L'architettura di chi non sa
L'architettura di chi non sa
«Pronto».
«Ciao Fiore, come stai?».
«Sempre meglio».
«Ah ah ah! Dai, come mai questa telefonata?».
«Senti, io e Sabrina, dopo il successo di Milano, visto che stiamo preparando il programma eventi 2015, volevamo proporti una serie di gite in Veneto da terminarsi durante l'anno».
«Davvero? Che forte!».
«Sì, con il solito taglio simbolico-esoterico».
«Ok, dove vorreste andare? Quali sono le mete che vorreste proporre ai vostri soci?».
«Ti dico subito: Vicenza, Padova, Verona, Venezia, Castelfranco e Asolo. Ti piacciono come destinazioni?».
«Fiore, sicuramente dovrò prepararmi su alcune, ma è il mio lavoro. Dai sì, si può fare».
«Benissimo, allora metteremo subito in programma Vicenza, che chiaramente avrà come tema la simbologia nascosta nelle opere palladiane, oltre ai luoghi della città più esotericamente interessanti. D'altronde di lui bisognerà parlare in quasi tutte le mete scelte».
«E certo!».
«Benissimo, ti faccio mandare da Sabrina la mail con date e destinazioni dettagliate».
«Perfetto!».
«Ti saluto Michele».
«Un abbraccio Fiorenzo».
Fiorenzo e Sabrina sono i responsabili di un'Associazione di tutto rispetto in quel di Castelfranco Veneto (e fin qui tutto bene), con i quali collaboro da alcuni anni (e anche questo va bene). Hanno un nutrito, direi nutritissimo gruppo di associati, che con il tempo ho imparato a conoscere; sono persone davvero speciali (e anche questo non stona, anzi).
Il problema è un altro
Il problema è un altro: al momento della telefonata, io, del Palladio non sapevo nulla, ma proprio nulla e, terminando la telefonata, mi sono reso immediatamente conto in che razza di pasticcio mi stavo mettendo pur di lavorare e, dato che Vicenza era la prima meta, il tempo a mia disposizione per documentarmi sulla città e il Palladio non era esattamente infinito.
Oh, di situazioni simili ne ho avute e superate già tante grazie all'Ottava, ma questa volta le cose partivano un po' peggio del solito, anche perché, avendo scritto su Arcimboldo ed essendo ancora sull'onda cromatico-iniziatica del grandissimo pittore-alchimista, l'idea di lavorare, per quell'anno, sul significato del colore verde mi aveva conquistato alla grande.
Avevo già individuato il personaggio da indagare, dal sicuro pedigree, un fuoriclasse ai suoi tempi, posto a capo della confraternita: sto parlando della Viriditas, della sorella Ildegarda di Bingen che era lì in bella vista, ad aspettarmi per diventare, a distanza di quasi novecento anni, il tema del mio prossimo libro.
Ma quelle gite, che mi avrebbero occupato per quasi un anno, trovandomi quasi completamente impreparato, mi costringevano a un cambio di piani.
Lo so, ho suscitato la vostra curiosità e vi state domandando: cos'è la Viriditas?
Signori, è il colore che indica la vita, la forza della vita, la forza della natura immortale, il potere rigenerante del Divino, insomma il cuore verde, in tutti i sensi, di un essere che ritorna senza tentennamenti in primavera, potente, florido, pieno di energia e pieno di gioia.
Ebbene, Ildegarda su quel colore eresse il suo percorso iniziatico mirato, anche attraverso lo studio delle piante, a comprendere come e perché il divino, inteso come vegetazione, come natura, non è mai privo di vita, di energia e di voglia di vivere.
Una voglia di vivere che Lei, affetta da una malinconia depressiva cronica (probabile causa della sua vena profetica e religiosa), essendone priva, aveva cercato di curare attraverso lo studio del colore di Osiride.
E io, immediatamente rapito da questa sua indagine ultracentenaria, avrei voluto fare la stessa cosa, soprattutto ora che so come quel colore nasce, ma specialmente cosa rappresenta a livello sottile all'interno del Settenario.
Tutti argomenti che hanno a che fare con l'androginia, il Fiore della Vita, i 3/4, insomma... lasciamo perdere se no mi tocca parlare come minimo di Hulk, alchimia, arte, geometria ecc. e non è questo il tema del libro.
La sostanza è che, come già mi è successo in passato, parto per indagare e seguire un argomento e poi il lato «materiale» mi costringe a battere altre vie e la cosa mi crea una specie di senso di colpa.
La solita selva di pensieri
Dopo la solita selva di pensieri inutilmente distribuiti da una mente e un'anima sempre più ribelli, decido di far finta di nulla e di non considerare questo dilemma posto a cavallo fra lavoro e studio. Vicenza e le sue consorelle, in fondo, possono attendere qualche minuto, Ildegarda pure e, come sempre faccio, stabilisco di raggiungere il Tempio assoluto della papilla gustativa, il mio luogo sacro, dove tutto per me diventa cristallino e chiaro, dove le decisioni più difficili della mia vita vengono prese senza nessuno sforzo.
Macchina, rombo sicuro e decennale dei più potenti quattro cilindri mai costruiti dalla Skoda (sono arrivato a 230.000 chilometri), quindi a tutto gas da... Peppinella.
Ma voi lo sapevate che la Skoda prima era una fabbrica di armi che faceva bombe e cannoni?
Io mi sono limitato a comprare una bomba «appena» sedici anni fa. Non perde un colpo.
In compenso, quando mi vedono, faccio «prendere un colpo»!
«Giorno!».
«Buongiorno, mi dica».
«Metà di quella pagnotta e un pezzo di pizza per un panino». «Mortadella o salame nel panino?».
In quel momento, faccio finta di pensare e poi, dopo aver lungamente interpellato il mio unico neurone e aver capito che solo l'eco gli fa compagnia, dico (da diciotto anni): «Facciamo mortadella, va'!».
«Benissimo, oggi si cambia allora...» mi viene risposto solitamente.
Dopo aver pagato, mi dirigo verso il mio «gioiello», mi siedo e raggiungo l'apoteosi degustativa, conscio di come più briciole dissemino e più soddisfazione avrò nel negare ogni addebito in merito alle mie abitudini alimentari mattutine. Accuse che puntualmente mi vengono rivolte dalla più piccola delle figlie che da anni cerco di corrompere, all'uscita da scuola, con un pezzo di pizza croccante nascosto nel cruscotto, che lei mangia regolarmente, ma che non è mai servito allo scopo.
Un bel morso, un bel respiro, un sapore fantastico e... la decisione è presa: il Palladio dovrà avere la precedenza su Ildegarda per un piccolo arco di tempo, mi dico.
La complessità della Viriditas, la stessa affrontata da Gustavo Rol, dovrà attendere.
La complessità della Viriditas
Tornato a casa accendo il PC e digito: «archive.org».
Immediatamente appare un database americano nel quale sono caricati milioni di opere, prive di diritti di autore.
Lì, per quanto riguarda le mie ricerche, spesso trovo ciò che mi serve.
Nel campo di ricerca digito «Andrea Palladio» e immediatamente mi appaiono decine di download gratuiti, riguardanti la sua più grande opera: I quattro libri dell'architettura.
Ne ho sentito parlare, però... sai che noia, mi dico.
Certo che farsi chiamare come la dea Pallade suggerisce qualcosa riguardante la ragione e il sapere che andrebbe indagato, ma non voglio impegnarmi più di tanto, tutto sommato è solo una gita, mi dico, e leggere la sua opera maggiore sicuramente mi basterà per parlare di lui.
Palladio, Pallade, Athena, Diana, Minerva, Efesto, Vulcano, Giove, tutti nomi che frullano nella mia mente in quanto legati dallo stesso mito.
(È più forte di me, non riesco a frenarmi.)
Un tempo, certi soprannomi o nomi, dovevano dichiarare, a chi era in grado di comprendere, quale fosse la vera «appartenenza» di chi li portava; e uno che porta il nome di un'entità divina che rappresenta il sapere ragionato (dea Pallade), nato da un colpo d'ascia sferrato da colui che (Efesto), primo fra gli alchimisti, fu in grado di trasformare la materia in modo sopraffino, tanto da raggiungere, attraverso le sue opere, la bellezza, ebbene, uno così sicuramente ha dentro di sé nascosto e riposto un percorso conoscitivo di tutto rispetto.
E poi il Palladio è il Palladio, esiste persino il palladianesimo, a testimoniare come e quanto il suo operato sia stato importante e in grado di attraversare epoche e continenti.
Questo testo è estratto dal libro "Storia dell'Architettura Sottile".
Data di Pubblicazione: 2 ottobre 2017