SAGGI E RACCONTI

I Geni Manipolati di Adamo - Anteprima del libro di Pietro Buffa

Le origini umane attraverso l’ipotesi dell’intervento biogenetico

Non è creazione

Il concetto di creazione, nella sua elaborazione filosofico-religiosa atta a manifestare il potere di Dio e il suo diretto rapporto con la natura, fu talmente supportato e diffuso dalla teologia dogmatica che, per un lungo intervallo di tempo, persino gli scienziati non osavano dubitarne.

I riferimenti biblici alle presunte origini delle specie viventi erano generalmente accettati e diventavano indiscutibili quando ci si spingeva a interrogarsi sull’uomo, glorioso atto finale dell’intero processo creazionistico.

La scienza sentiva l’esigenza di classificare il creato in maniera razionale, evidenziando somiglianze e differenze tra gli organismi ma nessuno intendeva contravvenire all’idea, secondo la quale, tutte le specie viventi sarebbero sempre rimaste immutate nel tempo, così com’erano state in origine concepite da Dio (ipotesi fissista).

In questa direzione si muoverà anche un allora giovane e sconosciuto scienziato inglese di nome Charles R. Darwin (1809-1882), arruolato come naturalista di bordo sulla nave da ricognizione Beagle che nel 1831 si dirige verso le coste del Sud America. La spedizione parte con l’intento di raccogliere prove sul racconto biblico della creazione ma il risultato della missione si trasformerà invece, in maniera del tutto inaspettata e per un ironico destino, in quella che sarà la prima radicale confutazione alla genesi divina delle specie viventi.

Le straordinarie intuizioni che si sviluppano nella mente di Darwin negli anni successivi a quel viaggio troveranno un esito sistematico solo nel 1859, anno in cui lo scienziato (indotto anche da alcuni colleghi che indipendentemente stavano giungendo alle sue stesse conclusioni) deciderà di rendere pubblica quella serie di dati che serviranno a edificare la teoria sull’evoluzione delle specie per selezione naturale. Tanta sarà la curiosità intorno a quel rivoluzionario lavoro, che le prime due edizioni del trattato che ne descrive i principi. The Origin of Specie? (L’origine delle Specie), andranno esaurite in pochi giorni.

Darwin propone un nuovo modo di pensare la natura delle forme viventi, asserendo un loro intrinseco potere di cambiare gradualmente nel tempo (evolversi) sfruttando il meccanismo della selezione naturale, senza la necessità di chiamare in causa nessun intervento divino. L’intero concetto di creazione, l’atto divino che porta all’esistenza ciò che prima non lo era (creatio ex-nihilo), punto fondamentale della teologia dogmatica, viene messo in seria discussione e considerato dallo stesso scienziato un potenziale limite alla comprensione della realtà dei fenomeni naturali alla base della vita sulla Terra.

Nel 1871, anno di uscita del libro The Descent of Man* (L’origine dell’uomo), il padre dell’evoluzionismo porta il suo discorso alle estreme conseguenze, divulgando l’esistenza di un’“umanità fossile” e includendo anche l’essere umano nel quadro di un’evoluzione per selezione naturale. Attraverso i fossili, afferma Darwin, la terra fornirà i preziosi tasselli che ci consentiranno di assemblare un mosaico informativo sulle origini molto più concreto e vicino alla realtà rispetto a quanto avessero fatto i testi sacri, responsabili di aver tramandato nei secoli la falsa idea d’essere noi tutti progenie di un’unica coppia di esseri umani senza una precedente storia, apparsi sulla Terra già biologicamente “moderni”. Quella coppia che la tradizione religiosa ci ha sempre presentato come Adamo e la sua compagna Èva.

Il mondo teologico, leso nella sua dottrina, avrebbe reagito molto duramente contro il lavoro di Darwin, spingendo alcuni scienziati a elaborare modelli alternativi alla nascente teoria bio-evoluzionistica e muovendo feroci critiche che si protrarranno negli anni a venire. Le obiezioni teologiche e accademiche non riusciranno però a oscurare la fama dello studioso, il suo lavoro né tantomeno il suo credito come scienziato e la selezione naturale si consoliderà nel tempo come l’unica spiegazione sull’origine delle specie alternativa alla visione miracolistica.

Charles Darwin

Charles Darwin era però un uomo di fede e proprio durante gli ultimi anni della sua vita, quando ormai larga parte del mondo scientifico aveva aderito alla sua tesi bio-evoluzionistica, fu assalito da una profonda sofferenza interiore dovuta al fatto di non esser riuscito a conciliare le evidenze scientifiche con i principi teologici a cui era stato rigorosamente educato. Si interrogò a lungo su come fosse possibile che i dati acquisiti in tutti quegli anni e i numerosi studi in corso potessero risultare così drammaticamente in disaccordo con quanto descritto nel libro della Genesi. La sua fu una condizione di grave disagio che lo portò negli anni a pensare che il celebre racconto biblico della creazione, con particolare riferimento a quella dell’uomo, potesse non esporre la reale modalità con cui il fenomeno sarebbe accaduto. Si trattava forse di una possibile ambiguità del testo? O si sbagliava nell’interpretarlo?

Supposizioni sicuramente non accettabili a quei tempi eppure in grado di trovare oggi importanti avalli negli studi di diversi specialisti della Bibbia. Uno di questi è Mauro Biglino.

Già traduttore dall’ebraico per le edizioni San Paolo e profondo conoscitore della storia delle religioni, Biglino ha avuto il merito, secondo alcuni, o l’intemperanza secondo altri, di mettere in luce significati letterali che allontanerebbero i racconti biblici anticotestamentari da quella lettura teologica e da quel simbolismo che tradizionalmente pretende di spiegarci cosa davvero riportano i testi antichi.

In una recente indagine, il biblista affronta in maniera diretta il tema della creazione attraverso una dettagliata analisi filologica di tutte le 49 ricorrenze del termine ebraico “bara" [V31S], tradotto nei diversi contesti biblici con il verbo creare’. I risultati di questa analisi, pubblicati all’interno di un libro dal titolo piuttosto esplicito, Non ce creazione nella BibbiaPer la cronaca, il disegno di Blumrich mostra una straordinaria somiglianza con la capsula Gemini, veicolo spaziale di piccole dimensioni prodotto negli anni ‘60 nell’ambito del programma Apollo.

Il velivolo illustrato da Blumrich presenta ruote retrattili e congegni a pale rotanti pieghevoli direzionabili che, si suppone, avessero lo scopo di rendere più dolce la discesa della navicella e il volo in atmosfera. Passando alle specifiche tecniche, Blumrich scrive nel suo libro:

«tutte queste proprietà sono in grado di interagire e non paiono lasciare spazio a problemi non risolti, segnando in modo inconfutabile una progettazione di elevata competenza».

All’interno della nasa

All’interno della nasa, Blumrich non fu il solo a esporsi pubblicamente su questo tipo di indagini. Nel 2007 Richard Stothers, docente a Harvard e membro del Goddard Institute for Space Studies della nasa, pubblica un articolo dal titolo Unidentified flying objects in classical antiquity (lett. “Oggetti volanti non identificati nell’antichità”) in cui sostiene che i fenomeni riportati nelle cronache di molte antiche civiltà, sono teoricamente riconducibili a manifestazioni ufologiche e andrebbero pertanto indagati da un punto di vista “clipeologico”, intendendo con tale termine quell’area di ricerca diretta a evidenziare possibili testimonianze di natura ufologica lasciate dai popoli del passato.

Indagini senz’altro affascinanti che, se da una parte riescono ad attirare anche l’attenzione degli specialisti, dall’altra si scontrano con rigidi ambienti accademici pronti a screditare qualsiasi congettura possa mettere in discussione quel “sapere” che appare ormai sancito., evidenziano che, in nessun caso, tale termine assume il significato di ‘creare’, nel senso di azione divina che porta all’esistenza ciò che prima non lo era.

Il verbo “bara”, fa notare l’autore, assume nei racconti biblici un significato meno ultraterreno, più fisico, riferendosi sempre a un operato concreto, a un intervento finalizzato alla modifica di una situazione preesistente.

Sulla base di questo studio, ecco che il libro della Genesi ci racconta una storia molto diversa da quella comunemente tramandata, una storia dove l’essere umano appare ancora come il risultato di un intervento assolutamente straordinario ma che, in contrasto con le ricostruzioni legate all’interpretazione teologica, non avrebbe richiesto alcun “atto miracoloso”.

Mauro Biglino non è il solo a denunciare l’introduzione di un concetto {ereat io ex-nihilo) che non trova alcun riscontro all’interno dei testi. Nei suoi studi, il biblista elabora e approfondisce ciò che anni prima avevano già pubblicamente espresso altri ricercatori come Ellen van Wolde, docente di Esegesi biblica alla facoltà di Teologia dell’Università di Tilburg, in Olanda che, intervistata dal quotidiano « The Telegraph», aveva dichiarato: «God is not the Creatori (lett. «Dio non è il creatore»).

In un’analisi retrospettiva sul dio della Bibbia, riconosciuto nella figura di Yahweh, anche la scrittrice di origine israeliana Lia Bat Adam, autrice del saggio Esodo, richiama l’attenzione sullo stesso tema. Bat Adam spiega infatti come Yahweh ami certamente rivendicare le proprie prodigiose gesta causa dell’inesorabile morte di numerose genti ma al contempo, lui stesso non si autoproclami mai creatore di universi, né di mondi o esseri viventi e soprattutto non se ne attribuisca mai il merito.

Gli antichi testi descrivono miti o riportano cronache?

«Il termine “mito” non designa un contenuto fabuloso, ma semplicemente un modo arcaico di esprimere un contenuto più profondo. Senza alcuna difficoltà, sotto lo strato dell’antica narrazione, scopriamo spesso quel contenuto, veramente mirabile per quanto riguarda le qualità e la condensazione delle verità che vi sono racchiuse».
Giovanni Paolo II

Se antiche civiltà del passato fossero state testimoni di accadimenti straordinari avvenuti sulla Terra, questi eventi potrebbero trovarsi descritti nei loro testi in modo da essere stati annotati per sempre? Ogni popolo del passato sembra aver lasciato testimonianze di avvenimenti comuni occorsi in tempi e luoghi distinti. Le narrazioni, spesso intrise di elementi inspiegabili, hanno sempre indotto gli studiosi a fare largo uso delle categorie interpretative del mito e/o della metafora, escludendo ogni eventualità che tali documenti potessero riportare anche memorie di ciò che un tempo veniva osservato9. L’esegesi dei contenuti si complica ulteriormente quando, ad alcuni di questi testi, viene assegnato un valore teologico; in questi casi il “mito” diventa “narrazione sacra” e i racconti, assunto un significato religioso, diventano verità di fede interamente o parzialmente ispirata. Entriamo nel merito facendo un esempio che chiama in causa l’Antico Testamento.

Ormai da tempo, studiosi di area archeo-linguistica sono concordi nel ritenere che la parte più antica della Bibbia, la Genesi, sia una rielaborazione di testi più datati, nella fattispecie di testi sumero-accadici e fenici. A tal proposito è ancora Biglino a far notare un assunto privo di logica: mentre i racconti sumero-accadici vengono generalmente definiti mitologici, il libro della Genesi, che da essi deriva, è invece considerato verità ispirata da Dio. Dovremmo quindi accettare, conclude ironicamente il biblista, che le storie originali sono favole mentre le copie sono verità?.

Avvenimenti straordinari nei testi antichi

Non possiamo escludere che gli antichi popoli esprimessero, con parole in uso per l’epoca, una realtà che ai loro occhi non era sempre chiara.

Nessuno ha la certezza che un “corpus mitologico” possa nascondere una realtà storica ma siamo convinti che se guardassimo alle civiltà antiche come società dedite solo all’edificazione di miti, saremmo poco obiettivi nei loro confronti. Non dobbiamo aspettarci che gli antichi fossero in grado di descrivere eventi straordinari nello stesso modo in cui potremmo fare noi oggi. Mancava un’adeguata terminologia e non stupisce che diversi avvenimenti, presentati con parole semplici, possano risultare oggi ambigui e inverosimili.

Facciamo un esempio senza andare molto indietro nella storia. Sappiamo che i pellerossa d’America chiamavano “cavallo di ferro” il treno a vapore. Il treno era di metallo e consentiva alle persone di spostarsi da un luogo a un altro proprio come fa il cavallo, unico mezzo di trasporto conosciuto dai nativi americani. Con l’espressione “cavallo di ferro” i pellerossa non stavano lavorando di fantasia ma cercavano di descrivere, come potevano, un oggetto per loro straordinario ma reale.

Provate per un attimo a descrivere le caratteristiche e il funzionamento di un moderno telefono cellulare, utilizzando esclusivamente un vocabolario elementare e privo di terminologia tecnico-scientifica, come ve la cavereste? Il risultato non sarebbe molto diverso da certe descrizioni apparentemente surreali che ritroviamo nei testi delle prime civiltà e nella Bibbia.

Cerchiamo quindi di entrare nella letterarietà di certi racconti del passato con mente più aperta, chiedendoci prima di tutto quale potrebbe essere il fenomeno che ci viene presentato, tenendo conto di una possibile storicità degli eventi narrati. Immaginiamo ad esempio l’impegno sostenuto dal profeta biblico Ezechiele, quando, con la terminologia di cui disponeva, tentò di descrivere qualcosa che andava oltre ogni sua capacità di comprensione:

«Io guardai, ed ecco venire dal settentrione un vento tempestoso, una grossa nube con un fuoco folgorante e uno splendore intorno a essa; nel centro vi era qualcosa, come un bagliore di metallo in mezzo al fuoco.

Al centro appariva la sagoma di quattro esseri viventi. Questo era il loro aspetto: avevano aspetto umano. Ognuno di essi aveva quattro sembianze e quattro ali. Le loro gambe erano dritte e la pianta dei loro piedi era come la pianta del piede di un vitello; e brillavano come il bagliore del bronzo lucente. Avevano mani d’uomo sotto le ali, ai loro quattro lati; tutti e quattro avevano le loro sembianze e le loro ali. Camminando, non si giravano; ognuno camminava diritto davanti a sé. Mentre guardavo, ecco una ruota in terra, presso ciascuno di essi, accanto a tutti e quattro. L’aspetto delle ruote era come il bagliore del crisolito; tutte e quattro si somigliavano; la loro struttura appariva come se una ruota fosse in mezzo a un’altra ruota. Quando si muovevano, andavano tutte e quattro dal proprio lato e nel loro muoversi, non si voltavano. I loro cerchi erano alti e imponenti; i cerchi di tutte e quattro erano pieni d’occhi tutt’intorno. Quando gli esseri viventi camminavano, le ruote si muovevano accanto a loro; quando gli esseri viventi si alzavano su da terra, si alzavano anche le ruote; perché lo spirito degli esseri viventi era nelle ruote. Sopra le teste degli esseri viventi c’era come una volta di un bagliore come di cristallo di ammirevole splendore, e si estendeva su in alto, sopra le loro teste. Sotto la volta le loro ali erano diritte, l’una verso l’altra; ciascuno ne aveva due che coprivano il corpo. Quando camminavano, io sentivo il rumore delle loro ali, come il rumore delle grandi acque, come la voce dell’Onnipotente: un rumore di gran tumulto; quando si fermavano, abbassavano le loro ali; si udiva un rumore che veniva dall’alto, dalla volta che era sopra le loro teste. Al di sopra della volta che era sopra le loro teste, c’era come una pietra di zaffiro, che pareva un trono; e su questa specie di trono appariva come la figura di un uomo, che vi stava seduto sopra, su in alto» (Ez 1, 4-27).

... se fossimo vissuti a quel tempo, privi di un’adeguata terminologia, non avremmo trovato modo migliore per descrivere un oggetto volante, un non meglio specificato mezzo di trasporto aereo. In sostanza, utilizzando una voce recentemente inserita nel dizionario latino Lexicon edito dal Vaticano, Ezechiele ci descrive una Res Inexplicata Volans (riv), qualcosa di volante non spiegabile.

A questo punto vale la pena chiedersi se avvenimenti ritenuti fabulosi o miracolistici possano in realtà essere ricondotti a concrete tecnologie oggi decifrabili.

Un’indagine biblica

Uno dei primi a presentare al pubblico un’indagine biblica sulle manifestazioni di oggetti volanti fu Erich von Dàniken. Nel 1968, lo scrittore di origine svizzera pubblica Chariots of the Gods (I carri degli Dèi), un testo audace che affronta l’argomento affermando la possibilità che il profeta Ezechiele sia stato testimone in prima persona dell’awicinamento di un veicolo volante. Ezechiele fu sacerdote di Gerusalemme; finì a Babilonia tra coloro che furono deportati nel 597 a.C. dopo la prima conquista di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor. Cinque anni più tardi iniziò a descrivere una serie di straordinari avvenimenti che si protrarranno lungo l’arco di diciannove anni. Mitologia o realtà storica? Diffìcile dirlo. Poco dopo la pubblicazione di Chariots of the Gods, il ricercatore Josef F. Blumrich, ex ingegnere capo della nasa’s Advanced Structural Development Branch, decide di prendere in esame le informazioni riportate da von Dàniken per smentirne i contenuti relativi alle misteriose descrizioni del profeta biblico. Blumrich approccia il testo del ricercatore svizzero con la certezza di riuscire a smantellare la fantasiosa tesi dello scrittore grazie alle proprie competenze nella progettazione di veicoli aerospaziali. Qualcosa però costringe Blumrich a riconsiderare i suoi propositi.

Sebbene la terminologia utilizzata dagli autori biblici fosse estremamente povera e l’utilizzo di questi testi a scopo teologico avesse trasformato le cronache degli eventi in senso “miracolistico”, l’ingegnere della nasa riesce ugualmente a individuare nei racconti del profeta numerose caratteristiche conformi alla descrizione di una reale navicella in grado di effettuare spostamenti di tipo ascensionale e discensionale alfinterno dell’atmosfera.

A questo punto Blumrich deve di fatto allinearsi alle idee di von Dàniken e ne rimane a tal punto affascinato che nel 1974 pubblica i risultati del suo studio in un libro dal titolo The Spaceship of Ezekiel (lett. “L’astronave di Ezechiele”), inserendovi persino un bozzetto della possibile navicella in questione.

Per la cronaca, il disegno di Blumrich mostra una straordinaria somiglianza con la capsula Gemini, veicolo spaziale di piccole dimensioni prodotto negli anni ‘60 nell’ambito del programma Apollo.

Il velivolo illustrato da Blumrich presenta ruote retrattili e congegni a pale rotanti pieghevoli direzionabili che, si suppone, avessero lo scopo di rendere più dolce la discesa della navicella e il volo in atmosfera. Passando alle specifiche tecniche, Blumrich scrive nel suo libro:

«tutte queste proprietà sono in grado di interagire e non paiono lasciare spazio a problemi non risolti, segnando in modo inconfutabile una progettazione di elevata competenza».

All’interno della nasa, Blumrich non fu il solo a esporsi pubblicamente su questo tipo di indagini. Nel 2007 Richard Stothers, docente a Harvard e membro del Goddard Institute for Space Studies della nasa, pubblica un articolo dal titolo Unidentified flying objects in classical antiquity (lett. “Oggetti volanti non identificati nell’antichità”) in cui sostiene che i fenomeni riportati nelle cronache di molte antiche civiltà, sono teoricamente riconducibili a manifestazioni ufologiche e andrebbero pertanto indagati da un punto di vista “clipeologico”, intendendo con tale termine quell’area di ricerca diretta a evidenziare possibili testimonianze di natura ufologica lasciate dai popoli del passato.

Indagini senz’altro affascinanti che, se da una parte riescono ad attirare anche l’attenzione degli specialisti, dall’altra si scontrano con rigidi ambienti accademici pronti a screditare qualsiasi congettura possa mettere in discussione quel “sapere” che appare ormai sancito.

Questo testo è estratto dal libro "I Geni Manipolati di Adamo".

Data di Pubblicazione: 1 ottobre 2017

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