Sull'orlo del baratro
Sull'orlo del baratro
Se volessimo individuare il punto di svolta della cosiddetta "Primavera araba", ossia quel grande esperimento geopolitico che dai primi mesi del 2011 ha operato un vero e proprio cataclisma nei Paesi del Nordafrica e del Medio Oriente, potremmo indicare la data del 21 agosto 2013. Nelle prime ore di quella mattinata, infatti, stando al comunicato diffuso poco dopo dalla Casa Bianca, il direttore dell'intelligence USA, James Clapper, affermava che 1429 persone erano state uccise in un massiccio attacco chimico a Ghouta, un sobborgo alle porte di Damasco.
Che cosa si sapeva, fino a quel momento? Nulla di preciso, ma per i governi occidentali e i grandi network una cosa non ammetteva dubbi: il colpevole era «il regime sanguinario di Bashar al-Assad».
Tutti gli osservatori segnalarono subito l'alta percentuale di bambini tra le vittime. Gli Stati Uniti ne contarono 426, ossia più di un terzo. Alcuni, ma non i Servizi statunitensi né i loro omologhi francesi, rimasero colpiti nel constatare che quasi tutti avevano la stessa età, ma non, stranamente, una famiglia che li piangesse. Ancora più strano era il fatto che i gas avevano ucciso solo bambini e uomini, non donne.
L'ampia diffusione sui canali satellitari di immagini delle vittime consentì ad alcune famiglie alawite dei dintorni di Latakia di riconoscere i propri figli, rapiti due settimane prima dai "ribelli".
Statunitensi, britannici e francesi concordarono sul fatto che le vittime erano state uccise da un gas neurotossico che, secondo loro, era sarin o conteneva sarin. Essi sostenevano di basarsi sulle analisi effettuate nei loro laboratori su campioni raccolti da ciascuno dei loro Servizi. Questa versione, immediatamente avvalorata dai vertici dell'organizzazione Médecins Sans Frontières, troneggiando su tutti i media del mondo, avrebbe spianato la strada alla guerra.
In tal senso spinse anche una sbalorditiva "indagine" condotta da ispettori dell'ONU che, pur senza indicare apertamente il mandante della strage e - cosa più grave - senza aver potuto ancora raccogliere sul posto campioni dell'ipotetico gas, montava un quadro probatorio che avrebbe dovuto inchiodare senza appello il governo di Damasco.
Benché fosse indiscutibile che dei bambini erano morti per intossicazione chimica, non era affatto certo che fossero stati "gasati". I video che li mostravano in agonia lasciavano vedere una bava bianca, mentre il sarin ne provoca una gialla.
Le tre potenze occidentali convenivano tuttavia nell'attribuire con certezza la responsabilità di questo avvenimento all'esercito arabo siriano. In un discorso tenuto il 30 agosto, nove giorni dopo l'attacco a Ghouta, il segretario di Stato John Kerry disse:
«Sappiamo da dove e in quale momento i razzi sono stati lanciati. Sappiamo dove e quando sono atterrati. Sappiamo che i razzi provenivano solo da zone controllate dal regime...».
Il direttore dell'intelligence statunitense precisava che i suoi Servizi avevano osservato, durante i quattro giorni precedenti, i militari siriani mentre stavano miscelando le componenti chimiche. Il presidente della Commissione britannica sui Servizi segreti, Jon Day, assicurò che per l'esercito siriano non era certo la prima volta e che, anzi, esso aveva utilizzato i gas ben 14 volte, dal 2012, cioè tante quanti i casi comprovati di uso di armi chimiche da parte degli Stati Uniti durante la seconda guerra del Golfo.
Le rivelazioni dei Servizi statunitensi, britannici e francesi
Le rivelazioni dei Servizi statunitensi, britannici e francesi erano inoltre corroborate da una presunta intercettazione telefonica. Un alto funzionario della Difesa siriano, secondo le informative fatte circolare, avrebbe chiamato, in preda al panico, il capo dell'Unità dei gas chimici a proposito del massacro. Tuttavia, questa intercettazione non era stata effettuata da statunitensi, britannici o francesi, ma venne loro fornita dall'Unità 8200 del Mossad israeliano.
Il 21 agosto 2013 era dunque tutto pronto per l'attacco NATO alla Siria. Già da due anni le autorità statunitensi, seguite dai fedeli alleati francesi, inglesi e dalle petromonarchie del Golfo, davano ormai per imminente la sconfitta dell'esercito del «dittatore siriano».
Nel giugno del 2013, due mesi prima di quell'infausta giornata, i goveri occidentali avevano lanciato un avvertimento ufficiale a Bashar al-Assad: se avesse «osato sopprimere la rivolta popolare» con l'uso di armi c imiche, avrebbe varcato una «linea rossa» senza ritorno. E la atale red line, come ripeteva all'unisono tutto il mainstream internazionale, era stata oltrepassata nelle prime ore di quell'afosa giornata agostana. Non poteva quindi esserci più alcun dubbio o tentennamento su quale avrebbe dovuto essere la sorte del «macellaio di Damasco» Dopo aver ricevuto una telefonata da parte di un generale americano, Hollande ordinava di attivare i piani di attacco. I Rafale venivano armati con missili da crociera Scalp, con raggio di quattrocento chilometri. Decine di navi da guerra NATO venivano posizionate davanti alle coste siriane. Ma il 1° settembre Obama chiamò Hollande: «Attacco rimandato, devo ascoltare il Congresso».
Il 3 settembre, due missili NATO sono lanciati «dal centro del Mediterraneo» verso la Siria ma «finiscono in mare». Secondo un giornale libanese, i due missili erano stati abbattuti dal sistema di difesa antimissile piazzato sulle navi della Marina russa. Per «Asia Times», invece ì russi avevano usato «disturbatori a buon mercato e potenti GPS dei missili Tomahawk, disorientabili». Secondo un'altra versione, riferita a Israel Shamir, quei missili sarebbero invece stati lanciati da israeliani per agevolare il conflitto.
Ma ecco il colpo di scena: Bashar al-Assad, su consiglio del presidente russo Putin e del suo ministro degli Esteri Sergej Lavrov, offre di consegnare e sue armi chimiche all'ONU, affinché ne prenda in custodia l'arsenale. Una mossa che spiazza tutti coloro che pregustavano , fine del "dittatore siriano", costringendoli a una rapida virata. «Nei aiorni a seguire, il mancato intervento provocò una reazione preoccupata in alcuni esponenti del governo israeliano», i quali si prefiggevano dopo l'attacco contro la Siria, un blitz contro i ban.
Il grande desiderio di vendetta contro la Russia di Putin si accende aui dopo il coitus interruptus bellico contro la Siria1®. E da qui nasce anche la "fase due" del conflitto con la Russia, che si concretizzerà qualche mese dopo con un colpo di Stato nei confronti del legittimo presidente dell'Ucraina.
Ma che cos'è veramente successo, a Ghouta, il 21 agosto 2013. Al di là di un resoconto subito inviato dall'unico giornalista italiano presente sul posto, il primo approfondito reportage su Ghoutaa, numerosi post pubblicati sul sito Syriatruth (peraltro realizzati da giornalisti certo non teneri con il governo di Assad) e, soprattutto, il Rapporto The Chemical Attacks on East Ghouta to Justify Military Right to Protect intervention in Syria elaborato dall'International Support Team for Mussalaha in Syria (ISTEAMS) delineano una realtà che per mesi verrà rigettata dall'intero circo mediatico e che comincerà a essere considerata solo tra la fine del 2013 e l'inizio del 2014, dopo che il Massachusetts Institute of Technology (MIT), forse il più prestigioso istituto universitario statunitense, avrà pubblicato il rapporto Possible Implica ions of Faulty US Technical Intelligence in the Damascus Nerve Agent Attack of August 21, 2013 e Seymour Hersh, l'icona del giornalismo investigativo mondiale, avrà reso nota la sua oramai celebre inchiesta Whose Sarin?.
Sulla scia del report Postol-Lloyd
Sulla scia del report Postol-Lloyd per il MIT, che smontava le congetture ipotizzate dal “gruppo pensante” ufficiale di Washington per muovere guerra alla Siria, il «The New York Times» pubblica una ritrattazione riluttante delle proprie affermazioni precedenti sulla colpevolezza del governo del presidente Bashar al-Assad.
Ma bisognerà attendere ancora anni prima di mettere la parola fine, anche se l'amministrazione Obama non è mai riuscita a ritirare le sue accuse pregiudiziali contro il governo siriano o a presentare elementi di riscontro verificabili a loro sostegno, su una vicenda che ha rischiato di essere la premessa per una terza guerra mondiale. La prova definitiva della montatura ai danni del governo siriano arriva infatti dall'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW), un ente internazionale che raggruppa la quasi totalità degli Stati a livello mondiale, il quale certifica che le tracce del gas sarin usato in quell'occasione non sono in alcun modo riconducibili agli stock di armi chimiche e biologiche in possesso del governo siriano.
Gli esperti della OPWC, in una ricerca durata oltre due anni, hanno analizzato la natura del gas responsabile della morte di tante persone, soprattutto attraverso esami tossicologici sui corpi e sul sangue delle vittime, e sono giunti alla conclusione, resa nota dal responsabile dell organizzazione Ahmet Uzumcu, che la composizione del gas impiegato è diversa da quella del gas in possesso dell'esercito siriano. Bashar al-Assad è quindi innocente per il crimine che gli veniva imputato.
Il rapporto conferma e avvalora quanto dichiarato a suo tempo dalle autorità di Damasco, secondo cui responsabile dell'attacco a Ghouta è stata, così come in altri undici casi documentati, l'opposizione armata siriana.
Tale quadro trova conferma anche nelle dichiarazioni di Ahmed al-Gheddafi al-Qahsi, aka Qaddaf al-Dam, cugino di Mu'ammar Gheddafi, secondo il quale le armi chimiche usate a Ghouta furono sottratte in Libia e poi contrabbandate in Siria attraverso la Turchia dai cosiddetti "ribelli" sostenuti dagli Stati Uniti e dalle petro-monarchie del Golfo. Da qui il pieno coinvolgimento nella "rat-line" verso la Siria dell'ambasciatore USA Chris Stephens, ucciso a Bengazi nel settembre del 2012, che naturalmente non poteva agire senza il consenso del suo diretto superiore, il segretario di Stato Hillary Clinton.
Assemblando queste inchieste, emerge uno scenario ben diverso da quello narrato per anni dai grandi media internazionali. Come affermano Eren Erdem e Ali §eker, componenti del Partito repubblicano popolare turco (CHP), fondato da Kemal Ataturk nel 1923 e sino al 1946 partito-Stato, ci troviamo di fronte a «un tipico caso di insabbiamento.
Questo testo è estratto dal libro "Isis".
Data di Pubblicazione: 2 ottobre 2017