SALUTE E BENESSERE

Anteprima del libro "Insegno Yoga" di Donna Farhi

Anteprima del libro "Insegno Yoga" di Donna Farhi

La relazione con gli allievi, il potere delle parole, le riflessioni etiche.

Abbigliamento appropriato per l’allievo

Sebbene in una lezione di asana sia importante riuscire a vedere bene il corpo dell’allievo, non tutti si sentono a loro agio nell’indossare indumenti attillati. Questo può essere particolarmente vero nei casi di allievi in sovrappeso, che potrebbero sentirsi già sufficientemente imbarazzati venendo a lezione. Inoltre, le credenze religiose o culturali di alcune persone potrebbero porre restrizioni sul loro modo di vestirsi, come è per esempio il caso dei mormoni e dei musulmani. All’estremo opposto troviamo, invece, sempre più allieve giovani che si presentano alle lezioni con un abbigliamento che più si adatterebbe a un nightclub o una situazione di abbordaggio nel pub locale. È sempre più facile fare una richiesta a un gruppo piuttosto che rivolgersi a una singola persona. Come uno dei miei cari amici sufi era solito dirmi, «a volte è meglio condire i messaggi più amari con un po’ di umorismo». Potremmo chiedere alle donne di evitare di indossare pantacalze che mostrino tanga o perizomi per rispetto verso gli altri, che non hanno certo convenuto di vedere l’intera collezione di biancheria intima di quell’allieva.

Dovremmo poi essere rispettosi nel chiedere a un allievo di togliere il capo più esterno di abbigliamento, come può essere una felpa, per far vedere più chiaramente al gruppo l’esecuzione di un movimento. E dovremmo sempre chiedere il permesso di scostare un indumento dell’allievo, per esempio quando abbiamo bisogno di vedere un segmento della colonna vertebrale. Una volta un insegnante mi abbassò i pantaloni fin sotto la spaccatura delle natiche di fronte all’intero gruppo e si lanciò nella descrizione del tratto lombare della mia colonna senza che gli saltasse in mente che fosse inappropriato scostarmi gli indumenti o toccare parti intime del mio corpo senza avermi chiesto alcun permesso.

Darsi una rinfrescata prima dell’allenamento per rendere la lezione un’esperienza gradevole per tutti

Una preoccupazione che ho sentito più frequentemente riguarda la questione della pulizia e in particolare il forte e sgradevole odore di sudore. In molti casi vi sono stati allievi che dopo la lezione mi hanno riferito che una persona aveva un insopportabile odore di sudore, ma che erano troppo imbarazzati per dirglielo direttamente. Ho sentito colleghi sconcertati raccontare storie simili. Può essere particolarmente complicato affrontare questo tema con una singola persona, quindi il mio suggerimento è quello di dare una comunicazione piena di tatto all’inizio del corso, soprattutto se siete alle porte del periodo più caldo dell’anno, in cui l’odore del corpo e la sudorazione diventano maggiormente un problema. Si possono anche dare consigli amichevoli quando ci si trova in bagno o negli spogliatoi suggerendo di “darsi una rinfrescata prima dell’allenamento per rendere la lezione un’esperienza gradevole per tutti”. Fornite, poi, alla comunicazione un sostegno concreto lasciando salviette detergenti senza profumazioni, fazzoletti di carta e deodoranti inodori a disposizione per uso comune. Quando con questa strategia il messaggio non raggiunge comunque una determinata persona, la cosa migliore è davvero affrontare con delicatezza l’argomento in privato. Siate consci che potrebbe essere un problema di salute a causare l’alito cattivo o lo sgradevole odore di sudore di una persona, come un problema al fegato o altri tipi di infezioni, e questa potrebbe essere un’informazione importante per un insegnante. Sebbene gestire questioni di questo tipo non sia sempre facile, ogniqualvolta un allievo genera effetti negativi sulla capacità di apprendere del gruppo è responsabilità dell’insegnante risolvere la situazione.

Linguaggio volgare

Gli insegnanti devono essere consapevoli che il linguaggio che usano in privato potrebbe risultare offensivo se usato nel contesto di una lezione di Yoga. Di conseguenza, anche se l’umorismo può alleggerire una lezione, non è generalmente una buona idea lanciarsi nel racconto di barzellette volgari. Anche gli allievi devono essere consci che uno studio Yoga o ashram è uno spazio sacro, dedicato alla pratica spirituale e un tipo di linguaggio che potrebbe essere perfettamente usato all’esterno dello studio in una conversazione informale spesso non è appropriato all’interno della sala in cui si fa pratica.

Recentemente una collega mi ha raccontato la storia di un insegnante molto noto in visita nella sua città. Il venerdì sera in cui iniziava un fine settimana di corso intensivo, la sala era colma di allievi che sedevano silenziosamente in meditazione. Quando l’insegnante entrò nella stanza, esordì dicendo: «Che branco di fottuti secchioni! In America sarebbero già tutti stesi a terra!». Gli allievi rimasero esterrefatti di fronte a questo saluto offensivo, così come furono infastiditi dal fatto che il suo modo di dare istruzioni per i successivi novanta minuti fosse condito di un linguaggio altrettanto volgare. La mia collega mi disse: «Ovviamente, capita anche a me in qualche occasione di usare un linguaggio di questo tipo, così come sono certa capiti a chiunque dei presenti in sala, ma quando si sta facendo pratica spirituale è particolarmente sgradevole sentire qualcuno che impreca di continuo». Il giorno successivo la partecipazione si era ridotta tanto che erano rimaste solo otto persone. Gli allievi avevano alzato i tacchi e chiaramente non avrebbero tollerato che qualcuno si rivolgesse loro in questa maniera, indipendentemente da quanto fosse famoso l’insegnante.

Sutra II,36 - Quando un uomo si astiene costantemente dalla falsità, egli acquisisce il potere di ottenere per lui e per gli altri i frutti delle buone azioni, senza dover compiere le azioni stesse.

Riservatezza

Il termine “riservato” implica il fatto che dobbiamo mantenere la fiducia riposta in noi da qualcun altro. Quando un allievo viene nel nostro studio, dobbiamo essere consapevoli che quanto trapela nell’aula o nel contesto di una lezione privata dev’essere tenuto riservato. Parlare di un allievo con un altro, citare il nome di un allievo in una conversazione pubblica informale o divulgare pubblicamente informazioni sulla salute, i progressi o questioni personali di un allievo mina la fiducia che è stata riposta in noi. Alcune questioni etiche da tenere in considerazione sono le seguenti.

  • Evitare di fare riferimento all’allievo citandolo per nome in discussioni pubbliche o private.
  • Chiedere all’allievo il permesso di parlare dei suoi problemi o della sua condizione con membri della sua famiglia, un altro insegnante o un professionista sanitario.
  • Evitare di parlare con qualcuno dell’allievo usando un tono, dei modi o delle parole che non impiegheremmo direttamente in sua presenza. Questa pratica può permetterci soprattutto di coltivare un profondo rispetto per il processo dell’allievo. 

Spesso quando gli insegnanti parlano di un allievo con altri è perché non hanno consapevolezza del potenziale danno che queste conversazioni informali possono provocare. Quando vi accorgete che state rischiando di infrangere la riservatezza, meglio che vi fermiate e chiediate a voi stessi se vi sentireste bene se l’allievo scoprisse la natura e il contenuto di ciò che avete detto. Altrettanto di frequente può capitare che l’insegnante manchi di un gruppo di pari o di un mentore, con cui discutere delle questioni problematiche e degli interrogativi che stanno sorgendo nella sua relazione con un determinato allievo. Anziché parlare dell’allievo entro i confini di una relazione professionale, l’insegnante potrebbe iniziare ad avere confini meno netti e permettere a tali discussioni di inondare la propria vita personale.

Un’attenzione speciale

Durante i miei programmi di formazione per insegnanti, io, la mia co-docente e i miei assistenti ci incontriamo regolarmente ogni giorno a pranzo e alla sera. Se un allievo in particolare ci preoccupa, ne parliamo nella privacy della riunione. Poi teniamo a mente l’individuo come persona cui prestare particolare attenzione e qualcuno viene incaricato di confrontarsi quotidianamente con questa persona per valutarne il progresso al meglio delle sue possibilità. Né l’allievo in questione né alcun altro membro del gruppo sono a conoscenza del fatto che quella persona sia stata segnalata come un caso per cui è necessaria un’attenzione speciale. Se l’allievo ha condiviso informazioni personali con un assistente in particolare, il quale le ritiene utili al gruppo dell’insegnante, l’assistente chiede il permesso di condividere tali informazioni con gli altri insegnanti. Analogamente, se un allievo ha condiviso con me un dettaglio intimo riguardante la sua storia fisica, chiedo il permesso di portare il caso all’attenzione del gruppo affinché possiamo imparare insieme.

Per esempio, se un’allieva mi ha appena parlato dei suoi problemi alla colonna vertebrale e ritengo che sarebbe utile per il resto del gruppo assistere al lavoro che faccio con lei, potrei prima domandarle: «Ti sentiresti a tuo agio se condividessi i dettagli dei tuoi problemi alla colonna vertebrale con il gruppo? Ti sentiresti a tuo agio a eseguire alcune pratiche di fronte al gruppo?». Sebbene non accada spesso, vi sono stati casi in cui gli allievi mi hanno risposto che non volevano che i loro problemi fisici venissero comunicati apertamente di fronte agli altri e in questi casi è importante rispettare la volontà della persona.

La necessità di riservatezza

La necessità di riservatezza e la sua messa in pratica divengono istintive per coloro che svolgono professioni nelle quali il mancato rispetto della riservatezza non è solo antietico, ma anche illegale. Uno psichiatra o uno psicoterapeuta sono abituati a mantenere una stretta riservatezza sui propri clienti. Un medico non può raccontare a un amico che un loro amico comune si è recato alla clinica in cui lavora, per non parlare di quanto è emerso durante la visita. Un sacerdote non può divulgare quanto appreso in confessionale. Gli insegnanti di Yoga, sebbene non siano legalmente tenuti a mantenere la riservatezza, spesso rivestono una molteplicità di ruoli professionali che danno loro un potere del tutto simile a quello di altri professionisti. Una collega (che è anche agopuntrice) mi ha fatto osservare di recente che una delle partecipanti al mio corso di formazione per insegnanti stava incontrando delle difficoltà e che questo poteva essere legato al suo passato. Non mi disse se la donna era stata sua paziente, ma mi suggerì di approfondire la cosa. Quando le chiesi ulteriori chiarimenti, non mi poté dire altro se non: «Te lo dovrà dire l’allieva stessa». Molti mesi dopo, in effetti, l’allieva mi parlò della sua battaglia contro la tossicodipendenza ed era evidente che tale informazione poteva essere rivelata solo da lei e nel momento in cui fosse stata pronta a condividerla. Apprezzai il modo in cui la mia collega aveva rispettato il suo impegno di riservatezza. Sarebbe stato facile fornire dettagli, soprattutto perché l’allieva in questione era un’insegnante abbastanza nota nella comunità e l’informazione sarebbe risultata un eccezionale elemento di gossip. L’integrità con cui tenne per sé l’informazione crea uno standard a cui molti di noi insegnanti di Yoga potrebbero aspirare.

Quando sentite di correre il rischio di non mantenere la riservatezza di un allievo, fermatevi a riflettere e pensate se in seguito potreste pentirvi delle vostre parole o azioni. Continuereste a sentirvi fieri del vostro comportamento se la persona che ne è stata oggetto ne venisse a conoscenza? Potete anche chiedervi come vi sentireste se un insegnante parlasse di voi senza il vostro permesso.

Sutra I,8 - La conoscenza errata è falsa conoscenza che non è fondata sulla vera natura del suo oggetto (di conoscenza).

Data di Pubblicazione: 3 ottobre 2017

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