Il potere di guarigione degli stati modificati di coscienza
“Disse allora Gesù: ‘Se un uomo non nasce dall’acqua e dallo Spirito, non può entrare nel regno di Dio’. E aggiunse: ‘Il vento soffia dove vuole, e non ne senti la voce; ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito’”.
Quando passa il soffio
La nostra vita umana è inscritta nel passaggio del soffio. Soffio divino, mistero dello Spirito Santo dei cristiani, del Grande Spirito Wakan Tanka degli Indiani d’America, del Prana degli indù, del Pneuma degli antichi greci, del Ruah degli ebrei.
Che s’infranga o diventi uragano, questo soffio non cessa di essere in movimento.
La vita, infatti, che è movimento, c’invita continuamente a passare da uno stato all’altro.
La vita umana è bipolare, e di fatto viviamo nel corso della nostra vita l’alternanza del soffio divino in tutti gli ambiti della nostra esistenza. Basta osservarlo per convincersene facilmente: giorno/notte, ordine/caos, azione/riposo, pieno/vuoto, anoressia-rifiuto di ricevere la vita/bulimia-illusione di completezza, alta marea/bassa marea, inspirazione/espirazione, diastole/sistole, stress e pressione eccessiva/depressione, gioia/tristezza, estasi/enstasi, nascita/morte, morte/rinascita, separazione/riunione, maschile/femminile, fuori/dentro, parola/silenzio, dubbio/fede...
Dobbiamo quindi muoverci in questa dualità, anche se siamo programmati per il ritorno all’unità. Il nostro corpo non presenta forse il simbolismo di questo viaggio prestandoci due piedi e due mani per avanzare e agire, ma una sola testa per pensare e un solo cuore per amare? Testa e cuore fisici assumono il paradosso accettando la loro dualità intrinseca: un cervello destro per il non-verbale, l’intuizione, la diffusione, il funzionamento transpersonale al di là dello spazio e del tempo, e un cervello sinistro per il verbale, l’analisi razionale, la precisione, la gestione del tempo; un cuore destro per pompare verso i polmoni un sangue caricato di gas carbonico,
e un cuore sinistro per inviare il sangue nuovamente ossigenato verso le decine di migliaia di miliardi di cellule che costituiscono il nostro corpo fisico.
Non è meraviglioso che nella lingua francese il termine inspiration esprima allo stesso tempo il movimento di ingresso nella vita e l’elemento che dà impulso alla creazione artistica? Ciò sembrerebbe corrispondere a ciò che si legge nella Genesi...
E non è altrettanto meraviglioso constatare che il termine expiration designa il movimento di uscita dalla vita, l’ultimo soffio reso (a chi?), nonché l’elemento frenante della creazione e dell’azione, in quanto accompagna il movimento di rilascio, di abbandono, di rilassamento? Il diaframma, muscolo essenziale della respirazione, non costituisce forse l’unità tra le energie della parte inferiore del corpo, sessuali, riproduttrici, digestive, istintive, e le energie più sottili della parte superiore che sono affettive, legate alla comunicazione, all’espressione, all’intuizione?
Sembra che siamo stati fabbricati appositamente per questo paradosso unità/dualità a partire da quell’Innominabile che vogliamo a tutti i costi nominare, e che chiamiamo Dio, Vita, Amore, Coscienza Assoluta o Spirito Universale, per non menzionare che alcuni nomi. Pare impossibile, e inutile, enumerare tutti i nomi che corrispondono al bisogno così umano di nominare il Creatore dell’universo. Nel suo paradosso, l’uomo arriva persino a dargli il nome “Colui che è al di sopra di ogni nome”. E la maturità e la saggezza spirituale non si misurano forse dalla capacità di accettare e integrare i paradossi?
Sull’onda
Seguendo l’esempio delle culture indigene di tutto il mondo, dovrebbe esserci chiaro che la morte non è il contrario della vita, e che vita e morte non sono antagoniste. Queste culture non hanno dimenticato che è la nascita a opporsi alla morte, e non la vita. Nascita e morte non sono altro che, rispettivamente, l’inizio e la fine dell’esistenza incarnata sulla nostra Terra, e designano piuttosto due forme di esperienza assai simili - il passaggio in un tunnel per accedere alla luce - una per entrare nella materia e l’altra per uscirne. Nascendo dopo i nove mesi di vita intrauterina che seguono il concepimento, incarniamo un progetto unico di avventura umana nella coscienza. Morendo più o meno sazi di anni e di esperienze, noi disincarniamo tale progetto, lasciando che il corpo fisico tomi alla terra in forma di cenere o di compost, e ripartiamo per nuove avventure nella coscienza, in un mondo immateriale ove piace pensare - e sperare - che l’Amore divino sia la regola!
Evocando la vita e la morte, il nostro passaggio sulla Terra mi fa un po’ pensare all’arte del surf, come fosse una lunga e bella sessione sulle onde della respirazione che si succedono l’una all’altra. Sollevati, portati dal mare (ancora lui!), ci lasciamo trascinare dall’onda, come con l’inspirazione che solleva l’addome, o il petto. Poi siamo placati e rassicurati dall’ondata che ci riporta sulla costa, sulla spiaggia, sulla nostra terra madre, così come siamo rassicurati dall’espirazione, che permette il rilassamento.
Dall’azione passiamo al riposo, dall’eccitazione passiamo alla calma, dalle altitudini dei nostri sorrisi scendiamo sulla piana delle angosce mortali, della realtà della nostra condizione umana. Ogni volta che raggiungiamo gli estremi della vita emozionale non facciamo altro che prendere lo slancio per andare a visitare lo stato emozionale esattamente opposto: così è la vita duale.
Nascendo, facciamo per la prima volta l’esperienza della respirazione prendendo (o piuttosto essendo presi da) una profonda inspirazione, spesso bruciante e dolorosa, che segna il passaggio da una vita acquatica e simbiotica a una vita ormai aerea e separata. È forse proprio a causa di questo ricordo doppiamente doloroso - bruciore e separazione materna - che abbiamo difficoltà a respirare profondamente quando siamo stressati, quando facciamo uno sforzo fisico intenso, quando ci concentriamo su qualcosa di difficile da realizzare, e in generale quando abbiamo paura?
È questo il punto in cui si inscrive nella nostra psiche la paura di respirare pienamente, di vivere pienamente e di morire pienamente?
Stanislav Grof ha magistralmente dimostrato l’impatto considerevole del processo della nascita sullo psichismo e sullo svolgimento di tutte le ulteriori crisi esistenziali, constatando che la nostra nascita costituisce una sorta di prototipo sperimentale a partire dal quale riviviamo tutte le situazioni di grande cambiamento che si presentano nella vita. Visitare e rivisitare nella coscienza la nostra storia perinatale ci permetterà di liberarci dal peso della memoria che ostacola la nostra azione tingendola troppo fortemente di dinamiche psicocorporee più o meno patogene.
Nella spirale
Finché perdura il lavoro di dissoluzione progressiva dell’ego, Fillusione-esaltazione del “tutto nuovo, tutto diverso” può alternarsi con la coscienza di affrontare e riaffrontare sempre le stesse problematiche corporee e psicoaffettive. Viene però il momento in cui si fa l’esperienza cosciente della spirale, del simbolo universale della crescita che ci ipnotizza e ci indica che in realtà non ripassiamo mai esattamente per la stessa strada, poiché ogni passaggio nella prova approfondisce la coscienza di noi stessi e della realtà. E ogni volta sempre più coscienti, portiamo una fiaccola che rischiara sempre meglio le profondità del nostro inconscio, che amplia ulteriormente la nostra coscienza del mondo, che ci permette di discendere ancor più in basso, per risalire ancora più in alto, e così di seguito, come mostra la spirale, che via via si allarga.
Esigendo coraggio e perseveranza, questo cammino fuori dal tempo ci immerge a ogni passaggio, a ogni ciclo, nei tormenti dell’angoscia per metterci a confronto con l’ignoto di noi stessi e con l’ignoto del mondo. Ma ci arricchisce di una vera ricchezza, di una ricchezza imperitura, della gloria di aver vissuto, di aver fatto il bene, di avere cercato ciò che sembra l’unica Verità che valga, che è l’amore per il mondo e per gli uomini, e l’amore per la vita. Ed è precisamente questo tutto ciò che ci porteremo nella morte, lasciando qui le false ricchezze quali il denaro, l’oro e tutto quel che ne segue...
Dalla guerra alla pace
Al giorno d’oggi, se grazie all’esperienza si riesce a conoscere ciò che abbiamo evocato nel paragrafo precedente, si saprà pure che il tempo delle dispute tra “parrocchie” personali dev’essere superato. In tutto il mondo, intorno a noi, i sistemi di pensiero, sia di ordine economico che di carattere sociale, politico, religioso e psicologico, dimostrano la loro impotenza nel far uscire il mondo dalla sua immensa violenza e dalla sua insaziabile cupidigia, malgrado gli sforzi attivi e sinceri di milioni di persone nelle diverse parti del mondo. Peggio ancora, nella nostra civiltà il bisogno universale e legittimo di amore e di riconoscimento sembra purtroppo pervertirsi in una ricerca egoistica di poteri sempre più grandi, e getta paradossalmente gli uomini in conflitti ancor più gravi e a lungo termine ancora più distruttivi. I progressi tecnologici permetterebbero già oggi di distruggere la Terra e i suoi abitanti nel giro di poche ore.
Inoltre, sembra che nel corso delle generazioni successive i nostri genitori e antenati - vicini o lontani - abbiano già sperimentato praticamente tutto quello che è possibile pensare, dire, fare o subire, in termini di guerra e in termini di pace. Per dirla tutta, che ci piaccia o no, noi tutti siamo discendenti da un lungo lignaggio di uomini e donne che hanno cacciato, raccolto, coltivato, costruito, curato, sofferto, amato e dato il meglio di se stessi, ma che hanno anche desiderato i beni altrui, rubato, distrutto, ferito, ucciso, odiato, commesso l’incesto, imposto ciò che avevano di peggiore e che hanno fatto soffrire gli altri. Ed è lo spettacolo che tuttora abbiamo sotto i nostri occhi.
La storia del mondo, dunque, sembra mescolare in maniera contraddittoria l’evoluzione e un perpetuo ricominciare. Di fatto, i genitori continuano a trasmettere ai figli il peggio come il meglio, secondo le circostanze, in un continuo movimento che sembra ripetersi incessantemente, e che tuttavia s’inscrive in un processo di evoluzione certo, almeno agli occhi di coloro che si prendono il tempo dell’osservazione e del distacco. Siamo veramente figli vittime? Siamo veramente genitori colpevoli?
Ancora e sempre, vi è l’urgenza di creare e promuovere la pace. E sembrerebbe che solo l’impegno personale a cambiare la propria attitudine interiore, nella consapevolezza che non si possa e non si debba cambiare gli altri, possa condurre a un positivo cambiamento planetario. Il messaggio naturalmente non è nuovo, poiché è stato continuamente ripetuto da milioni di saggi nel corso della storia: “Trova la Pace, e migliaia intorno a te troveranno la Pace”, diceva Serafino di Sarov.
Dal personale al transpersonale
Freud, geniale inventore della psicologia moderna, fu figlio di un’epoca profondamente materialista e atea, che vide nascere la psichiatria moderna, abusivamente limitata al contesto medico poiché dominata da una medicina esclusivamente preoccupata del corpo. Egli aveva compreso e insegnato che l’uomo si trova coinvolto in due tipi di esistenza molto diversi: il mondo della vita personale, che è quello dei suoi desideri, e quello di una vita che lo supera totalmente, e che non tiene conto della sua propria volontà.
Tuttavia, senza dubbio insufficientemente consapevole dell’influsso della nascita sulle scelte esistenziali dell’individuo, Freud sembra aver conservato in tutta la sua vita la visione nera e pessimista di un uomo bloccato tra un gigantesco serbatoio di pulsioni inconsce che chiedono solo di manifestarsi, e un’istanza di controllo, che chiamò “Super-io”, e che serve a filtrare o a reprimere ciò che cerca di emergere da tale serbatoio. Per Freud, l’inconscio era solo a livello individuale, e la sua psicologia riguardava solo la storia postnatale dell’individuo, poiché riteneva che il neonato fosse privo di qualsiasi trauma. Parlava quindi di “inconscio individuale”.
Una ferita psichica dopo l’altra, l’“io”, o coscienza di essere al mondo, si costruisce una sorta di falso io, chiamato “ego”, che rappresenta e accumula tutti i meccanismi di difesa attivati dall’individuo per proteggersi dalla sofferenza della mancanza d’amore. L’ego è quindi preso in trappola tra l’affacciarsi alla coscienza delle pulsioni incoscienti e un “Super-io” che non può accettarle. Inoltre, la non risoluzione da parte di Freud della sua propria problematica della nascita sembra aver limitato al dominio della sessualità la sua visione dei bisogni primari dell’uomo.
Inizialmente Freud utilizzò l’ipnosi per accedere all’inconscio dei pazienti. Le sue concezioni iniziali furono largamente ispirate dal lavoro con una paziente che soffriva di gravi sintomi di isteria, e che, durante le sedute d’ipnosi, faceva l’esperienza di stati di coscienza assai profondi che le permettevano di regredire nella sua infanzia e di rivivere i diversi ricordi traumatici che erano alla base dei suoi disturbi. Fu talmente sollevata da tali esperienze che Freud raccomandò come trattamento delle nevrosi ogni forma di lavoro che permettesse la liberazione emozionale dei traumi antecedenti.
Più tardi mutò radicalmente strategia abbandonando l’esperienza emozionale diretta vissuta in uno stato non ordinario di coscienza. Più che sul lavoro emozionale e sul rivissuto cosciente dei traumi reali, insistette sull’analisi intellettuale e sui fantasmi edipici. Retrospettivamente, sembra che tali scelte non siano state particolarmente felici, trascinando per i successivi cinquant’anni la psicoterapia occidentale in una direzione errata. Se la terapia verbale si mostra utile per gli insegnamenti che apporta sul piano personale e interpersonale, e se permette di migliorare le capacità di comunicazione, si mostra del tutto inefficace con blocchi energetici ed emozionali, nonché con traumi che sottintendono numerosi problemi emozionali e psicosomatici.
In seguito a questi nuovi orientamenti, nel corso della prima metà del XX secolo la psicoterapia divenne praticamente sinonimo di scambio verbale diretto e di psicanalisi sul divano.
Contemporaneo e allievo di Freud, Cari Gustav Jung, aprendo la psicologia freudiana al mondo degli archetipi e alla dimensione mistica, contribuì largamente a reintegrare la psicologia in una dimensione più ampia e più corrispondente alla realtà umana. Egli sviluppò la nozione di “inconscio collettivo”, che raccoglie tutti i ricordi dell’umanità. Successivamente, nel corso degli anni Cinquanta, un gruppo di psichiatri e di psicologi americani, guidati da Abraham Maslow, insoddisfatto del comportamentismo e della psicanalisi, lanciò un movimento rivoluzionario, la psicologia umanista. In pochissimo tempo questo movimento divenne assai popolare e diede nascita a tutta una gamma di terapie fondate su principi interamente nuovi.
Le nuove terapie
Mentre gli psicoterapeuti tradizionali utilizzavano principalmente metodi verbali e un’analisi intellettuale, le nuove terapie insistettero maggiormente sull’esperienza diretta e sull’espressione delle emozioni. Esse proposero diverse forme di lavoro corporeo in quanto parte integrante del processo terapeutico, come ad esempio la gestalt-thérapie. Le innovazioni più radicali, tuttavia, condussero ad approcci talmente potenti da modificare profondamente lo stato di coscienza dei pazienti, come nel caso della terapia psichedelica, della terapia primaria, del rebirth e di altre ancora.
In questo periodo, nel corso della sua ricerca sul potenziale curativo delle sostanze psichedeliche nel campo della psicopatologia, lo psichiatra ceco Stanislav Grof andò ancora più lontano di Jung e dei suoi successori. Cosciente, come Jung, dell’inevitabile necessità per l’uomo di accedere alla sua dimensione spirituale, e cosciente anche della necessità di essere profondamente radicati per pretendere la minima elevazione, discese nel luogo del senso della vita che si trova nel cuore dell’uomo, là ove questi solo raramente si reca, preoccupato com’è di modificare o “migliorare” il mondo esteriore. S’immerse ancor più profondamente negli abissi dell’inconscio umano, nella terra incognita fatta di radici, di limo e dell’humus di tutte le storie di coloro che hanno popolato la Terra fin dalle sue origini. Esplorò il mondo della mitologia e degli archetipi, quello dei drammi e delle imprese fisiche e psicologiche dell’uomo, l’universo del corpo che soffre e del corpo che esulta. Spinse la sua esplorazione ai confini della coscienza umana, e scoprì, al di là degli archetipi junghiani e delle diverse mitologie, un illimitato universo di esperienze possibili nella coscienza, che chiamò “esperienze transpersonali”.
Per Grof, l’aggettivo “transpersonale” designava le possibilità illimitate della coscienza nel suo avventurarsi al di là dei territori personali limitati dal corpo e dall’io-ego; in tal modo si apriva un nuovo campo di esperienze in domini assai diversi, come la psicologia, la filosofia, l’antropologia, la teologia, la metafisica e la spiritualità, che riguardano tutte la natura umana e la natura della realtà. Il termine stesso “transpersonale” potrebbe essere considerato come un semplice equivalente di “spirituale”, ma l’enfasi portata da quest’ultimo sul piano religioso rende preferibile l’aggettivo più recente.
La dimensione transpersonale
La dimensione transpersonale è quella che dà il suo significato all’esistenza umana, un filo sottile che collega la testa al cuore, la Terra al Cielo e l’Uomo all’insieme della Creazione. Questo filo perfora la Terra ed è LA radice, la nostra radice. L’etimologia ce lo ricorda con realismo: humus, umanità, umiltà... Questo filo si perde in innumerevoli fili in un cielo insondabile, e ci collega all'infinito, al di là della dualità dello spazio e del tempo.
Alcuni anni più tardi, Maslow creò con Stanislav Grof il movimento della psicologia transpersonale, che arricchiva il movimento umanista di un’apertura non dissimulata alla dimensione spirituale.
Negli anni Ottanta, combinando le più recenti scoperte della ricerca moderna sulla coscienza a metodi di guarigione tradizionali e plurimillenari come lo sciamanesimo e il kriya yoga, Grof mise a punto, assieme alla moglie Christina, un metodo per facilitare l’accesso agli stati profondi di coscienza per mezzo di strumenti molto semplici e non farmacologici, una combinazione di respirazione cosciente, musiche evocatrici e lavoro corporeo.
Per designare questa sottocategoria di stati di coscienza particolari, benché normali e non patologici, Grof inventò il termine “olotropico”, col significato di “andare verso la completezza, verso la totalità, accedere a una visione più ampia della realtà”. Di fatto gli altri termini utilizzati fino a quel momento non gli parvero sufficientemente precisi; l’espressione “stato modificato di coscienza” poteva far pensare all’uso di qualcosa di artificiale che modificherebbe il funzionamento della coscienza, mentre quella “stati non ordinari di coscienza” era troppo imprecisa, potendo inglobare stati patologici come il coma o stati deliranti indotti da una patologia organica.
Il metodo che induce stati di coscienza olotropici fu quindi naturalmente chiamato Respirazione Olotropica.
L’induzione di stati di coscienza olotropici è una pratica le cui tracce sono presenti fin dagli albori dell’umanità con lo sciamanesimo, che è certamente la modalità di guarigione più antica, e che probabilmente risale a non meno di quarantamila anni fa. I mezzi utilizzati erano assai vari: la respirazione (presso gli indù, i buddisti...), la danza dei dervisci rotanti o dei lama, il digiuno, la preghiera, l’isolamento sensoriale, le sostanze psichedeliche (piante allucinogene) e così via.
Secondo Grof, gli stati olotropici rivelano una sorta di “mente primordiale” dell’umanità che trascende la razza, il sesso, la cultura e il paese di appartenenza. Sono utilizzati in tutte le culture: presso gli Egizi, i Greci (ad esempio, nei Misteri di Eieusi), i sufi islamici, gli esseni (esercizi respiratori e immersione), in diversi tipi di yoga e di meditazione indù e buddhista, presso i cristiani (esercizi di Ignazio di Loyola), e in molte altre tradizioni.
Gli stati olotropici sembrano attivare una sorta di “radar interiore” che in maniera naturale segnala alla coscienza i contenuti dell’inconscio dotati della maggiore carica emozionale o energetica, cosa che le psicoterapie puramente verbali non permettono. Le esperienze associate agli stati olotropici coprono così tutto lo spettro delle emozioni e dei sentimenti umani, dalle sensazioni di estasi profonda agli episodi di terrore, passando per la collera, la disperazione, il senso di colpa, e permettono di accedere a una comprensione profonda di ciò che siamo. In questo modo è possibile, ad esempio, vivere esperienze extrasensoriali (telepatia, medianità), scoprire ciò che si potrebbe interpretare come reminiscenze di vite anteriori, percepire le sensazioni energetiche dei corpi sottili, comprendere intuitivamente simboli universali, e naturalmente avere illuminazioni straordinarie su problematiche profondamente celate nell’inconscio.
Seguendo una metodologia scientifica assolutamente rigorosa, grazie agli stati di coscienza olotropici Grof riuscì anche a confermare ciò che numerosi successori di Freud avevano scoperto, vale a dire l’importanza primordiale del trauma della nascita, e quindi dell’ambito “perinatale” nei confronti dello psichismo. In maniera empirica dimostrò che il vissuto personale del processo della nascita costituisce una sorta di prototipo di tutte le situazioni di crisi che successivamente l’individuò vivrà, e questo è un aspetto che in generale la psichiatria accademica continua a ignorare.
In questo libro svilupperemo ampiamente le diverse implicazioni dell’uso di questi particolari stati di coscienza.
Questo testo è estratto dal libro "La Respirazione Olotropica".
Data di Pubblicazione: 30 settembre 2017