L'autosuggestione per guarire.
Estratto del libro "Il Dominio di Se Stessi" di Emile Coué
Dominare se stessi
L'argomento della suggestione, o più precisamente dell’autosuggestione, è per certi aspetti nuovo, per altri vecchio quanto il mondo. È nuovo nel senso che, fino a oggi, è stato studiato in modo sbagliato e, di conseguenza, mal conosciuto; è vecchio perché risale all’apparire dell’uomo sulla terra.
L’autosuggestione è uno strumento che noi possediamo dalla nascita e questo strumento, o meglio questa forza, è dotata di una potenza inaudita, incalcolabile che, secondo le circostanze, produce i migliori o i peggiori effetti. La conoscenza di questa forza è utile a ciascuno di noi, ma in particolare è indispensabile ai medici, ai magistrati, agli avvocati e agli educatori.
Quando si è in grado di metterla in pratica in modo cosciente, si evita anzitutto di provocare negli altri autosuggestioni negative, le cui conseguenze possono essere disastrose; e inoltre se ne provocano coscientemente di positive, che riportano la salute fisica nei malati e la salute morale nei neuropatici e nei fuorviati, che sono vittime incoscienti di autosuggestioni anteriori, e avviano sulla buona strada spiriti che avevano tendenza a mettersi su quella cattiva.
L’essere conscio e l’essere inconscio
Per ben comprendere i fenomeni della suggestione e per conoscere natura e meccanismi dell’autosuggestione, è necessario sapere che esistono in ciascuno di noi due individui assolutamente distinti l’uno dall’altro. Entrambi sono intelligenti; ma, mentre l’uno è conscio, l’altro è inconscio, e per questa sua peculiare natura, resistenza del “secondo individuo” passa generalmente inavvertita.
Tuttavia, questa esistenza è facile da constatare, ad esempio attraverso l’osservazione di alcuni fenomeni: tutti conoscono il sonnambulismo, tutti sanno che un sonnambulo si alza di notte, senza svegliarsi, esce dalla stanza dopo essersi vestito o meno, scende le scale, attraversa corridoi e, dopo aver eseguito alcune azioni o aver portato a termine un determinato lavoro, ritorna nella stanza, si ricorica e l’indomani si stupisce enormemente quando si accorge che il lavoro che egli aveva lasciato sospeso il giorno prima è compiuto. E tuttavia è lui che lo ha fatto, anche se non ne sa nulla. A quale forza ha ubbidito il suo corpo, se non a una forza incosciente, al suo inconscio?
Consideriamo ora il caso di un alcolizzato, colpito da delirium tremens. Quasi preso da un eccesso di demenza, afferra un’arma qualsiasi - coltello, martello, accetta - e colpisce, colpisce furiosamente quelli che hanno la disgrazia di essergli vicini. Quando, terminato l’eccesso, l’individuo rientra in sé, contempla con orrore la scena di carneficina che si offre al suo sguardo, ignorando che lui stesso ne è l’autore. Anche in questo caso non è l’inconscio che ha trascinato questo infelice?
Se paragoniamo l’essere cosciente all’essere incosciente, constatiamo che mentre il cosciente è dotato spesso di una labile memoria, l’incosciente al contrario è provvisto di una memoria straordinaria, impeccabile, che registra a nostra insaputa i minimi avvenimenti, i minimi fatti della nostra esistenza. E inoltre è credulo e accetta, senza ragionare, tutto quello che gli si dice. E poiché è lui che presiede al funzionamento di tutti i nostri organi per mezzo del cervello, avviene un fatto che sembrerà piuttosto paradossale: se egli crede che questo o quell’organo funzioni bene, esso funzionerà realmente bene; se al contrario ritiene che funzioni male, quell’organo, in realtà, funzionerà male. Non soltanto l’incosciente presiede alle funzioni del nostro organismo, ma presiede anche al compiersi di tutte le nostre azioni, qualunque esse siano.
È lui che chiamiamo immaginazione e che, contrariamente a quanto è generalmente ammesso, ci fa sempre agire anche e soprattutto contro la nostra volontà, quando vi sia antagonismo fra queste due forze.
Volontà e immaginazione
Se sfogliamo un dizionario e cerchiamo il significato del vocabolo volontà, ci imbattiamo in una definizione simile alla seguente: «Facoltà di aderire liberamente a certi atti». Noi accettiamo questa definizione come vera, inattaccabile. Ora, nulla è più erroneo!
Questa volontà che noi rivendichiamo così fieramente cede sempre il passo all’immaginazione. È una regola assoluta, che non soffre nessuna eccezione. Per convincervene, aprite gli occhi, guardatevi attorno e cercate di comprendere quanto vedete.
Vi renderete conto che ciò che dico non è una teoria campata in aria, frutto di un cervello malato ma la semplice espressione di ciò che è! Supponiamo di porre sul suolo un’asse lunga dieci metri e larga venticinque centimetri: tutti saranno capaci di percorrerla da un capo all’altro senza uscirne fuori.
Cambiamo le condizioni dell’esperimento e supponiamo che l’asse sia posta all’altezza delle torri d’una cattedrale: chi mai sarà capace di avanzare d’un solo metro per questo stretto cammino? Forse voi? No, senza alcun dubbio. Appena fatti due passi vi mettereste a tremare e, malgrado tutti gli sforzi della vostra volontà, cadreste. Perché non cadete se l’asse è posta sul suolo e perché cadete se essa è sollevata? Semplicemente perché nel primo caso voi immaginate che sia semplice percorrerla tutta, mentre nel secondo immaginate di non poter farlo.
Per quanto la vostra volontà di avanzare sia forte, se immaginate di non poterlo fare, sarete nell’impossibilità assoluta di farlo. Se alcuni individui sono capaci di compiere quest’azione è perché immaginano di poterla compiere.
La vertigine non ha altra causa se non l’immaginazione che noi creiamo di dover cadere: questa immagine si trasforma immediatamente in atto, malgrado tutti i nostri sforzi di volontà, anzi, lo fa tanto più rapidamente quanto più i nostri sforzi sono violenti.
Consideriamo una persona che soffre d’insonnia. Se essa non farà sforzi per dormire, rimarrà tranquilla nel suo letto. Se, al contrario, vuole dormire, quanti più sforzi farà, più si ecciterà.
Non avete mai notato che quanto più tentate di ricordare il nome di una persona che credete di aver dimenticato tanto più esso vi sfugge, fino al momento in cui, sostituendo nel vostro cervello l’idea con un’altra qualsiasi, vi si ripresenta spontaneo, senza il minimo sforzo?
Quelli che sanno andare in bicicletta ricordino le loro prime prove, quando erano per strada, attaccati al manubrio nel timore di cadere. D’un tratto, scorgendo in mezzo alla strada un semplice ciottolo, essi cercavano di evitare l’ostacolo, ma, più si sforzavano di evitarlo, più si dirigevano dritti verso di esso!
A chi non è successo di doversi trattenere dal ridere e invece il riso scoppiava più violento quanto maggiori erano gli sforzi per reprimerlo?
Che cosa diceva il vostro intelletto in queste differenti circostanze? «Vorrei non cadere, ma non posso impedirmelo; vorrei evitare l’ostacolo, ma non lo posso fare; vorrei trattenere il riso, ma non ci riesco». Come si vede, in tutti questi conflitti è sempre l’immaginazione che vince sulla volontà, senza alcuna eccezione.
Nello stesso ordine di idee, noi vediamo che un capitano che si precipita in avanti, alla testa delle sue truppe, le trascina sempre con sé, mentre il grido «si salvi chi può» determina quasi fatalmente la sconfitta. Perché? Perché, nel primo caso gli uomini immaginano di dover procedere e, nel secondo, immaginano d’essere già vinti e di dover fuggire per sottrarsi alla morte.
Panurgio non ignorava il contagio dell’esempio, cioè la forza dell’immaginazione, quando, per vendicarsi del mercante con cui navigava, gli comperava il montone più grosso e lo gettava in mare, sicuro in anticipo che tutto il gregge lo avrebbe seguito, come infatti accadde. Noi uomini somigliamo più o meno alle pecore e, anche contro la nostra volontà, seguiamo irresistibilmente l’esempio altrui, immaginando di non poter fare altrimenti.
Potrei citare mille altri esempi, ma temo di annoiarvi. Non posso tuttavia passare sotto silenzio un fatto, che mostra l’enorme potenza dell’immaginazione o, in altre parole, dell’inconscio in lotta contro la volontà. Esistono ubriachi che vorrebbero smettere di bere, ma sono incapaci di mettere in pratica questa rinuncia.
Interrogateli, vi risponderanno con piena sincerità che desidererebbero essere sobri, che il vino li disgusta, malgrado la loro volontà.
Ugualmente alcuni delinquenti commettono delitti loro malgrado e quando gli si chiede il motivo del loro agire rispondono: «Non ho potuto trattenermi, mi sono sentito trascinare, era più forte di me». L’ubriaco e il delinquente dicono la verità: sono costretti a fare quanto hanno fatto, per la sola ragione che si immaginano di non poter agire diversamente.
Ed ecco che noi, così fieri della nostra volontà, che crediamo di compiere liberamente ogni nostra azione, non siamo in realtà se non delle marionette, di cui la nostra immaginazione tiene tutti i fili: noi non smettiamo d’essere delle marionette se non quando abbiamo imparato a guidare quest’ultima.
Questo testo è estratto dal libro "Il Dominio di Se Stessi".
Data di Pubblicazione: 29 settembre 2017