SPIRITUALITÀ ED ESOTERISMO

Scienza dell'Hermes - Anteprima del libro di Stefano Mayorca

Simboli e segreti iniziatici

Il rito - La via dell’autentica Realizzazione

Il Rito è il mezzo elettivo utile alla crescita occulta dell’essere sottile. L’espletazione del rituale presuppone una conoscenza delle dottrine tradizionali supportata da una realtà iniziatica.

Questa sapienza viene dispensata, a coloro che vengono ammessi all’interno di una cerchia di iniziati, dal maestro che guida il neofita nelle regioni del mondo astrale. La preparazione dell’Universo del mago, vera e propria riproduzione di un Macrocosmo miniaturizzato, è l’elemento centrale della pratica operativa. Il Tempio, egualmente, ingloba in sé la struttura macrocosmica, come espresso dal tempio salomonico e massonico. La differenza che intercorre tra la costruzione templare e lo spazio operativo del mago consiste in una schematizzazione, una sintesi dell'occultum ermetico rispetto ai modelli (templare-massonico) precedentemente menzionati.

In sostanza, l’ermetista si serve di pochi elementi che da soli sono in grado di ricreare simbolicamente le forze cosmico-magnetiche contenute negli edifici sacrali. Un altare sobrio; due candele (tre nella pratica realizzante) che rappresentano le due colonne salomoniche, Jachin e Bohas (la colonna dell’Apprendista e quella del Maestro) e incarnano le due energie mascoline e femminee; un braciere per bruciare profumi specifici a seconda del rito che si va a officiare; un leggìo dove porre i rotoli o testi magici in cui sono racchiusi i carmi da recitare e le cifre geniali da tracciare. Per mezzo di gesti sapienti e carmi magici richiama a sé le correnti che devono confluire nello spazio occulto dove egli opera. L’espansione della coscienza è la diretta conseguenza della pratica ermetica espletata, in perfetta sintonia con l’intento interno che la anima. La forza interna, dunque, si affinerà nel tempo divenendo particolarmente sensibile, operando una cosciente crescita della controparte etericizzata.

Il lato lunare isideo. La morte come rinascita

Seguendo il crescere e decrescere della Luna (Iside) si giunge allo stato oscuro (Nigredo alchimica), che esterna la morte rituale e la scomparsa della materia pesante o animalesca, il metallo volgare con cui veniva rappresentata la natura inferiore dell’iniziando.

La discesa nelle regioni infere, che anticamente era la via primaria per la rinascita magico-alchimica, racchiude importanti connotazioni a carattere misterico intimamente correlate con la Grande Madre e il culto isideo (magia delle forme). Lo stesso Pitagora, il divino maestro, insegnava ai suoi discepoli all’interno di una caverna, a significare il contatto con la zona infera, l’utero primigenio al quale era necessario riunirsi.

La morte simbolica, ma realmente trasmutante, rappresenta da sempre la discesa nei regni oscuri del sottosuolo o, per meglio dire, nella nostra interiorità. Solo penetrando nell’abisso primordiale, dove lo spirito viene messo alla prova, è possibile in un secondo tempo risalire verso la luce solare. Dopo il contatto con la parte lunare (fredda e umida, il cui colore è rosso organicamente e argenteo simbolicamente), il percorso verso l’alto deve conseguire il contatto con il Sole (caldo e secco: seme fruttificante), al fine di congiungere i contrari (Yin e Yang).

I Misteri isidei (magia lunare-formativa) racchiudono un corpus teologico, in parte mutuato dagli insegnamenti dei filosofi greci, in particolare di Platone, che conferiscono al culto una visione più ampia per ciò che concerne la filosofia ermetico-alchimica. Sotto questo aspetto rinveniamo la concezione unitaria tante volte espressa dal grande iniziato alla dottrina isidea, Lucio Apuleio, nel suo Asino d’Oro, per mezzo di intelligenti metafore. Iside, quindi, si identifica anche con la Maria dei cristiani (Immacolata Concezione o anima), sotto forma di pratiche finalizzate a sviluppare nel sapiente la propria parte complementare, l’amante invisibile che è latente in ciascun essere umano evoluto.

Tale processo, conosciuto anche come unione sacra, in Oriente è in commistione con la via tantrica. Attraverso questa tecnica, la parte femminea e quella mascolina si ridestano per completare l’essere e giungere così alla monade. Ma di questo parleremo più avanti. L’essere sempre si rinnovella, si riproduce all’infinito e non conosce il finito. Ora il processo è attivo e dinamizzato nella sua perfetta sintonia con il Tutto, vero Maestro e sapiente illuminato che mostra il sentiero del magico incanto.

Vergini Nere - Vestali alchimiche

Alla base della magia pratica — pochi lo sanno — esiste un ricettacolo di energie e correnti creativo-immaginative che fanno capo all’Archetipo Femmineo primigenio.

In tutte le civiltà questo elemento occulto era presente in forma cultuale e solo con l’avvento del Cristianesimo l’importanza delle sacre energie femminili è stata svilita in nome di una preponderanza delle valenze maschili, e si è avuta la demonizzazione da parte della Chiesa di tutte le connotazioni divine riconducibili alla figura della Dea Madre.

Questo culto misterico dall’impronta magico-operativa, si perde nella notte dei tempi. Le sue tracce si snodano in ambito preistorico e conducono ai costruttori delle Grandi Pietre: i Dolmen e i Menhir. Nell’ambito della civiltà megalitica (dal greco megalite, ossia grande pietra) sono presenti due categorie ben precise: i Dolmen e i Menhir, costituiti da pietre lunghe orizzontali e giganteschi massi verticali. La loro funzione non era solo di tipo funerario o astronomico, ma si collocava all’interno di riti secretati incentrati sulla deità femminea della Mater, la divinità universale che esternava funzioni alchimiche connesse con la fertilità.

La venerazione di un archetipo femmineo, connesso con il segreto della germinazione occulta, era notevolmente diffuso nell’antichità, come testimonia la dedicazione delle cattedrali francesi alla Notre-Dame, la Nostra Signora, la Vergine Nera. Questa simboleggiava la Nigredo Alchimica o putrefazione della materia vile e la sostanza primordiale, in perfetta osmosi con la Vergine che incarna le energie del sottosuolo.

Tra le civiltà che veneravano tale archetipo rinveniamo gli Etruschi, i quali adoravano la sacra dea creatrice Uni che, assieme a Tages o Tagete (il Fanciullo divino), dispensava forza e conoscenza. Per questa ragione il loro Corpus dottrinale era strettamente collegato con la Terra e con la penetrazione fìsica e rituale del mondo sotterraneo, mirata alla ricerca del sapere e del potere sacramentale. I Libri Acherontici sotto questo aspetto costituivano il viatico sacro e secretato che consentiva di accedere nell’Utero Primigenio delle cavità sotterranee.

La Vergine Nera, dunque, rappresenta fin dai primordi la Dea Madre, che attraverso differenti epiteti incarna al contempo il bene e il male. Essa è il simbolo della fertilità e dell’origine stessa della vita. Da tempi immemori è l’emblema dei diversi aspetti della natura e per tale motivo veniva effigiata con il volto metà nero e metà bianco, o viceversa con indosso vesti scure o candide, a seconda delle valenze espresse. Vessillo della luce e del buio, aiutava i figli a crescere nella terra simboleggiando il ventre materno. La sua forza fertilizzante permetteva di far germogliare le piante ed era considerata la Dea dell’Amore, datrice di visioni. Di qui il potere immaginativo esternato nel contesto operativo-magico.

Il Vangelo di Maria

La figura della Maddalena rientra a pieno titolo nella simbolica della Dea Madre e possiamo affermare che essa è una trasposizione di questo archetipo femmineo. Forse sacerdotessa più che prostituta in senso letterale, Maria Maddalena potrebbe essere appartenuta a un ristretto gruppo di iniziate legate alla prostituzione sacra, diffusa nei templi dell’antico Egitto e in quelli assiro-babilonesi. Questa Jerogamia sacra, ossia l’unione tra due divinità, recava elementi ermetici profondi, correlati con l’iniziazione ai Misteri Sessuali e al concepimento divino. Nel corso della cerimonia, la sacerdotessa preposta all’atto sessuale incarnava la Sacra Dea e chi si univa con lei riceveva il flusso e l’energia della dea stessa. La comunione con il divino, scaturente dal matrimonio sacro, concretava l’unione con le due polarità, maschile e femminile, e rivestiva notevole importanza.

Di diversa matrice, invece, la cerimonia misterica delle nozze magiche legate alla Dignitas Matrimonii o matrimonio misterico. Ci riferiamo al rito nuziale che si officiava nell’antica Roma, durante il quale la sposa, prima di congiungersi con il marito, doveva unirsi con il dio Tutinus, di origine priapica (da Priapo, divinità il cui culto si era originato nell’Asia Minore), considerato anche come Genius domesticus o Lar familiaris. Il Lare familiare era considerato il Nume tutelare della famiglia. Una volta entrata nell’abitazione del coniuge, la fanciulla (nuova nuptd) accedeva al letto coniugale solo dopo essersi seduta sul simulacro intifallico del dio, che a livello simbolico la iniziava alla vita sessuale.

Alcune volte si pregava ritualmente rivolgendosi agli dèi, invocando la divinità prescelta connessa con una data propizia scelta accuratamente e, in seguito, ci si isolava. Nell’ambito di questo iter operativo, si possono individuare elementi sapienziali collegati a una scienza ermetica volta a far insorgere le condizioni adatte mirate al concepimento magico. La forza esternata da tale pratica consentiva di concretare, per mezzo di processi arcani, la nascita di un figlio maschio anziché di una figlia femmina, a seconda delle necessità.

E importante sottolineare, con riguardo al Dignitas Matrimonii, che il talamo matrimoniale a Roma si chiamava Lectus genialis, ovvero letto del genius. Questo genere di Genio, il cui nome deriva dal verbo gigno, che vuol dire “Io genero”, incarnava simbolicamente la virtù procreatrice dell’uomo. La fase dell’amplesso, quindi, celava elaborate valenze di ordine magico che ritroviamo poi nel tantrismo sacro. Nel contesto della famiglia, la donna sacralizzata assumeva il ruolo di custode del fuoco, incorporando così la natura di Vesta (Fiamma viva o Fuoco-Vita). L’uomo, viceversa, rappresentava la controparte maschile e prendeva il nome di Pater familias. Colei che vestiva i panni di Vesta aveva il compito di vegliare sul Fuoco Sacro allo scopo di evitare che la fiamma si spegnesse e di assicurare che mantenesse la purezza originaria. In tal modo, la sposa (o Fiammica dialis) invocava la forza sacra del fuoco offrendo dei sacrifici.

Nell’ambito di tali usanze rinveniamo frammenti di culti brahmanici, espletati in India con valenze ancora più profonde e di ordine cosmico. La sposa, unita all’uomo dal sacramento chiamato Samskara, diveniva la dea della casa o Grhadevata. In questo caso, la giovane configura simbolicamente e magicamente sia il focolare (Kunda) sia la Fiamma del sacrificio. Nell’unione degli opposti si celebravano così le nozze magiche tra il principio maschile e quello femminile, che ritroveremo a livello alchemico nella Roma del Medioevo.

In Grecia, gli elementi magici connessi al matrimonio sono riconducibili alla dea Aphrodite Teleia e lo sposalizio presentava elementi di tipo misterico. L’attributo con cui era chiamata Aphrodite (Teleia) deriva da telos, termine relativo all’iniziazione. L’atto procreativo racchiudeva in tal modo l’assunzione cosciente delle corrispondenze cosmiche del maschile e del femminile, unione tra il Cielo e la Terra, l’Alto e il Basso.

Tornando alla Maddalena, il Vangelo di Maria, rinvenuto in Egitto nel 1896, supporta l’ipotesi che la vede incarnare l’archetipo della sacra Dea, dato che la Maddalena o Màgdala assume un ruolo di primo piano che ripropone la potenza della Dea Madre. Il testo si apre con una citazione del Cristo risorto che così si rivolge ai discepoli: «Il Figlio dell’uomo è dentro di voi. Seguitelo. Chi lo cerca lo trova. Andate dunque, e predicate il Vangelo del Regno». Maria, quindi, è colei che riceve la visione, un evento estremamente significativo, volto a ricordarci che una delle funzioni che presiedono all’archetipo associato alla Dea Madre è di dispensare immagini astralizzate per mezzo della visione.

Non bisogna dimenticare, inoltre, che tale manifestazione ci riporta alla mente l’arte sciamanica del vedere che si attua nell’ambito del percorso estatico.

Interessante anche il concetto di mente come strumento che permette di scrutare nell’ignoto, il mezzo che mediante pozioni sacre di origine psicotropa o in maniera naturale consente di squarciare il buio del regno astrale. Anche l’aspetto psicotropo gioca un ruolo preponderante in ambito realizzativo. L’impiego di sostanze allucinogene a fini rituali è antico come il mondo, e sono poche le società e le religioni in cui tali elementi, vegetali e sacrali, non erano presenti.

Queste erbe, sapientemente dosate, costituivano la chiave di accesso al regno simbolico e archetipo. Tra le più conosciute dobbiamo ricordare il fungo psilocibe mexicana, il teonandcatl o carne di Dio, connesso con gli Aztechi e i Maya, il peyote degli antichi Chichimecas, il cui uso rituale risale a parecchi secoli prima di Cristo, l’amanita muscaria dei popoli siberiani, l’ambrosia degli antichi Greci, l’ibogaina dei Pigmei africani, il soma degli Indù. E ancora, lo yagé chiamato anche ayahuasca, una liana ben nota agli Inca (che quasi certamente se ne servivano per i riti legati al serpente cosmico), e utilizzata ancora oggi dagli indios Zagara, la cannabis dei Zoroastriani, Xololiuqui dei nativi amazzonici, le foglie di coca dei Quechua Aymarà delle regioni andine e, infine, lo stramonio (datura stramonium), pianta già nota ai Greci, agli Arabi, alle popolazioni sudamericane e a quelle dell’India.

Questo testo è estratto dal libro "Scienza dell'Hermes".

Data di Pubblicazione: 2 ottobre 2017

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