SPIRITUALITÀ ED ESOTERISMO

Il Sussurro degli Angeli - Anteprima del libro di Kyle Gray

Crescere e imparare e Descrivere l’aldilà

Crescere e imparare

La notte in cui la nonna è morta mi ha segnato per la vita, anzi anche oltre, perché secondo me le esperienze che viviamo sul piano terreno sono soltanto una piccola parte di ciò che vivremo nel corso dell’eternità. Quell’episodio mi ha condizionato da molti punti di vista. Non è stato solo un momento di lutto nella mia giovane esistenza, ma anche l’istante in cui sono cambiato per sempre.

Vorrei portarvi con me mentre ripercorro quei primi anni, perché quell’attimo ha messo in moto ogni cosa. Se, a mio parere, la vita è una serie di occasioni di apprendimento, molte delle quali generate dalle nostre scelte, ritengo anche che ci siano avvenimenti fondamentali, capaci di determinare gli eventi successivi. Se sarete così gentili da tornare con me nel mondo di quel bambino di quattro anni, forse capirete cosa è accaduto e come sono arrivato dove mi trovo oggi.

Quella notte la nonna mi ha mostrato un rapido scorcio del mio destino. Da allora ho imparato a comunicare con gli angeli e, pur essendo ancora giovane, ho compreso che questo è lo scopo della mia vita. Di sicuro è cominciato tutto quella notte e ringrazio la nonna per ogni cosa magnifica che mi è successa da allora. Con lei avevo un rapporto bellissimo e molto solido, e ce l’ho ancora benché non sia più qui in forma fisica.

La mia nonna materna si chiamava Agnes; anche lei e mia madre erano molto legate, perciò era naturale che io entrassi a far parte di quel gruppetto dal giorno in cui sono nato. Quei forti influssi femminili negli anni dell’infanzia mi hanno plasmato e mi hanno aiutato a rendermi conto dei miei sentimenti e del mio lato sensibile. Anche quando quella sensibilità lavorava contro di me a scuola, non potevo desiderare che svanisse, perché mi illuminava l’esistenza.

Prima che la nonna si trasferisse da noi, vivevamo molto vicini gli uni all’altra: noi abitavamo in una casa nuova in cima a una collina, e la nonna in quella dove era nata la mamma. La distanza era tutt’al più di tre minuti e vedevo Agnes ogni giorno. Poi, quando ha traslocato da noi, sebbene mia madre le dedicasse molte attenzioni, ho avuto anche l’opportunità di instaurare un legame saldo con entrambe.

Quando avevo tre anni, sono stato molto malato per circa un anno e ciò mi ha avvicinato ancora di più alla nonna. Avevo la sindrome di Guillain-Barré, una malattia in cui il sistema immunitario aggredisce una parte del sistema nervoso periferico. In parole povere, l’organismo entra in guerra con se stesso. È accaduto in seguito a un brutto raffreddore. È iniziato tutto con un senso di debolezza e con fitte e formicolii alle gambe, che si sono aggravati rapidamente finché, un giorno, non sono più riuscito a camminare. I medici hanno temuto il peggio e in un primo momento mi hanno diagnosticato una meningite. Ricordo ancora che mi hanno fatto una puntura lombare, una delle esperienze più sgradevoli della mia vita, e che ho urlato a squarciagola. Per nove mesi sono rimasto paralizzato dalla vita in giù. Sono stato ricoverato per qualche tempo allo Yorkhill Hospital, l’ospedale pediatrico di Glasgow, ma sono stato molto fortunato perché a quattro anni sono guarito. Si tratta di una patologia molto rara - secondo i medici colpisce solo una persona circa su centomila - e sono grato di non aver riportato danni permanenti a parte i piedi piatti, cui nemmeno mesi di fisioterapia sono riusciti a porre rimedio.

La paralisi è il ricordo più vivido di quel periodo, ma non è del tutto spiacevole. Rammento che ha portato ancora più amore nella mia esistenza. Sedevo sulle ginocchia della nonna per ore di fila, e lo adoravo. Lei sarebbe finita sulla sedia a rotelle e io non avrei più camminato, perciò saremmo stati grandi amici. Le volevo un mondo di bene.

Ho molti bei ricordi anche del periodo precedente. La nonna aveva sempre con sé una borsetta da cui estraeva qualunque cosa le chiedessi. Un giorno ero con lei sul sedile posteriore della macchina mentre mamma e papà andavano a ritirare un orologio da qualche parte. Ho detto che avevo fame e la nonna ha tirato fuori un coltello e un pezzo di formaggio avvolto nella carta cerata. Era tipico di lei. Non si poteva mai prevedere cosa avrebbe pescato dalla borsetta. Quel tipo di formaggio continuo a chiamarlo «formaggio della nonna» perché Agnes sembrava averne sempre un po’ con sé come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Non sopportavo il pensiero che fosse sola senza di me, così le lasciavo dei giocattoli che le facessero compagnia. I miei preferiti erano dei mostriciattoli di plastica e, quando me ne andavo, mi accertavo sempre che ne avesse qualcuno accanto a sé.

I ricordi di quei momenti sono ancora molto nitidi: guardare insieme il film Fantasia, accoccolarmi sulla sedia a rotelle, mangiare caramelle... Non ero il primo né l’ultimo bambino del pianeta che adorava sua nonna, e scommetto che molti lettori capiranno cosa intendo quando dico che lei era il centro del mio mondo e viceversa. Non c’è da stupirsi che abbia continuato a svolgere un ruolo così importante nella mia vita anche dopo essere morta. Ogni volta che mi vedeva, esclamava: «Ecco il mio bambino!» e io correvo da lei e ci abbracciavamo come se non ci vedessimo da mesi. In estate, quando la nonna e le sue vicine facevano quattro chiacchiere all’aperto e le altre vecchiette dicevano: «Ecco Kyle, ecco il mio bambino!», la nonna andava su tutte le furie. «No, no, no!» urlava. «È il mio bambino!».

Uno dei ricordi che conservo con maggiore affetto è la sua passione per le chincaglierie: entrava in un negozio, sceglieva un oggetto a caso, lo definiva un «tesoro» e si mostrava entusiasta. È un comportamento molto gradito ai bambini, perché anche loro pensano che le cianfrusaglie siano stupende, così io e la nonna eravamo molto complici e apprezzavamo nella stessa misura il ciarpame che scopriva durante le sue esplorazioni.

Con il passare del tempo, tuttavia, queste minuscole parti della sua personalità hanno cominciato a svanire. Non poteva uscire da sola, dunque non era libera di andare in cerca di oggetti. Non poteva neppure scendere fino ai negozi per comprare un sacchetto di caramelle. Di certo molti di voi conosceranno l’impercettibile tristezza che si presenta quando la vita su questo piano è vicina alla fine. All’epoca ero troppo piccolo per capire che quel momento della vita terrena è solo una fase passeggera, ma ora so che il dolore, il lutto, la sofferenza e la vecchiaia sono solo tappe del viaggio e ci danno la possibilità di passare alla fase successiva. Con l’aiuto degli angeli possiamo trarre conforto da questa certezza, e sono stato molto fortunato a ricevere questa preziosa consolazione la notte in cui la mia amata nonna è morta.

Prima di spegnersi ha sofferto per un po’ di enfisema allo stadio terminale. Era attaccata al respiratore, aveva gambe e piedi gonfi e non riusciva a muoversi. Aveva sempre una coperta sulle ginocchia ed evidentemente era tormentata dal dolore, eppure continuo a ricordarla come quella di sempre, anche nei periodi in cui stava davvero male. Era una persona molto pacata.

In seguito la mamma mi ha riferito altri dettagli della sua morte. La nonna se nera andata la notte in cui l’avevo vista, mentre mia madre era in ospedale con lei. Quando mi sono alzato quel mattino, la mamma era stata in piedi tutta la notte, in preda a una profonda disperazione e senza sapere cosa fare. Non riusciva a decidere se informarmi o meno ma, dato che ero così piccolo, ha optato per un approccio graduale anziché rovesciarmi addosso la notizia non appena ho aperto gli occhi quel giorno. Lei e papà avevano stabilito di portarmi fuori a pranzo e di rivelarmi l’accaduto allora.

Siamo andati in uno di quegli insulsi ristoranti per famiglie e ci siamo seduti a un tavolo. Dopo aver ordinato, la mamma mi ha preso la mano.

«Kyle», ha esordito, «ascoltami bene. Devo dirti una cosa triste. La nonna è volata in cielo».

Non ho capito. Avevo una vaga idea di cosa fosse il paradiso, ma credevo che occorresse essere morti per entrarci.

«Non è vero», ho dichiarato. «L’ho vista ieri notte».

«Deve essere stato un sogno, perché la nonna se n’è andata». Mi ha abbracciato.

Non aveva senso, ma mi fidavo di mia madre. Ero sicuro che non mi avrebbe mai mentito. «Significa che non la rivedrò mai più?». Avevo le lacrime agli occhi.

«Temo di sì». Si è commossa a sua volta.

«Ma voglio rivedere la nonna!» ho urlato. «Voglio rivederla!».

«Lo so. Lo vorrei anch’io, Kyle, ma non possiamo. Non possiamo e basta. E volata in cielo. Ci ha lasciati. Mi dispiace tanto».

Ero confuso. La nonna era stata in camera mia la notte precedente, mi aveva accarezzato e mi era sembrata più sana di quanto fosse da mesi, e ora mi dicevano che se nera andata per sempre. Che cosa stava succedendo?

Fu un momento orribile. Anche se i bambini elaborano la morte in modo molto diverso dagli adulti e passano da un’emozione all’altra quasi senza accorgersene, ho provato un senso di vuoto incolmabile. Sarei stato meglio se avessi saputo ciò che so oggi? Sì, senza dubbio.

Descrivere l’aldilà

Da piccolo mi hanno insegnato che le persone buone andavano in paradiso. Oltre a confortarmi e incoraggiarmi, quell’idea mi imponeva anche una certa disciplina, perché temevo sempre che le cattive azioni mi avrebbero impedito di accedere al paradiso. Nella nostra cultura, tuttavia, molti imparano fin da piccoli che la morte è qualcosa di cui aver paura. Ciò non aiuta quando dobbiamo affrontare la perdita di una persona cara, soprattutto se dobbiamo spiegare l’accaduto a un bambino.

Se mai foste costretti a farlo, non menate il can per l’aia: siate sinceri e i bambini si fideranno di voi. Dite loro che il corpo è come un’automobile. Ci trasporta come un veicolo, ma non dura per sempre. Quando la macchina si rompe, però, non significa che il viaggio sia finito.

Spiegate a vostro figlio che l’essenza dell’individuo è racchiusa nel suo cuore. Quando il corpo non funziona più, ci facciamo spuntare le ali e voliamo verso un luogo bellissimo da cui possiamo vegliare sulla nostra famiglia.

E molto semplice per i bambini accettare il concetto dell’aldilà, perché possiedono un’immaginazione straordinaria. Traggono una profonda consolazione da questa idea, e probabilmente scoprirete che addirittura vedono i familiari deceduti. Dite a vostro figlio che i defunti li sentono dal paradiso e che, se ascoltano con attenzione, anche loro li udiranno. Non provate vergogna né imbarazzo quando parlate loro di persone che sono morte. I bambini hanno un’incredibile larghezza di vedute. Apprezzano il conforto quando qualcuno glielo offre, dunque siate generosi con gli aneddoti e i ricordi.

Ci aggrappiamo agli insegnamenti ricevuti durante l’infanzia, pertanto abbiamo la responsabilità, come adulti amorevoli e affettuosi, di assicurarci che i nostri figli custodiscano nella memoria le cose positive, non quelle negative. Credere nell’aldilà li aiuterà a superare la paura della morte. Prima o poi tutti dobbiamo attraversare questa fase durante il viaggio, quindi perché negare la consolazione ai bambini?

Ai vostri figli dite anche che hanno uno speciale amico invisibile, un angelo, creato apposta per proteggerli durante la vita. Se perdono qualcosa, oppure se sono spaventati o preoccupati, possono rivolgersi a lui. Se pensano all’angelo e chiedono mentalmente aiuto, lui si prenderà cura di loro.

Date ai bambini amore e conforto ogni volta che potete. Circondateli di messaggi positivi e incoraggiateli ad accettare il lato spirituale dell’esistenza. In questo modo darete loro qualcosa di molto più prezioso degli oggetti materiali: la serenità e l’appagamento. Che cosa potreste desiderare di più?

Questo testo è estratto dal libro "Il Sussurro degli Angeli".

Data di Pubblicazione: 30 settembre 2017

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