ALIMENTAZIONE   |   Tempo di Lettura: 8 min

La Macro Mediterranea

Il Cibo della Gratitudine - Anteprima del libro di Simonetta Barcella

Parlare di dieta mediterranea

“Se il tuo progetto è per un anno, semina riso.

Se il tuo progetto è per dieci anni, pianta degli alberi.

Se il tuo progetto è per cento anni, educa i bambini".
Confucio

Parlare di dieta mediterranea per alcuni significa visualizzare un cesto colmo di pane integrale, pasta, legumi, frutta, verdura, l’olio d’oliva, magari accompagnato da un bicchiere di vino. Per altri, il cibo mediterraneo prevede anche il consumo di proteine animali: pesce, carne, uova, formaggi e latticini in genere.

Scegliamo, ad esempio, un piatto della tradizione italiana molto apprezzato anche dagli stranieri. Lasagne alla bolognese: sfoglia di farina tipo 00 con uova, besciamella di latte e burro, ragù di carne con olio d’oliva sfumato al vino bianco, parmigiano abbondante. La ricetta annovera ingredienti che, alla luce dell’opinione comune, potrebbero costituire una proposta mediterranea.

Frumento, uova, pomodoro, carne, vino, olio, formaggio, burro e latte. Una preparazione perfetta.

A voler fare i pignoli, qualche difettuccio appare evidente. L’assenza quasi totale di verdure (esclusa la quantità minima di carote, cipolle e sedano nel soffritto del ragù), l’eccesso di grassi (soprattutto di tipo saturo), la presenza di cereali raffinati e trasformati, un tipo di cottura al forno che segue quella in padella e permette di ottenere una pietanza di non facile digestione.

Dire dieta mediterranea significa qualcosa di più che un elenco di materie prime che comprende praticamente ogni prodotto commestibile. Allora come possiamo orientarci? Ci serve una bussola. Il nostro ago che punta a nord.

La “dieta mediterranea”, patrimonio immateriale dell’umanità, è stata così chiamata la prima volta da un ricercatore americano, Ancel Keys, che, giunto in Campania con l’esercito americano, aveva studiato la dieta dei contadini del Cilento, e aveva ipotizzato che avesse a che fare con il loro basso rischio di ammalarsi di cuore. Ecco come descrive la loro dieta e il loro stato di salute:

«Nonostante le diete (degli uomini del Cilento, ndr) fossero uniformemente semplici e a buon mercato, gli esami clinici e le interviste non rivelavano alcun segno di deficienze nutrizionali o di grossolana inadeguatezza del cibo, e nessuno lamentava di soffrire la fame. Per di più, la maggior parte di loro era altrettanto in carne degli americani di pari età. Carne, pesce, latte, formaggio e uova erano generi di gran lusso e gran parte della dieta era costituita da pane, pasta (maccheroni, spaghetti, ecc.) e verdure del luogo. Zucchero e patate comparivano solo in minime quantità e il burro non era mai usato. Frutti e piccole porzioni di formaggio erano consumati abbastanza regolarmente».

Il mediterraneo

È il mare nostrum dell’antica Roma. Comprendeva tutte le terre conquistate dall’Impero Romano che si affacciavano sullo stesso mare. “Mediterraneo” significa proprio in mezzo alle terre. Dalle coste meridionali dell’Europa a quelle settentrionali dell’Africa fino a quelle occidentali dell’Asia. L’acqua come elemento di contatto fra le diverse popolazioni che, grazie alla loro posizione, intrecciavano fiorenti relazioni di tipo commerciale. Le rotte di navigazione sul mare Mediterraneo, relativamente brevi, permisero preziosi scambi di merce e di passeggeri. La maggior parte del traffico sulle vie d’acqua trasportava generi alimentari, freschi e conservati.

Grano, farro, orzo, miglio, fave, lenticchie, ceci, piselli, cicerchie, olio, vino, miele, ortaggi, frutta, sale e molto altro ancora. Barili di acciughe e sardine salate. Tonni e sgombri in salamoia. Pesci di piccola taglia affumicati. E sulle antiche rotte viaggiano anche i semi di piante ed erbe che si adattano magnificamente al clima mite dei paesi dell’area mediterranea.

Con la scoperta dell’America giungono a noi prodotti che sono destinati a mutare sensibilmente la cultura culinaria del Mediterraneo: pomodori, patate, peperoni, peperoncini, mais, cacao, ecc. Le tradizioni gastronomiche si arricchiscono, nel tempo, di nuove sfumature.

Se analizziamo nel dettaglio le proposte alimentari dei popoli che si affacciano sul mare tra le terre, scopriamo che la nostra storia ha origini comuni: coltiviamo gli stessi cereali, numerose varietà di legumi, una serie infinita di ortaggi e verdure; raccogliamo erbe spontanee con caratteristiche simili per cibarcene.

La dieta quotidiana che ha reso forti e sane intere popolazioni del bacino del Mediterraneo prevede, dunque, una base di tipo vegetale accompagnata da occasionali e piccole porzioni di cibo animale (soprattutto pesci di piccola taglia e qualche tocco di formaggio più o meno stagionato). La frutta fresca, ma anche essiccata. I semi oleaginosi. Noci, mandorle, nocciole. Miele e sesamo presenti in molti dolci dell’Europa meridionale sono ingredienti tradizionali di alcune preparazioni tipiche del Sud Italia.

Il gustoso hummus dell’area medio orientale utilizza ceci e fave. Il macco di fave e finocchietto è un piatto antico della cucina siciliana.

La farina di ceci la adoperiamo nella nostra gustosa cecina toscana e laziale. La farina di castagne è protagonista della polenta dolce garfagnina. Il profumato cous cous marocchino utilizza la semola di grano duro, così come i meravigliosi formati di pasta e di pane della tradizione regionale italiana. Per non citare le infinite varianti di zuppe e minestre. Non esiste paese che non annoveri, nel proprio patrimonio gastronomico, un brodo con verdure e cereali.

Il tutto condito dal prezioso olio d’oliva. L’ulivo è infatti la coltura più diffusa del Mediterraneo. Segue la coltivazione della vite e quella del grano.

Il “dolce”, così come lo conosciamo noi, approda sulla nostra tavola recentemente. Lo zucchero, come disaccaride composto da glucosio e fruttosio, era sconosciuto al mondo mediterraneo antico in quanto frutto di un procedimento di tipo industriale che si afferma solo nel ventesimo secolo.

Uvetta sultanina, fichi secchi, miele e composte di frutta e verdura. Il gusto è gradevole, semplice, naturale.

La ricotta di pecora con un filo di miele, il castagnaccio con i pinoli profumato al rosmarino, il fico secco con la mandorla al suo interno, la mela al forno con la cannella, la confettura di zucca e scorza d’arancia, il mosto cotto. Piccole leccornie. Pochi ingredienti che esaltano il sapore dolce. Cialde di farina di meliga cotte alla piastra e poi farcite con la marmellata di mele cotogne e limone. Frutti dimenticati, sapori quasi perduti ma che si possono ancora recuperare nella loro antica saggezza popolare.

La macrobiotica mediterranea, antica alchimia

Negli anni Settanta alcuni coraggiosi interpreti della Macrobiotica, trasmessa dal giapponese George Ohsawa in Occidente, promossero un regime alimentare alquanto ristretto: riso integrale con fagioli azuki, qualche alga e poco altro.

La cattiva fama di una dieta punitiva e triste si diffuse da quel dì. E non ebbe importanza il cammino che seguì al suo grigio esordio.

Parlare di macrobiotica al giorno d’oggi solleva spesso un’aria di diffidenza. A poco serve chiarire che l’etimologia ci viene in aiuto, macro ovvero grande, lungo e bios cioè vita.

Macrobiotica come aspettativa di vita lunga e, soprattutto, in salute. Ma le perplessità al riguardo sorgono spontanee. Perché utilizzare prodotti giapponesi quando noi ne abbiamo di squisiti ed ugualmente efficaci in Italia? E la nostra dieta mediterranea?

Tutto il mondo ce la invidia e cita il cibo italiano come esempio virtuoso di salute e longevità!

In effetti siamo in grado di combinare in maniera più che corretta i nostri fantastici ingredienti ed ottenere piatti tipici della tradizione italiana, sani e gustosi. Istintivamente accostiamo sapori, consistenze e colori senza aver mai sentito nominare né lo yin e né tantomeno lo yang...

Eppure le due forze agiscono contemporaneamente nella minestra di farro toscana o nella pasta alla norma alla catanese. Solo non ne abbiamo consapevolezza. Se aggiungo del sale marino alla melanzana tagliata a fette per eliminare l’amaro, sto applicando un principio macrobiotico così come seccando al sole i dolci fichi e i pomodori sui tetti dei trulli in Puglia.

Molte preparazioni di cucina semplice, quella popolare ma genuina, conoscevano il segreto per armonizzare ed equilibrare ciò che andava trasformato.

Il sole asciuga e rende possibile la conservazione di frutta e ortaggi che verranno consumati nella stagione invernale, quella più carente di prodotti freschi. Il sale concentra i succhi e permette la disidratazione.

Da tempi antichi l’uomo ha utilizzato con sapienza tecniche di concentrazione e di espansione.

La famosa “conserva” si otteneva passando i pomodori cotti al setaccio e ponendo la salsa nei piatti di terracotta a seccare al sole. Anche le noci e le nocciole asciugavano al caldo e all’asciutto. Così come i peperoni e i formati lunghi di pasta.

Al nord e al centro Italia le castagne si essiccavano in casa, sui piani alti delle abitazioni.

Il Sud si affidava al sole, il Nord al vento e al fumo.

Questo testo è estratto dal libro "Il Cibo della Gratitudine".

Data di Pubblicazione: 2 ottobre 2017

Ti è piaciuto questo articolo? Rimani in contatto con noi!

Procedendo con l'invio dei dati:

Lascia un commento su questo articolo

Caricamento in Corso...