Scopri la tua essenza invisibile, collegata con l’Universo, e impara a renderla manifesta leggendo l'anteprima del libro di Eija Tarkiainen.
Arrenditi, ma solo alla (tua) natura
«Sei stato selvaggio, un tempo. Non lasciarti addomesticare».
Isadora Duncan
Dormi o sei desta?
Ilmatar, la dea dell’aria e dell’acqua, emersa dal caos primordiale abita sola sotto la volta del cielo. Annoiata di una vita ogni giorno uguale discende fino a giungere alla terra ancora sterile e si lascia fecondare dal vento e dal mare. Per mezzo suo nascono il cielo, la terra e gli astri. Con le sue dita agili plasma le coste, i monti e le valli. Con l’acqua che gronda dai suoi lunghi capelli crea i laghi, i fiumi e le cascate argentee. Dal suo grembo nasce anche il saggio eterno, Vàinàmòinen, l’eroe principale della mitologia finnica.
Solo nel mondo, di fronte a una terra dei primordi ancora deserta, Vainàmòinen ordina a Sampsa Pellervoinen, spirito guardino della fecondità, di piantare i primi semi. Presto la terra si ricopre di un’infinita varietà di piante ma un seme resta infertile: la ghianda non germoglia.
Tursas, un mostro emerso dal mare, appicca il fuoco al fieno e ai ramoscelli raccolti dalle ondine, spiriti femminili dell’acqua. Nella cenere rimasta finalmente germoglia anche la ghianda, fino a diventare una magnifica quercia; l’albero della sapienza. La quercia continua ad allungarsi e ad allargarsi, fino a coprire tutto il cielo. Le nuvole s’impigliano tra i suoi rami altezzosi che soffocano ogni altra vita sulla terra. Gli uomini abbassano lo sguardo e si smarriscono senza la guida degli astri celesti. Perdono la passione e il gusto anche per la vita semplice e vagano sulla terra con gli sguardi spenti e i corpi addormentati.
L’albero deve essere abbattuto ma nessuno sembra riuscirci. Un giorno dal mare emerge un minuscolo uomo nero, alto di tre pollici. Davanti alla incredulità di tutti, egli cresce fino a sfiorare le nuvole. Con tre colpi abbatte la quercia, restituendo all’uomo la connessione con il cielo e la terra si rianima nuovamente. Le luci del cielo si liberano e il mondo è pronto per essere abitato. Le forze magiche della quercia si svincolano per la gioia dell’umanità.
La ghianda, per germogliare ha bisogno sia delle mani pure delle ondine che del fuoco appiccato dal mostro, nascosto nella profondità del mare dell’inconsapevolezza. Quanto spesso accade che le intenzioni più pure siano utilizzate dalle forze oscure per affermare il proprio dominio? La quercia cresce a dismisura e crea disequilibrio; raggiunge una dimensione tale da interrompere il collegamento tra la terra e il cielo. All’umanità viene a mancare sia la luce solare della coscienza che la dimensione lunare dell’invisibile mistero, lasciandole il mero sapere, pratico e razionale. Anche i pensieri - le nuvole - si avviluppano in un’immobilità infertile sulle cime dell’enorme albero.
Ormai la quercia è divenuta l’unico punto di riferimento; una divinità dalle verità inconfutabili; il paradigma mainstream. La materia, tangibile e visibile, e le sue leggi soffocano la percezione di ogni messaggio di altri mondi sottili. L’albero della sapienza si erige su tutto il resto da impedire il respiro della vita in tutta la sua pienezza: blocca quell’eros che permette un’armonica alternanza delle stagioni, il dialogo tra il giorno e la notte, tra il conscio e l’inconscio, tra il visibile e invisibile. Nulla di nuovo germoglia; la vita è sterilità e torpore, sonno e mera sopravvivenza.
Il salvatore, apparentemente piccolo quanto una scintilla d’amore, emerge dallo stesso mare dell’inconsapevolezza che ha dato origini al mostro marino. Deriso da tutti, si rivela, però, di una potenza inaspettata. Abbatte il gigante, riporta l’equilibrio nel mondo, restituendo l’alternanza tra le albe e le notti di Luna, tra la luce e l’oscurità.
Da creature della natura a consumatori consumati
Quale costrutto oscura oggi la vista dell’umanità? Quale campanile suona talmente forte da impedirci di sentire la “musica delle sfere”, come la chiamava Giordano Bruno? Quale faro dalla luce abbagliante ci acceca da non scorgere lumi che raccontano di altri modi di concepire il senso della vita?
Nell’essere umano è esplosa la guerra. Da tanto tempo. L’uomo, allontanandosi da se stesso e dall’unità, si è smarrito e si è perduto. Ha dimenticato il richiamo della Vita, l’etica naturale e la connessione con la propria interiorità, generando aridità, avidità. La mancanza di sentimento, arte e pensiero elevato hanno lasciato spazio alla rabbia, all’aggressività e alla crudeltà. Questa guerra l’uomo la compie soprattutto contro se stesso; ha dimenticato di trovare in se stesso la luce, nell’altro il fratello e nella terra la madre che unisce tutti.
Ci consumiamo ma non viviamo abbastanza. Consumiamo le risorse della terra, illusi che sia questo a riportarci alla sazietà. Non ci può essere benessere senza armonia, e non ci può essere l’armonia senza il contatto che ci lega alla Madre Terra e al cosmo.
La vita sulla terra diventa sterile quando l’albero, della sapienza soltanto, azzittisce le voci che sussurrano in lingue che la ragione non comprende: l’intuizione, l’empatia, la fantasia, il sentimento, la dimensione misteriosa della vita.
L’umanità ha vissuto tempi in cui sapevamo che i corpi - di ogni essere vivente - erano connessi dagli stessi fili invisibili, nutriti e guidati dal respiro dell’Universo. Sapevamo che ogni nostro gesto verso l’esterno era un boomerang che tornava a noi ulteriormente rafforzato. La connessione resta, ma non la percepiamo più. Ci crediamo isolati e soli. Ciò che resta fuori dai confini dei nostri domini, è visto come risorsa da sfruttare o una minaccia da cui difendersi, che si tratti di idee, cose materiali o relazioni umane. Oggi ci inchiniamo ai monumenti eretti in devozione a tutto ciò che è tangibile e misurabile.
Dimentichiamo il mistero della nostra natura, la sua saggezza silente e l’energia creativa che avrebbe il potere di informare e di illuminare i nostri pensieri e le nostre azioni. La separazione dall’invisibile ci emargina dalla pienezza della vita. Ci chiudiamo dentro una gabbia, in cui crediamo come unica realtà. Trasformiamo ciò che viviamo in soli numeri, norme, materia, soldi e oggetti confondendo la vita con la sua apparenza tangibile, esteriore. Il valore di una persona si riduce nel suo peso, fìsico e sociale, misura del seno o il conto in banca. La nostra salute si determina sulla carta con esami del sangue e il nostro cuore vale solo per i suoi battiti. La natura è una risorsa solo se produce profìtto. E lo stesso destino è riservato all’arte e alla cultura; se non produce profitto non ha valore.
Quando ci separiamo da noi stessi ci separiamo anche dalla Vita, dalla sua solennità. Nel tentativo di capire e analizzare la manifestazione materiale della Vita, catalogandola in categorie “vale” o “non vale”, perdiamo l’essenziale. Ci impediamo di percepire semplicemente ciò che è. Nel regno dell’anima abita la nostra sovrumanità e noi ci affidiamo solo alla ragione e al calcolo.
Sei al sicuro con te stesso?
Che cosa pensi di te? Saresti tuo amico se potessi scegliere? Sai che cosa desideri? Osi agire con schiettezza e coraggio per creare una vita a tua somiglianza?
La libertà individuale si basa su conoscenza di se stessi: luci e ombre, coraggio e umiltà, delusioni e successi, sogni e paure, bene e male. Possiamo avere fiducia in noi stessi se ci conosciamo intimamente. La fiducia in noi ci fa sentire al sicuro in e con quella persona che siamo.
Se ci siamo estranei, costruiamo l’idea di noi sulla base delle aspettative e delle idee degli altri; ogni sguardo ci trama addosso una storia tutta sua. Se questi sguardi ci rimandano l’immagine di noi svalutante, non ci riteniamo degni; ci deprimiamo e crediamo di non meritare ciò che abbiamo. Se otteniamo popolarità, diventa una droga di cui non possiamo più fare a meno. In entrambi i casi, il nostro valore resta appeso alle opinioni e alla visione di vita degli altri. E allora ciò che ci motiva ad agire sarà qualche cosa fuori da noi.
Noi abbiamo bisogno di vivere la nostra vita. Non abbiamo bisogno di dimostrare nulla, meritare nulla, superare nulla, temere nulla.
La natura creatrice
Il finlandese, pur essendo europea dal punto di vista geografico, appartiene al ceppo linguistico ugro-fìnnico e pochissimo ha in comune con altre lingue europee, neanche con i vicini scandinavi e russi. Per secoli il finnico ha mantenuto il lessico e la sintassi particolare che custodisce ancora oggi una grande saggezza delle origini. Tolkien amava profondamente la lingua finlandese, ritenendo che offre sapori e profumi sconosciuti da altri idiomi. Infatti, ha forgiato la lingua degli elfi del Signore degli Anelli sulla base del finlandese.
Uno di queste fragranze rare è diffusa dalla parola “luonto”, che significa “natura".
La parola natura si riferiva originariamente allo spirito protettore di ogni essere vivente. Ciascuno e ogni cosa è animato quindi dalla propria natura, che gli conferisce forza e assicura la felicità, quando viene ubbidita. La nostra natura individuale è collegata con il Tutto come la cellula con l’organismo di cui fa parte. Ha una sua funzione unica e precisa ma non è mai isolata e nell’esplicare la sua funzione trova il proprio appagamento e, allo stesso tempo, è utile all’organismo stesso. Maggiore è la potenza con cui questa natura riesce a manifestarsi all’esterno, più ci percepiamo felici, la vita assume un senso più profondo e maggiore è l’armonia con gli altri.
Interessante è che la parola carattere, (“luonne”) e il verbo creare, (“luoda”), si originano entrambi dalla stessa radice della natura. Che cosa ci suggerisce?
Ci ricorda che la nostra individuale realizzazione nella vita - la possibilità di creare, rendere materia il nostro originario compito nel mondo - richiede il nostro appellarci alla natura interiore, cioè daìmon o il sé, se preferisci. Il nostro carattere, la nostra personalità, dovrebbe quindi corrispondere alla nostra natura, in modo che ogni nostra parola e azione concorra a manifestare la nostra natura, sempre mutevole e in trasformazione.
In altre parole, rappresenta la nostra essenza invisibile, collegata con l’Universo, e richiede di essere resa manifesta attraverso la coerenza tra il pensiero, la parola e l’azione concreta.
Al contempo, noi esplichiamo il nostro compito come cellule dell’organismo Universo, in armonia con il Tutto, oltre a percepire la vita con un senso e come fonte di felicità. Se ci lasciamo irretire dalle motivazioni esterne, trasmutando inesorabilmente il nostro passo di danza in una marcia di guerra, il nostro corpo lo segnala; con il disagio esistenziale, con la malattia e anche attraverso gli inestetismi e il sovrappeso.
Data di Pubblicazione: 13 agosto 2019