SALUTE E BENESSERE

Rilascio Somato-Emozionale e Oltre - Anteprima del libro di John Upledger

Rilascio somato-emozionale: l'evoluzione di un concetto

Rilascio somato-emozionale: l'evoluzione di un concetto

Definizione: Il Rilascio Somato-Emozionale (o SER, da Somatic-Emotional Release) è l’espressione di un’emozione che, per ragioni considerate appropriate da una parte del nonconscio del paziente, è stata trattenuta, soppressa o isolata all’interno del soma. Si può considerare il soma come “psiche somatica". Alcune osservazioni effettuate durante il processo SER rivelano che una ritenzione autonoma di energia o di memoria dovuta ad un trauma fisico o emotivo, viene spesso assorbita da parti specifiche del corpo.

Il processo SER inizia attraverso una comunicazione tattile tra il terapista ed il paziente. Tale processo è il risultato di un “tocco" intenzionale e, quindi, pieno di significato. Il senso e l’intenzionalità del “tocco" possono essere sia consci che nonconsci.

Psichiatri e psicoterapisti che hanno assistito o preso parte al processo SER lo paragonano spesso alla psicoterapia del corpo. In questa analogia vediamo i movimenti del corpo del paziente simili all’aspetto verbale della psicoterapia. Da un punto di vista clinico, sembrava che la maggior parte dei traumi ed emozioni trattenuti somaticamente si verificassero, in origine, in un background dominato da emozioni distruttive, come la rabbia, la paura o i sensi di colpa. Questo background di emozioni negative poteva essere sia cronico che acuto.

Osservazioni personali e partecipazioni dirette a sedute di SER mi hanno portato a postulare che organi, tessuti e forse addirittura singole cellule, possiedono memoria, capacità emozionale e intelligenza. Il rilascio di emozioni e dolori (trattenuti nell’inconscio) passa in genere attraverso una consapevolezza del paziente al momento della seduta SER o, al massimo entro 24 o 48 ore.

Una consapevole rievocazione di incidenti accaduti nel passato e inseriti in tessuti “isolati” della memoria, ritornano in mente all'improvviso, al momento della seduta, oppure entro poche ore. È piuttosto comune che i pazienti rivivano consciamente delle emozioni isolate nella memoria durante il SER, per ricordare più tardi l’incidente originario.

Sviluppo del concetto di SER

Il Rilascio Somato-Emozionale non è qualcosa che sia stato concepito intellettualmente. L’idea è stata sviluppata come risultato di molteplici esperienze effettuate in luoghi diversi, che però riportavano tutte ad uno stesso punto focale. Verso la fine degli anni settanta ero il primo ricercatore di un centro per la cura dell’autismo: il lavoro era rivolto al problema della possibile efficacia dell’uso della Terapia Cranio-Sacrale nella cura. In quel periodo stavo lavorando con Zvi Kami, un biofìsico e bioingegnere “in prestito" presso il nostro dipartimento della Michigan State University dal Technion Institute di Haifa, Israele. Il dott. Kami ed io stavamo controllando e misurando con successo gli effetti del mio “tocco” terapeutico e le procedure di manipolazione sul potenziale elettrico della linea basicranica del corpo umano. Allo stesso tempo, visitavo molti pazienti/clienti al di fuori dell’istituto di ricerca.

Ricerca sull'autismo

Il primo anno del nostro lavoro con i bambini autistici fu incentrato sia sull’osservazione del loro caratteristico comportamento e personalità, sia sull’esecuzione di esami fìsici e valutazioni craniosacrali e strutturali. Eseguimmo inoltre, numerose analisi del sangue, dell’urina e dei capelli. Cerano 26 bambini nel nostro progetto di ricerca. Studiammo le risposte di questi ai nostri tentativi di muoverci all’interno dei loro mondi privati che, almeno apparentemente, sono molto isolati e personali.

Notammo che un "tocco” delicato, non-intrusivo, ben mirato, era il modo più accettabile per entrare in questi mondi. Scoprimmo inoltre che l’induzione dello “still-point" attraverso questo delicato “tocco”, ormai ben accettato

In questo contesto, lo still-point rappresenta un’interruzione terapeuti ttK/ita ° che. permette al sistema craniosacrale di riorganizzare la propria ttivta, per esercitare un’attività più completa sull’organismo. Lo still-point può dai nostri piccoli pazienti, ci aiutava a stabilire un rapporto positivo con i bambini autistici. Il nostro team era composto da me, Dianne L. Upledger e Jon D. Vredevoogd e da un gruppo di studenti laureati, interessati e disponibili, che cambiava di volta in volta. Alcuni di questi venivano dall’Osteopathic College della Michigan State University e altri dagli annessi college ad indirizzo medico. Lavoravamo tutti usando le mani e iniziammo così ad apprezzare e conoscere il valore e la potenzialità del “tocco" ben mirato.

Durante il secondo anno di questo progetto di ricerca, tentammo diversi approcci terapeutici. Facemmo incontri di educazione alimentare con genitori e tutori. Modificammo l'ambiente fisico in termini di luce, temperatura e umidità. Usammo una terapia di inalazioni composta dal 10% di C02 e dal 90% di 02 per stimolare una respirazione più profonda. Utilizzammo, inoltre, una varietà di terapie manuali conosciute per un'adeguata mobilizzazione strutturale ed eventuali correzioni. Alla fine, decidemmo di applicare la Terapia Cranio-Sacrale su ogni bambino, almeno una volta a settimana.

Con il passare degli anni mi sono accorto di poter imparare molto di più dall'osservazione che dall’applicazione di metodi invasivi, anche se non è stato sempre questo il mio modo di lavorare. Durante i primi dieci anni di pratica nel mio studio privato e al Pronto Soccorso ero un sostenitore delle pratiche invasive per eccellenza. “Fà in modo che accada" era il mio motto ma, fortunatamente, ho modificato la mia attitudine fino al punto da diventare, nellutilizzo della Terapia Cranio-Sacrale con i bambini autistici, osservatore al 90% ed invasivo al 10%.

Ecco, in linea di massima, come procedemmo durante il nostro progetto di ricerca con la maggior parte dei bambini autistici. Per prima cosa fu necessario instaurare un rapporto amichevole e di fiducia tra noi e i bambini. Ci riuscimmo con pazienza e tranquillità, inizialmente con il “tocco” e, in seguito, con l'induzione dello still-point in ogni punto in cui le nostre mani toccavano il bambino. Spesso provocavamo lo still-point sulle ginocchia, le spalle, i piedi e le braccia, ma raramente potevamo toccare la testa durante le prime sedute, che avevano spesso luogo sul pavimento sotto il lettino della terapia o dovunque il bambino o la bambina ci consentiva di toccarlo/a. A volte i piccoli pazienti permettevano soltanto ad uno di noi di toccarli, ma capitava anche che tre o quattro potessero farlo contemporaneamente. Spesso questi bambini autistici reagivano più o meno violentemente a seconda di chi provava ad avvicinarsi. Questa reazione ci rese consapevoli del potere di “colui che impone le mani” e di come, consciamente o no, tale potere si trasmettesse a “colui che veniva toccato". A volte avvertivo sensazioni negative in alcuni specializzandi ed allora mi trovavo costretto ad escludere quegli studenti dalle sedute, per riammetterli solo quando generavano attitudini positive. A volte ho dovuto fare uscire dalla stanza della terapia assistenti che dimostravano un atteggiamento negativo. I bambini autistici esprimevano un'evidente abilità a discernere l'intenzione e l'atteggiamento del terapista; sono anche sicuro che, a certi livelli, cominciavano a capire gli effetti che un'intenzione o un atteggiamento positivo potessero avere su di loro.

Alcune conversazioni con il fìsico e ricercatore Neil Mohon mi suggerirono che tutti noi possediamo campi di energia molteplici e differenti qualitativamente. La ricerca di Mohon degli ultimi quindici anni riguardava l'area di progetti di investigazione sui campi energetici. Egli crede che ogni essere umano può avere fino a cinquanta diversi campi energetici personali. Poiché le energie possono attrarre o respingere, il dott. Mohon afferma che la maggior parte dei terapisti ha campi energetici che attraggono moltissime persone: vale a dire che il campo energetico di un terapista di successo ha un potenziale di repulsione minimo. Organismi sensibili come i cuccioli sono spontaneamente attratti o spaventati da alcuni individui e ciò può essere dovuto alla natura delle energie proiettate. I bambini autistici potrebbero possedere la stessa sensibilità dei cuccioli. Credo e il dott. Mohon concorda che, una volta che il terapista/ facilitatore diventa consapevole del proprio campo di energia potenziale, può modificarlo attraverso l’intenzione o la proiezione di pensiero.

Dopo la fortunata induzione dello “still point” in diverse sedute, i bambini autistici in genere arrivavano a cooperare e per propria volontà assumevano una posizione supina sotto il tavolo terapeutico. A questo punto cominciavo a lavorare delicatamente e dolcemente sulla testa dei bambini. Poiché il punto di partenza è molto importante, mi concentravo sempre sull'amore che provavo per il bambino, nel momento in cui iniziavo a lavorare. Man mano che passava il tempo, facevo entrare i miei assistenti durante la terapia, in modo che ognuno tenesse gli arti superiori o inferiori del paziente: verso la fine delle sedute terapeutiche prestabilite eravamo in genere in cinque per ogni bambino, per aiutarlo, cooperando con lui durante ogni seduta di Terapia Cranio-Sacrale. Allora le sedute duravano all’incirca venti minuti, per problemi di orario, ma oggi credo che, con sedute prolungate e più frequenti, avremmo ottenuto risultati molto più sensazionali.

Mano a mano che curavamo il bambino riscontravamo sempre, dopo il rilasciamento preliminare della volta cranica, una seria restrizione membranosa antero-posteriore del pavimento della volta cranica. Quest’area veniva decompressa sollevando per prima cosa l'osso frontale e poi mantenendo questa posizione finché si riusciva a sentire un cambiamento viscoelastico che manifestava un rilasciamento membranoso tra le ossa frontali e sfenoidali. In seguito, procedevamo alla decompressione dello sfenoide dall’occipite. È stato durante questo procedimento che ho iniziato ad apprezzare il potenziale restrittivo delle articolazioni suturali tra le parti petrose delle ossa temporali, lo sfenoide anteriore e l'occipite posteriore. La sincondrosi sfenobasilare era però una piccola parte della restrizione del pavimento della volta cranica: era necessario un rilasciamento osseo e membranoso per consentire che il pavimento della volta diventasse mobile da un punto di vista funzionale. Comunque, nella maggior parte dei casi, il pavimento della volta cranica veniva decompresso con successo, sia nella parte anteriore che in quella posteriore.

Nei bambini che ricevevano questa decompressione, avveniva quasi immediatamente una riduzione profonda o totale della masturbazione o dei comportamenti autodistruttivi. Con ciò intendo dire che questi bambini smettevano volontariamente di sbattere la testa contro il muro o di mordersi i polsi e le mani, oppure di graffiarsi quelle parti intime del proprio corpo. Era come se, aH’improvviso, non esistesse più una ragione per autolesionarsi.

Si potrebbero fare varie ipotesi per giustificare questi cambiamenti comportamentali: quella più intrigante è che le basi craniche compresse o limitate provocavano, in questi bambini, un dolore profondo ed insopportabile dietro la testa. Sbattere la testa o premere il pollice contro il palato - che veniva spesso male interpretato come “succhiarsi il pollice” - potevano essere tentativi di rilasciare le restrizioni della base cranica. Mordersi il polso e quindi lesionarsi la pelle erano forse tentativi di indurre una produzione elevata di endorfina, di chiudere la soglia di dolore di Melzack-Wall o sostituire un dolore sopportabile a uno insopportabile; o forse si trattava, in realtà, della combinazione di tutte queste possibilità.

Più tardi, soltanto più tardi, la decompressione antero-posteriore del pavimento della volta cranica e la riduzione o il totale arresto dei comportamenti aggressivi, provocavano un successivo fenomeno rimarchevole e molto istruttivo: dopo il rilassamento da compressione antero-posteriore era chiaro come ci fosse un'acuta compressione mediale delle ossa temporali da entrambi i lati. Fu proprio durante i nostri tentativi di decomprimere le ossa temporali, muovendole lateralmente, che accaddero due eventi molto utili. Per prima cosa ideammo la “ear-pull” per la decompressione temporale; dopodiché e questo fu l’elemento più significativo all'origine dello sviluppo del concetto di SER, notammo che il corpo del bambino cominciava a muoversi autonomamente, cioè un braccio oppure una gamba mostravano una tendenza a comportarsi come se avessero una memoria propria. Decidemmo di osservare questi movimenti piuttosto che inibirli (voglio ricordare che di solito lavoravo con quattro assistenti, ognuno su di un arto, inferiore o superiore). Durante questi movimenti spontanei del corpo, la decompressione laterale delle ossa temporali sembrava impossibile. Fu per questo che cominciai a tirare delicatamente le orecchie; mi sembrò una buona idea, poiché l’orecchio è attaccato all’osso temporale tramite il tessuto connettivo tra il padiglione ed il canale auricolare. Questa connessione andava dall’esterno fino alle parti più profonde dell'osso temporale petroso, dove la terminazione interna del canale si apre per accogliere i nervi cranici facciali e vestibulo-uditivi (settimo e ottavo).

Non ebbi successo nella decompressione laterale delle ossa temporali ma, insistendo col mio lavoro, notai che il numero di pazienti a cui veniva provocato il movimento degli arti e del corpo continuava ad aumentare. Non si trattava di un movimento conscio, volontario ma sembrava, piuttosto, automatico. A questo punto della terapia il bambino era in uno stato di profondo rilassamento: il corpo era rilassato, fatta eccezione per quei piccoli movimenti impercettibili appena descritti. Tali movimenti si verificavano solo quando uno di noi teneva la parte del corpo coinvolta. Generalmente cominciavano da un arto per estendersi poi al tronco, al collo e alla testa. Continuando gli esperimenti, diventammo estremamente sensibili ai movimenti involontari del corpo ma, senza il nostro supporto fìsico, si interrompevano: era come se il “tocco” del terapista fornisse l’energia necessaria ad iniziare il processo di movimento, la durata del processo dipendeva molto dalla nostra abilità nel seguire le sottili “intenzioni” del corpo, contrapponendoci alla forza di gravità, senza guidare o inibire i movimenti del corpo del bambino.

Mentre sviluppavamo le nostre abilità, i movimenti dei bambini autistici procedevano fino a raggiungere una posizione che sembrava un punto cruciale, dove ogni cosa diventava calma e tranquilla. Questa posizione finale poteva essere, da un punto di vista anatomico, sia normale che anomala.

Mi ricordo di un bambino con il piede destro rivolto all’indietro. Era ruotato di circa 180 gradi rispetto alla posizione normale. Il piccolo paziente si mise spontaneamente in questa posizione e, quando gliene chiedemmo il motivo, rispose che stava più comodo così (in seguito, dopo la seduta di Terapia Cranio-Sacrale, non fu più in grado di raggiungere quella posizione, né ci permise di aiutarlo a raggiungerla). A quel punto ci fermammo, poiché non sapevamo cos'altro fare e avvertimmo un rilassamento tangibile in tutto il corpo. Era come se il corpo si fosse aperto: mentre i muscoli si ammorbidivano, la fascia ed i tessuti connettivi si allungavano e le energie cominciavano a fluire più liberamente: il bambino urlò.

Era proprio in questi punti terminali di attesa che avveniva il più totale rilassamento del corpo. Il bimbo in questione poteva piangere sommessamente o gridare con forza. Scorgemmo in questi bambini espressioni, sia facciali che posturali, di paura, rabbia e frustrazione, che continuavano spesso per alcuni minuti man mano che il corpo si rilassava. Quando il processo di rilassamento era quasi completo, l'espressione del volto diventava serena e amorevole.

Una volta iniziati questi eventi, sembravano ripetersi più di uno a seduta per ogni bambino. In ogni seduta successiva il rilassamento sembrava meno intenso man mano che i movimenti spontanei del corpo cessavano. In quel momento e solo allora, potevo, con successo, decomprimere lateralmente le ossa temporali. Non posso ancora dare una spiegazione plausibile alla relazione tra la restrizione mediale temporale ed il rilassamento della tensione del corpo e delle emozioni che osservammo.

L'incapacità di esprimere amore o di provare affetto per altri esseri umani è caratteristica dellautismo. Dopo il rilassamento del corpo e della tensione emotiva, questi bambini autistici cominciavano ad esprimere affetto verso altri esseri umani. Un’altra caratteristica dellautismo è la mancanza del contatto sociale ma, dopo la terapia, i piccoli manifestavano un comportamento socievole e iniziavano a giocare con i compagni di classe.

Allora non lo sapevamo ancora, ma fummo testimoni e partecipi del punto di partenza per la scoperta del Rilascio Somato-Emozionale.

Questo testo è estratto dal libro "Rilascio Somato-Emozionale e Oltre".

Data di Pubblicazione: 2 ottobre 2017

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