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Alzheimer: sintomi, diagnosi e prevenzione

Alzheimer: sintomi, diagnosi e prevenzione

Scopri come si sviluppa e come si può limitare questa malattia neurodegenerativa leggendo l'anteprima del libro di Marcello Pamio.

Demenza & Alzheimer

«Tu, i tuoi ricordi e le tue ambizioni non siete altro che il comportamento di un vasto insieme di neuroni e delle loro molecole».
Francis Crick

Il cervello è indubbiamente l’organo più enigmatico dell’universo, e forse è proprio per questo che è l’unico organo del corpo umano il cui funzionamento ancora sfugge alla nostra comprensione.

Le cifre che lo descrivono sono a dir poco astronomiche: in un volume di soli 1500 centimetri cubi circa, si racchiudono 100.000 milioni di neuroni che utilizzano fino a 19.000 dei 30.000 geni che compongono il genoma umano, e si collegano tra loro formando un miliardo di connessioni per ogni millimetro cubo di corteccia cerebrale. Oltre ai neuroni vi sono le cellule gliali di supporto che addirittura superano di dieci volte il numero dei neuroni stessi.

Ogni neurone può collegarsi (grazie al corpo degli assoni) con altri mille, intrecciando reti la cui complessità è inimmaginabile.

Se solo venissero messi in fila gli assoni dei neuroni di una persona, raggiungerebbero una lunghezza di 150.000 km, quasi la metà della distanza tra la Terra e la Luna.

I neuroni sono in grado di comunicare e connettersi tra loro grazie ad alcune sostanze chimiche dette neurotrasmettitori, di cui oggi se ne conoscono circa 100 diversi.

Ci hanno sempre insegnato che il cervello è un organo immutabile, si nasce con un numero fìsso di cellule, e man mano, nel corso dei decenni, se ne perdono costantemente e inesorabilmente. Ma sembra non sia corretta questa visione nichilista. Quindi, nonostante quello che si è sempre pensato sull’immobilità e staticità del cervello, secondo le ultime scoperte delle neuroscienze il cervello è plastico, non resta immutabile ma anzi, durante il corso della vita, continua a trasformarsi. Questa proprietà detta “neuroplasticità”, riguarda i vari livelli dell’organo, dalle sinapsi ai prolungamenti nervosi per giungere alle regioni funzionali.

Sulla plasticità del cervello è interessante sentire l’esperienza della dott.ssa Maura Boldrini, italiana ricercatrice nel Dipartimento di Psichiatria alla Columbia University. Secondo le sue ricerche, il cervello continua a rigenerarsi anche nella terza età, grazie a riserve di “neuroni immaturi” (staminali) pronte a entrare in azione anche a 79 anni. In pratica, in ogni momento della vita, vi sarebbero dei neuroni pronti a scendere in campo, e questo avviene soprattutto nell’ippocampo, quell’area cerebrale che gestisce e governa la memoria, e che, come vedremo, è la più danneggiata nell’Alzheimer.

Come detto, ogni cellula nervosa è collegata, mediante sinapsi, con molte altre cellule, formando una rete di comunicazione così intricata che, a confronto, quella di internet è un banale quaderno a quadretti.

Ciascun gruppo di cellule nervose svolge un lavoro specifico, alcune sono coinvolte nel pensare, nell’apprendere e nel ricordare, mentre altre aiutano a vedere, sentire suoni, odori, ecc.

Per svolgere il loro immenso e fondamentale lavoro, le cellule cerebrali devono ricevere forniture imponenti di alimenti e ossigeno, per generare e produrre energia, costruire connessioni e soprattutto liberarsi dai rifiuti tossici, cosa quest’ultima cruciale per il benessere e la salvaguardia dell’organo.

Inoltre, le cellule processano e immagazzinano informazioni.

Per mantenere questa perfetta fabbrica in funzione è necessario un coordinamento centrale, nonché grandissime quantità di combustibile e soprattutto di ossigeno!

Esattamente come in una vera e propria fabbrica, i blocchi e i guasti in un singolo sistema provocano problemi anche in zone distanti. Con la diffusione del danno, le cellule perdono la capacità di compiere il loro lavoro specifico, e in seguito possono morire, provocando mutamenti e danni irreversibili nel cervello, quelli che si vedono nelle patologie neurodegenerative.

Un altro punto importante per rallentare il fisiologico invecchiamento cerebrale è considerare il cervello al pari di un muscolo molto speciale. Pertanto, esattamente come per ogni muscolo, va tenuto costantemente in allenamento con stimoli adeguati (letture, immaginazione, visualizzazione, musica, cruciverba, ecc.) alternati a profondo riposo e a una nutrizione corretta, punti che vedremo nel dettaglio.

Decorso e diagnosi

Esistono casi, purtroppo sempre più diffusi, in cui l’Alzheimer è precoce, cioè la diagnosi viene fatta a cinquanta o sessant’anni, ma normalmente viene riscontrato in età più avanzata. Il decorso della malattia è lento e in media i pazienti possono vivere fino a 8-10 anni dalla diagnosi.

Diagnosticare per tempo la demenza non è semplice.

Oggi l’unico modo per fare una diagnosi certa di Alzheimer è attraverso l’identificazione delle placche amiloidi nel tessuto cerebrale, possibile solo con l’autopsia dopo la morte del paziente. Pertanto l’unica diagnosi sicura è sempre postuma.

Questo significa che durante il decorso della malattia si può fare solo una diagnosi “possibile” o “probabile”, e per farla i medici si avvalgono di diversi test: esami clinici (sangue, urine o liquido spinale), test neuropsicologici per misurare la memoria, la capacità di risolvere problemi, il grado di attenzione, la capacità di contare e di dialogare, e Tac cerebrali per identificare ogni possibile segno di anormalità. Esami che permettono al medico di escludere altre possibili cause che portano a sintomi analoghi (patologie alla tiroide, reazioni avverse a farmaci, depressioni, tumori cerebrali, malattie dei vasi sanguigni cerebrali, ecc.).

Come qualsiasi altra malattia neurodegenerativa, la diagnosi precoce è molto importante sia perché offre la possibilità di trattare alcuni sintomi della malattia, sia perché permette al paziente di pianificare il suo futuro, quando ancora è in grado di prendere decisioni.

Terapie farmacologiche

Non esistono farmaci in grado di fermare e far regredire la malattia, per cui tutti i trattamenti attualmente disponibili puntano solo al contenimento della sintomatologia, con risultati iniqui ma inducendo effetti collaterali.

I farmaci più noti sono: tacrina, donepezil, rivastigmina e galantamina, e i loro principi attivi vanno a inibire l’acetilcolinesterasi, un enzima che distrugge l’acetilcolina, il neurotrasmettitore che risulta essere carente nel cervello dei malati.

L’acetilcolinesterasi è un enzima, localizzato principalmente nelle terminazioni nervose che catalizza l’idrolisi, cioè la degradazione dell’acetilcolina, un neurotrasmettitore che circola tra le cellule nervose ed è essenziale per l’apprendimento e la memoria.

Il problema è che questi farmaci agiscono in tutto il corpo, per cui la prolungata permanenza dell’acetilcolina in altre parti del corpo, specialmente nel sistema gastrointestinale e del cuore, provoca effetti collaterali come l’accelerazione del transito intestinale (diarrea, magari alternata a stipsi) e il rallentamento del ritmo cardiaco. Infatti ha destato preoccupazione l’alta mortalità degli inibitori dell’acetilcolinesterasi nei soggetti con malattie vascolari.

Vaccino per l’Alzheimer?

Molte aziende farmaceutiche che si occupano di Alzheimer stanno puntando, come prospettiva terapeutica più promettente, sulla rimozione della proteina beta-amiloide.

Dall’ipotesi della cascata amiloide sono nate diverse strategie per prevenire la formazione, impedire l’aggregazione e favorirne invece l’eliminazione.

Un approccio per così dire innovativo è costituito dalla stimolazione della risposta anticorpale all’amiloide, mediante vaccinazione. Si è infatti ipotizzato che un vaccino potesse potenziare la produzione da parte dell’organismo di anticorpi diretti contro l’amiloide, prevenendo così un diffuso accumulo di placche a livello cerebrale. Ma anche in questo caso siamo nell’ambito delle pure ipotesi: non si sa ancora infatti se le proteine beta-amiloidi, che si formano nel cervello, sono la causa o l’effetto...

Questo è il grosso limite della medicina allopatica: accanirsi sul sintomo (placche in questo caso) con ogni mezzo per spegnerlo e cancellarlo.

La ratio è questa: siccome la medicina non è in grado di impedire la morte delle cellule che producono l’acetilcolina, inibisce chimicamente l’enzima, nella speranza che rimanga alta nei malati la concentrazione di questo neurotrasmettitore.

Diviene pertanto di importanza vitale comprendere se le placche crescono e si ammassano per un fatto accidentale, o se invece la loro presenza ha una logica a monte, magari quella di impedire ad agenti microbici (funghi, micotossine e batteri) che finiscono nel circolo cerebrale, di creare danni...

L’ipotesi vaccinale non è solo fantascienza, ma fantahorror, perché come vedremo in un capitolo dedicato, questi farmaci sono proprio tra gli imputati principali nell’eziopatogenesi dell’Alzheimer a causa delle sostanze chimiche e tossiche contenute (adiuvanti, ecc.).

Perdita di memoria e altri sintomi

I sintomi della demenza possono variare notevolmente e soggettivamente, ma tutti vanno incontro a problemi di perdita di memoria. Va detta e sottolineata a questo punto una cosa importantissima: una perdita di memoria momentanea, o dimenticare qualche fatto della vita, non significa avere il morbo di Alzheimer o un altro tipo di demenza!

La paura della malattia potrebbe, in persone sensibili, innescare panico, conflitti e anche pericolose depressioni.

Una vera demenza interferisce negativamente con la memoria, la comunicazione e il linguaggio, la capacità di concentrarsi e di prestare attenzione, il ragionamento e il giudizio e la percezione visiva.

Rischio di demenza e prevenzione

I ricercatori continuano a esplorare l’impatto dei fattori di rischio sulla salute del cervello e la prevenzione della demenza.

Le aree più attive di ricerca nella riduzione del rischio e nella prevenzione includono fattori cardiovascolari, idoneità fìsica e soprattutto il regime alimentare.

Il cervello, come abbiamo già detto, è un’idrovora di sangue e ossigeno, e proprio per questo motivo viene nutrito da una delle più ricche reti di vasi sanguigni del corpo. Necessita di tantissimo sangue perché ha bisogno di nutrienti, zucchero e ossigeno costantemente. Quindi tutto quello che danneggia i vasi sanguigni può indurre a cascata danni nei vasi sanguigni cerebrali, privando le cellule cerebrali (neuroni e non solo) di cibo e ossigeno.

Per esempio un’arteriosclerosi periferica potrebbe causare danni alla rete sanguigna encefalica, predisponendo a un declino veloce. Si può allora aiutare a proteggere il cervello con alcune delle strategie messe in atto per la protezione del cuore: non fumare, mantenere un peso corporeo sano, controllare la pressione sanguigna, il colesterolo, la glicemia (gli zuccheri nel sangue), fare movimento corporeo giornaliero e alimentarsi in maniera ottimale. L’alimentazione è centrale, e sempre più studi scientifici ufficiali stanno confermando la sua centralità sia nella prevenzione che nella terapia.

Data di Pubblicazione: 31 ottobre 2019

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