Mi sentivo protetto, perfettamente isolato dal mondo circostante.

In quei giorni non avevo nessuna preoccupazione e non immaginavo che di lì a poco la mia vita avrebbe preso una nuova direzione. Non sapevo nemmeno se quello che stavo facendo fosse utile per il mio futuro o se invece non stessi buttando via la mia vita. Quando siamo giovani, forti e sani, crediamo di poter conquistare il mondo perché non conosciamo ancora la realtà. L’inesperienza e l’entusiasmo spesso ci trasportano in un vortice di illusioni e fantasie, finché non arriva il momento in cui dobbiamo scontrarci con ostacoli insormontabili. Questi, inevitabilmente, finiranno per mettere a dura prova le nostre certezze.

E uno di quei momenti capitò anche a me, proprio quando meno me l’aspettavo.

La prova dell'onda

Mi trovavo sulla spiaggia del Leon Dormido e mi divertivo a giocare con gli amici sfidando le potenti onde dell’oceano che si alzavano fino a due metri. Non avevo paura, perché confidavo nella mia esperienza di nuotatore in mare aperto e cercavo di fare sempre attenzione. Mi spostavo lateralmente, con l’acqua che mi arrivava alla vita, e mi stavo preparando a un nuovo scontro con un’altra onda, quando sentii lo strillo dei gabbiani e alzai gli occhi verso il cielo turchese per guardarli. Rimasi sorpreso vedendo la grande quantità di uccelli che si spostavano da un lato all’altro del cielo in una massa compatta, disegnando strane figure: centinaia di gabbiani volavano formando onde gigantesche e si muovevano come se volessero avvertire la gente sulla spiaggia che stava per succedere qualcosa. Ero talmente concentrato nell’osservare il loro volo che non sentii le grida degli amici che cercavano di chiamarmi, mentre si allontanavano correndo. Ero così preso da ciò che accadeva sulla mia testa, che non mi resi neppure conto che il mare si era ritirato al punto che l’acqua, ormai, mi bagnava soltanto i piedi. Quando riabbassai lo sguardo verso l’oceano, mi accorsi che l’acqua stava tornando verso riva trasformata in un’onda gigantesca, alta quattro o cinque metri, che si trovava già quasi sopra di me.

Nonostante non provassi paura, sapevo perfettamente che se quella enorme massa mi fosse piombata addosso l’impatto sarebbe stato così forte da farmi perdere conoscenza. In pochi attimi, seguendo solo l’istinto, mi lanciai con tutta la mia energia contro l’onda, tagliandola con le mani unite. Poi nuotai con forza verso l’interno del mare più che potei, finché risalii in superficie dietro l’onda stessa. Continuai ad allontanarmi, cercando di rimanere a galla fino a quando non fosse tornata la calma. Osservando il movimento sulla superficie, però, mi resi conto che il mare era ancora molto agitato e questo poteva essere un pericolo. Dovevo riuscire a raggiungere la riva a ogni costo, anche perché da un momento all’altro poteva scatenarsi un forte temporale.

Guardai i flutti che s’ingrossavano sempre più e notai che quelli alla mia sinistra erano un po’ più piccoli. Convinto di riuscire ad affrontarli, cominciai a dare bracciate veloci in quella direzione. Recuperando la calma aspettai il momento propizio, poi mi misi a nuotare sopra un’onda che si muoveva verso la spiaggia e, scivolando su di essa, riuscii ad avvicinarmi al bagnasciuga. A quel punto presi a nuotare velocemente finché toccai il fondo e mi rialzai con fatica, cercando di uscire rapidamente dal mare per evitare che le onde, che continuavano a schiantarsi sulla sabbia, mi trascinassero con loro quando ritornavano con incredibile forza verso l’oceano.

A quel punto i miei amici mi corsero incontro per aiutarmi, anche se ormai non ce nera più bisogno. Ero sorpreso vedendo tutto quello che era successo: l’acqua era arrivata fino agli ombrelloni e aveva rovesciato sedie e sgabelli; i vestiti e gli asciugamani abbandonati dai bagnanti in fuga erano tutti ammucchiati sulla spiaggia. Mi sembrava di aver appena vissuto un sogno.

Mia cugina Judith mi abbracciò piangendo: «Ci hai fatto spaventare. Pensavamo tutti che le onde ti avrebbero sommerso e che saresti annegato!».

«Ma non hai sentito che ti chiamavo?» chiese Manuel, seccato.

«Il rumore era troppo forte e poi ero distratto dai gabbiani che oscuravano il cielo» cercai di spiegargli.

«Per fortuna stai bene» disse mio nipote Alfredo. «È questo l’importante.» Poi aggiunse, tutto contento: «Andiamo a mangiare, tanto con il mare così mosso non possiamo più nuotare e poi sembra che si stia avvicinando un grosso temporale».

Così ci spostammo tutti verso il mio appartamento, mentre le onde continuavano ad avanzare sempre di più verso terra. Per fortuna la casa era stata costruita in alto, su un promontorio.

A tavola, mentre ci servivamo, tornai a pensare all’incidente che mi era quasi costato la vita: mi ero salvato solo grazie all’automatismo che avevo acquisito allenandomi a nuotare in mare. Intanto la radio informava che altri villeggianti erano stati trascinati via dalla potenza delle onde; i loro corpi risultavano dispersi e probabilmente erano morti. Io avrei potuto fare la stessa fine. In quel preciso momento un forte brivido percorse tutto il mio corpo.

Cosa mi succede?

Il giorno seguente, dopo aver passato una notte agitata, mi svegliai con un intenso mal di schiena e una forte raucedine. Ero rimasto senza voce e quando parlavo le persone intorno a me non riuscivano a sentirmi; così decisi di interrompere le vacanze e mi diressi verso Arequipa per curarmi.

Mio padre era morto nel 1989 e quindi non potevo più contare su di lui, che sicuramente sarebbe riuscito a guarirmi come aveva fatto molte volte in passato.

I miei parenti, allarmati, mi portarono in ospedale. Qui l’otorinolaringoiatra riscontrò una bronchite e una grave afonia e mi prescrisse antibiotici e sciroppi per la gola. Le medicine, però, non riuscirono a farmi tornare la voce. Provai allora con vari rimedi popolari, ma nemmeno questi funzionarono.

Casualmente, un giorno venne a trovarmi mia nipote Isabella, che aveva imparato i metodi curativi di mio padre; vedendomi malato preparò subito una tisana a base di erbe. Mi fece bere l’infuso e poi mi massaggiò la schiena con un olio speciale in cui aveva fatto macerare altre erbe. Infine mi mise sulla schiena uno speciale panno di lana nera che aveva fatto riscaldare al sole e, con voce perentoria, mi ordinò: «Zio, dovrai rimanere a letto per tre giorni senza toccare acqua né prendere freddo. Ti consiglio di mangiare zuppa di verdure o di cipolla bollita con miele».

«Grazie nipotina. Spero di guarire, e soprattutto di recuperare la voce.»

«Se fai quello che ti ho detto, ti ristabilirai. Ci vediamo presto» mi salutò andandosene.

Questo testo è stato tratto dal libro "I Curanderos dell'Anima".

Data di Pubblicazione: 3 ottobre 2017

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