La mistificazione storica della Passione.
Il messianismo di Gesù
"Nei miei precedenti lavori ho mostrato le tante ragioni che inducono a ritenere credibile un legame tra Gesù e i movimenti della dissidenza yahwista del primo secolo: esseni e zeloti. Si tratta di quegli scrupolosi osservanti della legge religiosa ebraica che aspiravano a una nazione israelitica libera dagli influssi dei dominatori stranieri e pagani. Alla base del personaggio che si trova al centro dei racconti del Nuovo Testamento c’è una personalità storica con una connotazione messianica ben definita (in senso ebraico), della quale possiamo dire che avrebbe cercato di diventare re dei Giudei, almeno dalla morte di Giovanni Battista in poi, ovverosia di sedere sul trono di Gerusalemme al posto della odiata casta dei “reucci” erodiani.
Nello stesso tempo ho cercato di mostrare che tale personalità potrebbe addirittura essere pensata come doppia, cioè rappresentata da due individualità che avrebbero ricoperto i ruoli del messia di Israele (o messia di Davide, il messia regale) e del messia di Aronne (il messia sacerdotale), che successivamente, nel corso della predicazione paolina, sarebbero state fuse in una sola figura, “Nostro Signor Gesù Cristo”. Ci tengo a precisare: non si tratta affatto di una certezza, ma l’ipotesi è degna, se non altro, di essere formulata, innanzitutto perché non così lontana dalla verosimiglianza, e poi perché consente di porre una vasta serie di domande che aiutano nell’analisi di questo complesso problema storico.
Gesù e il movimento zelotico
Cominciamo subito esaminando un brano nel quale la vicinanza di Gesù al movimento zelotico è fortemente indiziata. Si tratta di un importante passo del quarto Vangelo. In esso possiamo leggere che Gesù, a dispetto del rischio che correva di essere lapidato, volle recarsi a Befania per svolgere quell’importante rito iniziatico, a favore del fratello di Marta e Maria, che noi conosciamo come “resurrezione di Lazzaro”. Immediatamente dopo questo episodio, che sembra essere completamente trascurato dai Vangeli sinottici, è presente una nota, densa di importanti significati (Gv 11, 45-54):
«Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quel che Gesù aveva fatto. Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: “Che facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione”.
Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno, disse loro: “Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera”. Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi.
Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. Gesù pertanto non si faceva più vedere in pubblico tra i Giudei; egli si ritirò di là nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Efraim, dove si trattenne con i suoi discepoli».
Il quarto evangelista ci rivela che, in seguito a quanto Gesù aveva fatto a Betania, si era creato un pesante clima di allarme, al punto da convincere le autorità di Gerusalemme a indire una riunione del sinedrio. L’elemento critico della discussione si focalizzava intorno a queste parole: «Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione».
Dunque la circostanza che aveva turbato i sinedriti non si configurava come un eventuale comportamento sacrilego che suscitasse scandalo alla sensibilità religiosa degli ebrei, cioè come una faccenda interna che non poteva avere alcun interesse per i romani ma, al contrario, come un elemento di grave pericolo per la sicurezza pubblica, tale da indurre i romani ad avviare una repressione così violenta da distruggere la nazione israelitica e il tempio.
Elemento Profetico
In questo possiamo senz’altro intravedere un elemento profetico, nel senso spesso utilizzato dalle scritture evangeliche delle profetine post eventum, cioè delle profezie che vengono scritte quando in realtà l’evento si è già verificato. La frase richiama infatti il destino che Israele e il tempio avrebbero subito nel 70 d.C. a opera del generale Tito, figlio dell’allora imperatore Vespasiano. Ai lettori dei Vangeli, scritti dopo il 70, i fatti erano ben noti e quelle parole dei sinedriti non potevano che creare un collegamento esplicito alla tragica conclusione della guerra protrattasi fra ebrei e romani per quattro lunghi anni.
Quanto stiamo dicendo è ulteriormente confermato dalle parole dello stesso sommo sacerdote, Caifa: «Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera». Ancora una volta si ribadisce il concetto che la figura di Gesù era sufficiente ad allertare i romani e a concretizzare un forte pericolo per la sicurezza della nazione israelitica: «Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo».
Ora, noi dobbiamo riflettere attentamente sul senso e su tutte le implicazioni di questi fatti e di queste parole. Innanzitutto la decisione delle autorità di Gerusalemme di uccidere Gesù, come è espressa e motivata in questi passi del Vangelo di Giovanni, sorprendentemente non ha niente a che fare con quanto emerge dalla descrizione del processo che Gesù avrebbe subito nella casa del sommo sacerdote, subito dopo l’arresto. Mentre noi ci aspetteremmo che le motivazioni del processo e della condanna a morte fossero le stesse che avevano indotto i sinedriti a riunirsi per decidere l’eliminazione di Gesù."
David Donnini
Data di Pubblicazione: 3 ottobre 2017