SELF-HELP E PSICOLOGIA   |   Tempo di Lettura: 4 min

Anche Tu Hai un Destino?

Anche Tu Hai un Destino? - Igor Sibaldi - Speciale

Igor Sibaldi apre il suo nuovo libro con una riflessione su tre parole fondamentali che influenzano la tua libertà. Quali sono? Scoprilo, continuando a leggere.

Padroni

Come molte altre cose importanti, il destino è una sensazione.

Ѐ la sensazione che una qualche forza sconosciuta stia limitando la mia libertà. Può essere un bel destino, che mi guida verso situazioni piacevoli e mi evita guai, oppure un destino avverso, che mi fa commettere troppi sbagli ma, nell'uno o nell'altro caso, non so perché sia toccato a me: nessuno me l'ha spiegato in maniera convincente.

Cosa vuole il destino, e cosa vuole che io voglia? O magari non ha scopi, solo capricci, come scriveva Eraclito: è un bambino che gioca: il potere di un bambino.

Si diverte con me? Comunque, di me gli importa. Credere nel destino, cioè prendere sul serio la sensazione che ci sia, è un modo di non sentirsi mai veramente soli.

Non credere nel destino, d'altronde, è sempre più facile. Tanti, la maggioranza dei nostri contemporanei, sanno che cosa limita la loro libertà: i condizionamenti che subiscono, il livello di stress che li intorpidisce, l'impoverimento linguistico, per il quale non riescono più a dire, nemmeno a se stessi, ciò che provano.

 

Libertà

 

Si adeguano a queste circostanze, per tante ragioni vaghe e perché è comodo, soprattutto da quando c'è il cellulare, che distrae in certi momenti di silenzio, quando potrebbe venire voglia di precisare quelle ragioni.

Si chiama conformismo. Ѐ un modo di vivere prudente in un'epoca affannosa e, per lo più, spietata. Cosa ci guadagnerebbero se smettessero di adeguarsi e cominciassero a farsi domande di cui non sanno già la risposta, domande su se stessi? Non certo una maggiore libertà. Solo un destino personale. Cioè un padrone indescrivibile.

«No» direbbero, «il destino è un tunnel solitario. Molto meglio il tunnel collettivo, in cui noi adeguati vediamo tutti le stesse cose. Tanto, un tunnel o l'altro, non vanno sempre nella stessa direzione? Verso non si sa dove.»

Ѐ così. Correggo la mia conclusione di poco fa: avere un destino è un modo di non sentirmi mai veramente solo, ma mi isola. Vuole qualcosa proprio da me. Purtroppo, non si capisce cosa.

 

Futuro

 

Nella mente della maggioranza

Anche tu hai un destino? Dato che stai leggendo questo libro, è probabile di sì. Togliamoci subito il dubbio: verifichiamo. Calcola quanti secondi ci metti a rispondere a questa domanda: Cosa ti piace davvero?

Su, prova. Se ti ci sono voluti più di dieci secondi, o se nelle risposte che hai dato hai mentito, non hai un destino. Appartieni alla maggioranza, e ora, naturalmente, ti spiego perché.

Gli adeguati, che sono appunto la maggioranza, nel corso della loro esistenza si affidano a due verbi che la grammatica italiana definisce servili: "potere" e "dovere", e all'espressione impersonale: "bisogna".

"Potere", "dovere" e "bisogna" sono implacabili avversari del "mi piace": lo zittiscono o lo sottomettono in tutti gli individui, fin dalla più tenera etàNon deve e non può importarti cosa ti piace, bisogna che non ti importi, salvo che in alcune rare occasioni: quando qualcuno vuole conoscere una tua predilezione, per sapere come meglio prenderti o accalappiarti.

 

Desideri

 

Perciò è normale che anche la semplice domanda "Cosa mi piace?" subisca nella mente una rapida trasformazione, alla quale gli adeguati si abituano a non fare caso. Si complica e diventa:

  • cosa deve piacermi?
  • cosa può e cosa non può piacermi?
  • cosa bisogna che mi piaccia?

Il che corrode automaticamente l'idea che gli adeguati hanno della sincerità ma, dato che non se ne accorgono, non li si può definire bugiardi; usano soltanto, per così dire, una sincerità di secondo grado.

Questo automatismo richiede qualche secondo, diciamo un paio; altri due o tre secondi sono necessari a calcolare il probabile effetto, la maggiore o minore convenienza delle risposte possibili.

L'avverbio che ho aggiunto alla domanda - "Cosa ti piace davvero?" - prolungherà la riflessione preliminare di altri cinque, sei o anche dieci secondi, nella mente di un adeguato, il quale penserà suppergiù questo: "Come, davvero? Devo dire sinceramente che cosa mi piace? Ma non me lo ricordo. Ci penso così poco. Forse non lo so. E se me lo ricordassi, potrei dirlo? Forse non bisogna..." eccetera.

Ѐ quello che la maggioranza definisce: ragionare prima di parlare.

Delle tre forme verbali nemiche del "mi piace" conviene qui dire il peggio possibile, dato che ne abbiamo sentito parlare troppo bene e troppo a lungo. Per dirne il peggio possibile, è sufficiente osservarle, con un minimo di filologia.

 

Credenze

Data di Pubblicazione: 21 maggio 2024

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