ECOLOGIA E AGRICOLTURA

La Fabbrica dei Cuccioli - Anteprima del libro di Macrì Puricelli e Ilaria Innocenti

Fermiamo il traffico internazionale: l’amore non si compra

Un traffico senza confini

Strappati alle cure materne verso i 30-40 giorni di vita, quando hanno l’aspetto tenero e buffo che piace tanto all’acquirente, cani e gatti viaggiano soprattutto di notte su mezzi di trasporto a volte locali a volte italiani, spesso accompagnati da passaporti falsi o falsificati.

Altri arrivano nascosti nei bagagliai delle auto. Un trasporto in un bagagliaio può arrivare anche a 50 cuccioli. Altri ancora arrivano nascosti in furgoni o Tir, mimetizzati all’interno di insospettabili borsoni, in treno, persino in aereo. Il viaggio può durare anche 20 ore. 20 ore d’inferno per essere poi venduti in negozi, allevamenti, su Internet, ai caselli autostradali e persino con consegna a domicilio.

Sono i cuccioli di cane e, sebbene in numero sensibilmente inferiore, di gatto provenienti dall’Europa dell’Est, da Paesi comunitari e non, vittima di un fenomeno illegale: il traffico dei cuccioli.

L’Italia e i Paesi come la Spagna, la Francia e l’Olanda sono, infatti, il punto di arrivo di migliaia di cuccioli di cane e gatto provenienti in particolare da Ungheria, Slovacchia, Polonia, Romania, Repubblica Ceca, importati in modo truffaldino falsificando documenti, precocemente strappati alle cure delle loro madri costrette a continue gravidanze e sottoposti a infernali viaggi.

In Italia i principali committenti sono negozianti e allevatori. Questi possono mostrare agli ignari acquirenti finali presunti madri e padri «made in Italy» e proporre anche il pedigree a pagamento, quindi falso come la restante documentazione che accompagna i cuccioli.

Traffici di cani

I traffici di cani riguardano in particolare le razze di piccola taglia come shih-tzu, west highland, carlini, beagle, pinscher, chihuahua, yorkshire e bulldog terrier.

Questo traffico illegale è reso possibile da organizzazioni più o meno strutturate. Talvolta si tratta di vere e proprie organizzazioni criminali. La presenza dietro questo traffico di organizzazioni dedite ai traffici zoomafiosi è confermata anche dal Rapporto Zoomafia della Lav. L’autore, Ciro Troiano, responsabile dell’Osservatorio Zoomafia della Lav, rileva come il traffico dei cuccioli manifesti in modo spregiudicato tutto il suo potenziale criminale, confermando le preoccupazioni espresse già diversi anni fa dall’associazione, e ricorda come il fenomeno abbia suscitato l’interesse anche dell’antimafia, che lo ha citato nella sua Relazione semestrale.

Sì, perché la tratta dei cuccioli non è un fenomeno nuovo: la Lav lo denuncia da tempo. Secondo Ciro Troiano, è almeno dagli inizi degli anni Novanta del secolo scorso che la tratta dei cuccioli è presente nello scenario criminale italiano. Inizialmente i cuccioli venivano spacciati attraverso i giornali di annunci gratuiti, diffusissimi all’epoca. Il testo dell’offerta era accattivante e faceva leva sulla dolcezza e tenerezza dell’animale. Per i contatti compariva l’indirizzo di una casella postale o un numero di telefono, a volte corrispondente a luoghi pubblici, e bisognava chiedere di una determinata persona. Successivamente sono comparsi i numeri di cellulare e, ricorda Troiano, c’è stato anche il caso di un trafficante che utilizzava più numeri per gli annunci: in questo modo, oltre a creare un’apparente maggiore offerta, deviava sospetti e l’attenzione degli investigatori. Poi c’è stata l’esplosione delle varie «Fiere dei Cuccioli», ovvero di veri negozi itineranti che, presentandosi come esposizioni e mostre, vendevano sottobanco i cani. I vantaggi erano molteplici: riuscivano a ottenere spazi pubblici riservati alle mostre e agli spettacoli viaggianti; evitavano le tasse previste per le attività commerciali; i visitatori pagavano un biglietto di ingresso, quello emesso dalla Siae, essendo ufficialmente una mostra. Ma anche qui non mancava la frode: secondo Troiano, in alcuni casi è stato scoperto che i biglietti ufficiali venivano sostituiti da altri e quindi l’intero importo era incassato senza pagare alcun tipo di imposta. La gente accorreva in massa con bambini e, addirittura, arrivavano intere scolaresche, tutti attratti da un battage pubblicitario tipico degli spettacoli circensi. All’interno della «mostra» vi erano addetti che avvicinavano le persone e promuovevano la vendita degli animali, così il traffico veniva perfezionato.

Con la diffusione di Internet, i trafficanti si sono adeguati alle nuove opportunità offerte dalla Rete. Oltre a siti e negozi virtuali, persiste la vecchia pratica degli annunci su siti e pagine apposite. Ovviamente nessun riferimento al fatto che sono cani importati. Durante un’inchiesta che ha portato alla condanna di alcune persone per associazione a delinquere finalizzata al traffico dei cuccioli - come riportato nel Rapporto Zoomafia 2012 - è emerso che i trafficanti avevano creato un allevamento «fantasma», ovvero presente solo in Rete, ma pubblicizzato come reale e attivo, nel quale ufficialmente nascevano i cuccioli posti in vendita. Animali che in realtà erano importati e che attraverso l’espediente dell’allevamento virtuale acquisivano origine italiana.

Già nel 2001 viene lanciato l’allarme: il traffico dei cuccioli è un fenomeno presente nel nostro Paese. I cani acquistati per circa 50 mila lire a Budapest sono rivenduti in Italia a un milione, un milione e mezzo, e viaggiano con falsi documenti sanitari e di vaccinazioni con la complicità di funzionari veterinari e di frontiera collusi con i Paesi di provenienza. I cuccioli sono imbottiti di farmaci che ritardano gli effetti di eventuali patologie in corso. Le condizioni di trasporto sono disastrose, viaggiano per più di 48 ore ammassati in portabagagli, nascosti in camion dietro altra merce, senza bere né mangiare: queste condizioni di trasporto e le patologie in atto danno come risultato, oltre alla sofferenza degli animali, un alto tasso di mortalità.

Sempre secondo Troiano, i traffici attuali si innestano nelle rotte usate in passato per l’importazione dei cani da combattimento. È nota, infatti, fin dagli anni Novanta, l’importazione abusiva di pit bull usati nei combattimenti dall’Ungheria, dalla Slovenia, dalla Romania e da altri Paesi. Si tratta di traffici diversi, ma con molti punti in comune.

E nell’ottobre 2005 la Lav ha ottenuto la prima significativa sentenza: il Tribunale di Forlì ha condannato un allevatore cosiddetto amatoriale della provincia di Parma, per abbandono e maltrattamento di 5 cuccioli di cane griffone belga, a pagare 1.300 euro di sanzione pecuniaria, le spese processuali e a rifondere il danno morale subito dalla Lav, che nel processo si era costituita parte civile. All’allevatore non sono state neppure riconosciute le attenuanti generiche, perché risultava già condannato per avere sottratto gli stessi cuccioli alla custodia giudiziaria che gli era stata assegnata, inviandoli - a suo dire - presso un’allevatrice russa di Reggio Calabria. I fatti risalgono al 2003: i cani erano stati acquistati presso un’allevatrice russa e poi spediti al seguito di un passeggero dileguatosi al controllo doganale di un volo aereo Rostov-Forlì. Giunti in Italia debilitati e ammalati, i cuccioli erano stati subito curati grazie al pronto intervento del servizio veterinario Asl. Il Tribunale ha riconosciuto che i cuccioli erano entrati in Italia attraverso l’aeroporto Ridolfì di Forlì, struttura non abilitata al transito di animali al seguito di passeggeri, perché privo di Posto d’ispezione frontaliere.

Nei Paesi di origine i cuccioli vengono comprati per pochi euro. La mortalità è alta: si stima che sia intorno al 50% tra il trasporto e dopo l’arrivo in Italia. Un dato che lascia sgomenti, ma che non stupisce. Le condizioni di trasporto sono spesso drammatiche: alcuni viaggiano addirittura ammassati nel bagagliaio di un’auto, senza climatizzazione, immersi nei propri escrementi e non protetti nei trasportini. I viaggi sono lunghi, spossanti.

I cuccioli, strappati alle madri in tenerissima età, non sono vaccinati contro le patologie più comuni della specie. La promiscuità può essere fatale: uno starnuto, il contatto con feci infette ed ecco che il loro destino è segnato: si ammalano e spesso muoiono.

Tutto ciò perché c’è ancora chi, in luogo dell’adozione, preferisce l’acquisto di un cane o di un gatto. E non sono pochi, basta pensare che il traffico dei cuccioli è un vero e proprio business che movimenta circa 300 milioni di euro all’anno, legato al valore economico degli animali. Cuccioli dell’Est acquistati a circa 60 euro sono venduti a prezzi anche fino a 20 volte superiori, una volta «trasformata» la loro origine da Est europea a italiana.

Mercato redditizio

Il mercato è redditizio e vi sono maggior margine di guadagno e minori rischi rispetto ad altre importazioni illegali. Questi trafficanti senza scrupoli sfruttano anche la domanda di animali a basso costo, ma di razza. Il profitto è comunque assicurato: si comprano cuccioli a prezzi irrisori e si vendono sul mercato italiano a 500 euro. Ciò compensa ampiamente anche le perdite dovute all’alta mortalità dei cuccioli.

Da anni Lav studia questo fenomeno; nel 2008 ha realizzato il primo dossier e ha lanciato la campagna «Rompiamo le scatole ai trafficanti di cuccioli» con cui chiedeva una legge per punire le introduzioni illecite. E l’ha ottenuta. Il 27 ottobre 2010 il Parlamento italiano, ratificando la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, ha introdotto nell’ordinamento giuridico il reato di traffico illecito di animali da compagnia. L’Italia è il primo Paese in Europa a prevedere uno specifico reato che sanziona penalmente i trafficanti.

Il reato prevede la reclusione da tre mesi a un anno e la contestuale multa da 3 mila a 15 mila euro per chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri profitto, reiteratamente o tramite attività organizzate, introduca, trasporti, ceda o riceva nel territorio nazionaie cani e gatti privi di sistemi per l’identificazione individuale, delle necessarie certificazioni sanitarie e non muniti, ove richiesto, del passaporto individuale. La legge è utile, anzi utilissima, poiché dà un giro di vite contro i trafficanti di cuccioli. Oltre al reato, introduce anche la fattispecie di introduzione illecita e prevede sanzioni amministrative per chi introduca, trasporti e ceda cani e gatti violando la normativa. Le sanzioni sono pesanti: fino a 1.000 euro per ogni cane e gatto.

Il fenomeno è comunque molto complesso. Il Rapporto Zoomafia della Lav rileva come i confini tra commercio legale e traffico illegale siano labili e non solo perché il tragitto e la provenienza sono gli stessi ma perché molte volte, dietro importazioni legali e autorizzate, vengono celati, tra i meandri di documentazione, certificati e passaporti, animali clandestini. Come spiega l’autore, i cuccioli privi di certificati d’identificazione, ovvero scortati da false certificazioni che attestano trattamenti vaccinali e di profilassi mai eseguiti, sono poi rivenduti all’interno del territorio nazionale, con riverberi fiscali illeciti di non poco conto.

Dietro il business

Dietro questo business si nascondono gruppi organizzati che importano gli animali e li smerciano attraverso venditori compiacenti: sono circa 2 mila i cani che ogni settimana vengono importati in Italia. Dal Rapporto Zoomafia emerge che gli enormi guadagni, come alcune indagini hanno portato alla luce, vengono nascosti attraverso un sistema di società definito a «carosello»: società collegate tra di loro che emettono e utilizzano fatture per operazioni inesistenti, in modo da creare finti costi e abbattere i grandissimi utili; così questi importatori criminali evitavano anche di pagare le tasse triplicando i loro guadagni. Infine, non di rado i cuccioli vengono venduti in nero. In questo contesto si innestano anche dinamiche illegali, criminali e malate.

Il traffico dei cuccioli è un fenomeno variegato. Accanto a queste organizzazioni molto strutturate ve ne sono di «amatoriali», talvolta di tipo familiare, che gestiscono ogni fase, dall’acquisto fuori dall’Italia alla vendita nel nostro Paese. E vi è addirittura un traffico totalmente disorganizzato. È il caso di cittadini spesso stranieri che, per arrotondare, trasportano dai Paesi d’origine cucciolate per venderle in Italia. Poi c’è quello delle «badanti»: i cuccioli sono nascosti sotto il sedile di furgoncini usati per il trasporto di cittadini stranieri in ingresso nel nostro Paese.

A fronte della complessità del fenomeno in sé vi è anche quella rappresentata dalla difficile e copiosa normativa europea e nazionale che regola le movimentazioni legali di cani e gatti. Proprio per aiutare a fare chiarezza in un intricato panorama fatto di regolamenti e direttive comunitarie, leggi sanitarie e Codice penale, la Lav ha diffuso il manuale Procedure per l’esecuzione dei controlli nella movimentazione comunitaria di cani e gatti, realizzato da Lav, ministero della Salute e Fnovi (Federazione nazionale ordine medici veterinari italiani) in collaborazione con la Polizia di Stato, con il patrocinio dei ministeri degli Affari esteri e del Turismo.

Oltre a favorire la conoscenza del complesso quadro normativo che regola gli scambi commerciali di questi animali tra Paesi dell’Unione europea e la loro introduzione sul nostro territorio, il manuale, diretto a veterinari e Forze dell’ordine, ha lo scopo di ottimizzare le attività di contrasto alla tratta di cuccioli dall’Europa dell’Est verso l’Italia e l’applicazione della Legge n. 201 del 2010, che ha introdotto lo specifico reato di «traffico illecito di animali da compagnia».

Strutturato in maniera schematica, il manuale si compone di una parte testuale, che descrive le disposizioni relative alla movimentazione di cani e gatti all’interno dei Paesi dell’Unione europea e verso l’Italia e i requisiti che gli animali devono avere, rappresentando un utile strumento anche per i cittadini al fine di scoprire e denunciare eventuali irregolarità e contribuire così a individuare e punire chi commetta il «reato di traffico illecito di animali da compagnia» o la fattispecie di introduzione illecita.

Il nostro Paese è all’avanguardia nel contrasto della tratta dei cuccioli. L’Italia vieta per legge e senza deroghe l’introduzione - a scopo commerciale e non - di cani e gatti di età inferiore alle 12 settimane e non vaccinati contro la rabbia o con il protocollo vaccinale non concluso.

Dal 28 giugno è in vigore il Decreto legislativo n. 73 del 12 maggio 2015, attuazione della Direttiva 31/2013 Ue, che ha accolto la richiesta della Lav di non avvalersi della possibilità, conferita ai Paesi membri dalla normativa europea, di introdurre cuccioli di cane e di gatto, in deroga all’obbligo di vaccinazione antirabbica.

Divieto già esistente grazie a una nota ministeriale con la quale anche in passato l’Italia non si avvaleva della possibilità di tale deroga conferita ai Paesi membri dalla legislazione comunitaria precedentemente in vigore, ma oggi finalmente cristallizzato in una legge che, oltre a tutelare il benessere animale e la salute pubblica, considerando che la rabbia è una zoonosi ancora presente nei Paesi di provenienza dei cuccioli, consolida anche un’importante misura per individuare, contrastare e punire i commerci illegali.

Il modo migliore per contrastare l’illegalità resta comunque la presa di coscienza del cittadino: perché questo odioso fenomeno abbia veramente fine è necessario che si smetta di mercificare la vita, scegliendo sempre l’adozione da un canile o gattile all’acquisto.

Questo testo è estratto dal libro "La Fabbrica dei Cuccioli".

Data di Pubblicazione: 1 ottobre 2017

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