SAGGI E RACCONTI   |   Tempo di Lettura: 9 min

Amagi - Anteprima del libro di Sagar Prakash Khatnani

L'inizio del racconto

Tutto inizia con un grido

«Amagi!» gridò Yuseph, svegliandosi prima dell'alba. Ansimava ancora e, come ogni notte, il letto era impregnato di sudore. Aveva fatto per l'ennesima volta lo stesso sogno, lo stesso delle ultime settemilatrecento notti, dal giorno in cui era nato.

Quella notte però era diverso, perché Yuseph compiva vent'anni.

Avvolto nel buio, pronunciò nuovamente quella parola misteriosa, in una sorta di invocazione.

«Amagi... Cosa vorrà dire?» si chiese stordito.

Perché continuava a fare lo stesso sogno? Non riusciva a collegarlo a niente, ma sentì qualcosa di strano, come un presentimento.

Nel sogno si trovava davanti al cancello di casa. Lo apriva e attraversava lento il patio. Nel centro esatto cresceva un albero enorme e frondoso, le cui grosse radici avevano perforato la terra, aprendo crepe sui muri della facciata. Tutto appariva trascurato, come se fossero passati anni e nessuno si fosse preoccupato di tenere in buono stato la proprietà. Arrivato sulla soglia, scostava le foghe con le mani ed entrava. La stanza era buia, solo qualche raggio di luce l'attraversava come lame di spada. Allora qualcosa richiamava la sua attenzione... qualcosa che non aveva mai visto prima.

Sotto il portico che correva intorno al patio, impilati gli uni sugli altri contro la parete, c'erano dei bauli di legno. Mentre camminava in quella direzione e cercava di aprirli, si chiedeva da dove fossero sbucati. Erano sigillati e neppure strattonandoli con forza riusciva a farli cedere. Finché, scossone dopò scossone, uno cadeva e per l'impatto si apriva, spargendo il suo contenuto. Qualcosa che giaceva a terra capovolto, a pochi metri da lui, lo attirava come ima calamita. Yuseph cercava di raggiungerlo, ansioso, ma a quel punto il suo cuore batteva di paura e la stanza cominciava a girargli intorno finché non si svegliava, confuso, con quella parola nella bocca e tuttavia incapace di decifrarne il significato: Amagi.

Quello che nessuno sapeva - né suo padre, Hadi; né il suo miglior amico, Adnan, né lo stesso Yuseph - era che in quel momento stava avendo inizio la storia della sua vita. Avrebbe conosciuto l'amore, la vendetta, l'odio e l'ambizione... e negli avventati sentieri dell'esistenza avrebbe scoperto la verità delle cose, gli insegnamenti che gli avrebbero fatto da guida e la saggezza eterna del mondo, per giungere irrimediabilmente alla rivelazione del segreto che l'universo gli sussurrava attraverso quel sogno.

Tuttavia, a quei tempi Yuseph ignorava il proprio destino e riusciva a pensare a una cosa sola: il suo ventesimo compleanno. Era eccitato all'idea che finalmente stava diventando un uomo. Era alto e snello, ancora acerbo e in fase di sviluppo, come una canna di bambù. Si intuivano le spalle ampie e, ancora in nuce, una incredibile bellezza. La sua pelle era ramata e lucida e gli occhi, forgiati nel bronzo, fiammeggiavano inquietanti, quasi ipnotici, di una virilità tentatrice e misteriosa.

Non appena aveva finito la scuola, aveva iniziato a lavorare come calzolaio, aiutando suo padre. Non gli era mai piaciuto e da sempre immaginava un altro futuro. Ma non poteva essere egoista: suo padre invecchiava, ed era suo dovere aiutarlo e soddisfarne le aspettative. Yuseph aveva fame di vita, avrebbe voluto scappare, ma ogni giorno si ritrovava davanti scarpe e piedi sporchi. Così, anno dopo anno, i pellegrini passavano a prendere le scarpe; alcuni se ne andavano in terre straniere, altri tornavano al focolare dopo decenni di assenza, e solo lui rimaneva ancorato ai «dovresti» e ai «sarebbe meglio».

Nonostante tutto, quel giorno saltò giù dal letto carico di entusiasmo. Si vestì con particolare accuratezza e uscì dalla stanza, impaziente di ricevere gli abbracci e gli auguri di Baba Jan*.

*Padre amato. Come termine indipendente, jan è più o meno l'equivalente di tesoro e si utilizza quasi esclusivamente per i parenti prossimi, come le mogli, i genitori e i figli.

Lo trovò nell'atrio, che spostava delle casse.

Suo padre, Hadi Wahed, era un uomo cerimonioso come l'incenso e dai modi formali. Camminava ingobbito, con la tenerezza di ima tartaruga centenaria, e aveva ancora qualche capello bianco sulle tempie. Nel vederlo, gli sorrise e spalancò le braccia. Yuseph gli si avvicinò, carico d'affetto, pronto a farsene avvolgere.

«Ciao, Yuseph jatt», lo salutò. Guarda, tutte queste cose sono tue.» E con quel gesto che a Yuseph era parso un invito a farsi abbracciare, indicò la stanza; poi, senza dargli tempo, incrociò le braccia. Il ragazzo si arrestò, come se gli avessero tarpato le ali, e le sue guance si tinsero di rosso. «Oggi non potrò farti compagnia in negozio, voglio finire di mettere ordine in questo disastro.»

Hadi si libera delle cose

Hadi aveva trascorso le ultime settimane a radunare vecchi arnesi che aveva in casa e a regalare quelli che non gli servivano. Il pianerottolo era pieno di scatole di legno e mucchi di oggetti. Yuseph riconobbe alcuni ricordi d'infanzia, ma in quel momento non diede importanza alla cosa, sprofondato com'era nell'amarezza della delusione. Il padre non si era ricordato del giorno del suo compleanno... di nuovo. Lento, a spalle basse, si voltò trascinando stancamente i piedi, come se gli pesassero, quando suo padre disse: «Per Allah, stavo dimenticando la cosa più importante! Sai che giorno è oggi, Yuseph jan?»

Yuseph si girò e un sorriso gli illuminò il volto come il sole tra le nuvole. «Sapevo che te lo saresti ricordato, Baba Jan!»

«Certo che sì, figlio mio, come potevo dimenticare un'occasione così speciale? Oggi vengono i portoghesi.» Yuseph perse il sorriso. «Sono i nostri migliori clienti, trattali bene.»

Il ragazzo annuì e si allontanò in silenzio.

Fuori soffiava una brezza calda e i raggi obliqui dell'alba proiettavano ombre allungate sulla terra umida. Svogliato, scese le scale e fece il giro della casa fino alla tettoia, dove avevano messo su la bottega.

All'ingresso c'era un giardinetto dove crescevano due banani e un gelsomino profumato abbracciato al muro. Era lì, nel centro esatto, che appariva il misterioso albero che Yuseph sognava tutte le notti.

La vita ben presto gli avrebbe svelato il suo significato.

Di colpo, s'imbatté in qualcuno nascosto nell'angolo. Era di spalle e Yuseph gridò forte, facendo voltare l'estraneo con un sobbalzo.

«Buon compleanno, Yuseph!» dichiarò quello, divertito.

Yuseph lo riconobbe all'istante: era Adnan Amis. Adnan era per la sua anima come un intimo segreto, rinfrescante come linfa di menta, una luce nelle avversità, lo specchio nel quale riflettersi, l'armoniosa sincronia, era rinvigorente come ima potatura, la distrazione perfetta, la consolazione spirituale. Gli regalava un'allegria ricolma di risate: era il suo amico.

Si abbracciarono felici e Adnan lo prese per le spalle, allontanandolo da sé per guardarlo negli occhi. Era capace di leggere nel suo volto come in un libro aperto. Yuseph sviò impercettibilmente lo sguardo, e Adnan sorrise con un misto di compassione e di ironia.

«Se n'è dimenticato un'altra volta, vero?» indovinò con perspicacia. Scheletrico, Adnan era cresciuto un po' curvo, come un ramo scosso dal vento. Tutto in lui era fragile e trasudava timidezza. Tuttavia, conosceva bene la natura umana. «Se non altro, hai qualcuno che non ti apprezza», concluse sarcastico. «Io non ho nemmeno quello.»

Per Yuseph fu come risvegliarsi di colpo: abbassò lo sguardo, un po' imbarazzato. Adnan aveva dovuto affrontare ben presto la vita, perché i suoi genitori erano morti di dengue quando lui aveva dodici anni.

«Bene, stanotte dobbiamo...» cercò di consolarlo Adnan, ma s'interruppe per un attacco di tosse.

Diventò paonazzo e una vena prominente gli si gonfiò nel collo. Gli occhi si riempirono di lacrime e la tosse aumentò tanto da farlo piegare come un filo d'erba. Yuseph, preoccupato, gli diede qualche colpetto sulla spalla, praticandogli un massaggio circolare, e a poco a poco l'altro si calmò. «Vuoi che ti porti dell'acqua?» gli chiese con voce ansiosa.

Adnan negò con la mano. «Non preoccuparti», ansimò.

Non dire quella cosa

Yuseph si morse le labbra; stava per ripetere una cosa che Adnan detestava. «Credo che dovremmo tornare dal medico...»

«Sto bene, sul serio. La nuova cura sta facendo effetto.» Si tirò su adagio, stringendosi un fianco, poi esclamò: «Sento che sto migliorando». Davanti alla fronte aggrottata di Yuseph, Adnan rise di nuovo, con difficoltà. «Non c'è niente di cui preoccuparsi, davvero.»

Yuseph non rispose. La situazione era la stessa da mesi. All'inizio aveva colpito solo le articolazioni. Erano andati da tutti i medici di Dar Beìda*, ma alcuni non riconoscevano la malattia e altri ignoravano il rimedio. Poco alla volta, una tosse persistente e grassa si era impossessata di Adnan. Tossiva così tanto che gli si erano seccate le viscere e aveva cominciato a sputare sangue. Non riusciva a sopportare la luce e aveva sempre mal di testa; persino mandar giù la saliva gli irritava la gola. La notte di solito gli veniva la febbre, e più di una volta Yuseph lo aveva vegliato temendo che morisse. Ormai solo i guaritori avevano l'ardire di offrirgli i loro intrugli e, benché fossero risultati inutili, in effetti l'ultimo rimedio sembrava funzionare.

«Bene, adesso devo andare», aggiunse Adnan mentre si tirava su fingendo di stare bene, «stanotte però voglio invitarti a cena alla taverna.» Si congedò con un nuovo abbraccio, poi si voltò.

Yuseph parlò alle sue spalle. «Dove andrai ora?»

Adnan non si voltò a rispondergli, continuò ad allontanarsi. «Al lavoro.»

«Ma prima?» insistette Yuseph. Un sorrisetto gli curvò le labbra.

«Lo sai, amico...»

«A casa di Akthar, il vasaio?» Adnan continuò a camminare senza rispondere, ma Yuseph avrebbe giurato che stava sorridendo. «Confessalo che non pensi ad altro che a lei!» lo incoraggiò.

«Domani, te lo prometto, domani confesso...» 

Yuseph fece spallucce e lo seguì con lo sguardo. Adnan era un raccoglitore: non appena l'orzo, i fichi, l'uva o l'argan giungevano a maturazione, arrivava lui, come una brezza, e li coglieva. In cambio, riceveva una misera paga giornaliera che gli bastava per vivere, ma non per invitare a cena Yuseph. Avendo ereditato una modesta proprietà, possedeva un tetto sotto il quale dormire e non aveva altri bisogni. Se non fosse stato per il vasaio, sarebbe stato l'uomo più felice della Terra.

Questo testo è estratto dal libro "Amagi".

Data di Pubblicazione: 30 settembre 2017

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