SPIRITUALITÀ ED ESOTERISMO

Anteprima del libro "La Numerologia e le Chiavi della Fortuna" di Guido Rossetti

Anteprima del libro "La Numerologia e le Chiavi della Fortuna" di Guido Rossetti

I numeri e la nascita del tempo

C'era una volta... Ora e per sempre

Quando, eravamo bambini la nostra percezione del tempo non era limitata dai sensi fìsici e bastava la frase “C’era una volta...” per introdurci in altre dimensioni, popolate da ogni tipo di creature bizzarre, come fate, orchi, gnomi e folletti.

“C’era una volta”, si riferisce infatti a un tempo mitico e informa l’inconscio di chi ascolta, che la storia non ha avuto luogo qui e ora, ma in un posto senza tempo, nel quale coesistono i concetti di ora e per sempre.

Ieri come oggi, narrare una storia è un atto rituale che perpetua nel dispiegarsi nella trama atti e gesta mitiche, avvenute in un luogo e in un’epoca che anticipa la storia scritta.

Quel tempo “prima del tempo”, definito da Mircea Eliade illud tempus, è un tempo primordiale in cui è accaduto tutto ciò che oggi non si inizia, ma si ripete.

Identificato come un luogo leggendario, in realtà è uno stato di coscienza, una dimensione dell’inconscio collettivo, al quale i popoli hanno attribuito diversi nomi, come per esempio: Paradiso terrestre, Eldorado, Shangri-La.

Nella fìsica questo livello di pura potenzialità è stato definito “energia di punto zero” e corrisponde al livello energetico più basso, possibile in un sistema quantistico.

La condizione aurea del tempo prima del divenire è stata espressa anche nell’antico Archetipo deli’ Uro boro, raffigurato col simbolo del serpente che si morde la coda.

L’Uroboro rappresenta l’uovo cosmico, l’universo prima della creazione oppure in una concezione mistica, il paradiso prima della caduta. I rituali che l’uomo ripete da tempi immemorabili per propiziarsi il favore degli dei, sarebbero dovuti al bisogno inconscio di redimersi dal peccato originale, rappresentato dalla perdita dell’unità della coscienza.

Anche gli atti scaramantici che fanno parte del vissuto quotidiano, rappresentano forme rituali, che adottiamo per propiziare il favore della buona sorte.

Il vuoto e il numero Zero

Il vuoto è uno spazio concettuale, che racchiude tutte le potenzialità. Esiste come punto di giunzione tra una cosa e l’altra, e rappresenta al contempo un’assenza e una porta dimensionale sul tutto.

Nello spazio tra un pensiero e l’altro, al di là della mente, dimora la Pura Coscienza, ma non ne siamo consapevoli, perché i pensieri sono come i fotogrammi di un film, che succedendosi uno all’altro, nascondono lo schermo bianco sul quale sono proiettati.

Come dice Osho in “Tantra - La comprensione suprema”:

«Osserva la mente, [...] Scoprirai che i pensieri galleggiano, e che esistono spazi intermedi fra l’uno e l’altro. E se prolunghi la tua osservazione, ti accorgerai che gli intervalli sono più numerosi dei pensieri, perché ogni pensiero deve essere separato dall’altro; [...] Se acquisti consapevolezza, vedrai spazi sempre più numerosi; se diventi del tutto consapevole, allora ti si riveleranno spazi immensi. E proprio in quegli spazi accade il “satori”. In quegli spazi, la verità bussa alla tua porta. In quegli spazi, arriva l’ospite; in quegli spazi, si realizza Dio, o in qualsiasi altro modo tu voglia chiamare questa esperienza».

Il concetto del vuoto in matematica è espresso dallo Zero. Il suo simbolismo grafico deriva dalla lettera greca omicron, il cui nome (ouden) significa “nulla”.

Il numero Zero fu concepito nel sistema di numerazione babilonese, verso il 300 a.C. e veniva indicato con due cunei, la cui funzione era di evidenziare uno spazio vuoto.

Anche in India lo zero indicava la posizione che intercorreva tra due cifre e l’idea del vuoto era espressa dalla parola sanscrita “sunya” che indicava anche il concetto di “assenza”.

L’utilizzo dello Zero come numero in sé, si deve proprio ai matematici indiani, che cominciarono a esprimere l’astrazione di questa cifra, nella forma grafica di un punto o di un cerchio.

Nella Mesoamerica precolombiana lo Zero era usato anche dai Maya che lo rappresentavano con la forma di un occhio o di una conchiglia.

La storia “moderna” dello Zero si deve agli arabi, che durante il Medioevo diffusero in Europa il sistema di numerazione posizionale decimale, dopo averlo appreso dagli indiani.

La parola italiana Zero deriva dal veneziano zevero, che a sua volta origina dal termine latino zephirum, che nella mitologia greca simboleggia il vento di ponente. Fu il matematico Fibonacci a usare per primo la parola Zephirum, in quanto la trasse per assonanza dal termine arabo sifr, che significa “vuoto”.

Dal termine sifr deriva anche la parola cifra.

La Ruota della Fortuna come immagine dell'Uroboro

Come abbiamo già osservato nel capitolo precedente, esiste una corrispondenza simbolica tra la dea Fortuna e l’Archetipo della Grande Madre. Secondo Erich Neumann, allievo di Jung, per comprendere la figura arcaica della Grande Madre, occorre riferirsi all’archetipo dell’Uroboro, l’immagine mitica del serpente circolare che si morde la coda.

Questo archetipo rappresenta il “Grande Cerchio”, e nel suo simbolismo contempla elementi positivi e negativi, maschili e femminili. Anche la Grande Madre è rappresentata da elementi opposti: la madre amorevole che nutre e protegge, in contrasto con quella che soffoca e divora, opponendosi all’individuazione.

Sempre secondo Neumann, la Grande Madre Uroborica, esprime la sua natura in un duplice principio; uno legato alla conservazione della vita, l’altro alla trasformazione. Nel principio di conservazione, si esprimono le qualità e le leggi della natura che sostengono l’esistenza, mentre nel principio di trasformazione, il grande cerchio dell’Uroboro si trasforma in una grande ruota che gira su se stessa, originando, ma anche annientando, tutto ciò che sta intorno.

Nella Ruota della Fortuna, ritroviamo lo stesso dualismo della Grande Madre, che nel suo aspetto benevolo, concede i doni della provvidenza, mentre in quello legato alla trasformazione, porta cambiamenti inaspettati e cattiva sorte. Il carattere femminile della dea Fortuna, si esprime proprio in un continuo mutamento, in una ciclica alternanza di fasi, che dall’uomo vengono percepite nel dualismo fortuna-sfortuna.

Questo paradosso si risolve soltanto in una resa incondizionata alla natura, intesa come un mondo perfetto e armonico, nel quale la Fortuna, rappresenta la Legge del Dharma, che sostiene le azioni in armonia con il nostro massimo bene, che è anche il bene del Tutto.

Ecco come la Ruota della Fortuna rappresenta il grande cerchio dell’esistenza, in seno al quale coesistono tutte le forze della natura. Come l’Uroboro, questo cerchio rappresenta anche il “campo del punto zero”, che gli scienziati stanno iniziando a contemplare, per riscoprire un tempo circolare, senza inizio e senza fine.

Nel suo aspetto trasformativo, la Ruota della dea Fortuna, assume la valenza simbolica del serpente, che rappresenta l’evoluzione della coscienza umana, nella direzione della Grande Sintesi tra individuo e natura, psiche e materia.

La “sfortuna” del mondo contemporaneo, deriva proprio dalla separazione tra uomo e natura, che perdendo la sua Anima, si oppone alla trasformazione, in nome del progresso della civiltà.

La nascita del tempo: l'uno diventa due

Nei miti della creazione, il nulla e il caos, rappresentano la matrice potenziale di ogni forma di esistenza.

Nella Teogonia di Esiodo ogni cosa ha origine dal Caos, un immenso indifferenziato nulla, mentre nella mitologia induista, l’universo sorge dalla consapevolezza di Vishnu, profondamente addormentato sul serpente Ananda che raffigura il potere latente dell’infinito.

Dal vuoto, rappresentato dall’Uroboro, (il paradiso degli archetipi), il tempo si manifesta come una rottura dell’equilibrio primigenio. Il grande Zero indifferenziato, si scinde in coppie di opposti (i modelli archetipici di ogni cosa) e nel suo lato dinamico diventa il motore della creazione.

Nella Bibbia la perdita di coscienza dell’unità è descritta nella metafora del paradiso terrestre. L’Eden rappresenta l'Illud tempus, nel quale Adamo ed Èva, raffigurano la coppia di opposti originaria, ancora in equilibrio, nel continuum spazio-tempo. Soggiacendo alle lusinghe dell’antico serpente (la conoscenza del bene e del male), Èva mangia la mela e rompe il patto con Dio, mettendo in moto la grande ruota del divenire.

Anche per i Greci il tempo era un grande cerchio, identificato con Oceano, il fiume divino che come un anello, circondava la terra, includendo anche l’universo nella forma di un serpente che si mangia la coda.

Un’altra divinità associata al tempo fu Aion, un dio che contemplava in sé entrambi gli aspetti di tempo lineare (età dell’uomo) e tempo circolare (eternità).

Secondo Marie Louise Von Franz, allieva di Jung, Aion, indicava il fluido vitale presente negli esseri viventi, responsabile della durata della loro vita e del destino a essi assegnato. Questo fluido era una “sostanza generatrice” e dopo la morte assumeva la forma di un serpente. Aion era identificato anche con il dio sole.

Kàiros, il tempo per afferrare la fortuna

Con la rottura della simmetria cosmica, rappresentata dal numero Zero, avviene la frammentazione della coscienza e il continuum spazio tempo, si scinde in due nature, una ciclica e l’altra lineare.

Nell’antica Persia il dio del tempo Aion, veniva identificato con il dio Zur-van, che si manifestava in due aspetti: Zurvan akarana, il Tempo Infinito, e Zurvan dareghochvadhata, il Tempo del Lungo Dominio. Quest’ultimo, in contrapposizione al suo aspetto eterno, provocava la decadenza e la fine di ogni cosa.

Anche i greci concepivano due aspetti del tempo: uno era Krònos, il tempo lineare, l’altro era kàiros, la forma qualitativa del tempo.

Krònos è Saturno, il “datore di misura”, il tempo irreversibile degli orologi, che come successione di istanti, ore, giorni, procede in modo lineare, consumando tutto ciò che ha avuto un inizio.

Kàiros in greco significa “momento opportuno” e si riferisce all’aspetto qualitativo del tempo, all’istante in cui si apre una nuova porta e si deve avere il coraggio di attraversarla. La massima “gnoti kairon”, (riconosci il momento giusto) era incisa su una delle colonne di Delfi e sottolineava l’importanza di riconoscere e afferrare la fortuna.

Nell’iconografìa Kàiros viene raffigurato come un fanciullo alato, con un lungo ciuffo di capelli su un lato, ma calvo dietro. Le ali rappresentano la velocità con la quale si presenta l’occasione e il ciuffo, la fugacità del momento favorevole, che una volta perduto, non può essere preso all’ultimo istante per i capelli.

Il Kàiros, come “tempo debito”, indica anche che la fortuna sta nella nostra capacità di adattarci alle diverse circostanze, vivendo il presente con consapevolezza. Il Kàiros è il portavoce dello spirito, l’ispirazione suggerita dal Dai-mon, il genio interiore che sorveglia la nostra evoluzione, affinché realizziamo il nostro progetto di vita. Il Kàiros è il momento magico, lo spirito delle premonizioni, che nella coincidenza fortuita, ci indica l’awenuto allineamento del nostro sé personale con la volontà del cielo. L’attimo presente del Kàiros, è come una momentanea illuminazione, una soglia che si affaccia sull’eterno, per darci l’opportunità di stare bene subito, nel qui e ora.

A volte Kàiros è percepito come un periodo di crisi, nel quale possiamo attingere all’ispirazione per aprire una nuova porta sulla nostra evoluzione. La crisi si manifesta nel duplice aspetto di “pericolo” e “opportunità”.

La vita come una ruota ripete se stessa, riproducendo gli stessi schemi e gli stessi modelli, nei quali questo “eterno ritorno”, diventa una trappola per l’anima, paralizzata dalle scorie della sua storia personale. La crisi allora diventa un’occasione per riconoscere le opportunità e interrompere un vecchio schema, adottando uno stile di vita più consono alla nostra vera natura.

Guido Rossetti

Data di Pubblicazione: 2 ottobre 2017

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