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Un linguaggio silenzioso
Ci sono situazioni della vita, anche quotidiane, in cui la pelle sembra esprimere ciò che la bocca tace. La cute possiede un proprio linguaggio non verbale, fatto di riflessi condizionati e incondizionati (lesioni elementari), che a volte può celare significati molto profondi.
L’epidermide è un tessuto di confine, che ci unisce e ci divide dal resto del mondo. Diventiamo consapevoli della sua presenza sia quando desideriamo un contatto fisico che quando ne siamo infastiditi.
Attraverso la cute possiamo percepire e trasmettere informazioni1, poiché essa è collegata al nostro cervello mediante miliardi di connessioni.
Per comunicare, la pelle utilizza un alfabeto antico e una grammatica elementare, fatta di pochissimi sintomi e segni (lesioni elementari) che ritroviamo associati in diverse combinazioni, a configurare quelle che chiamiamo comunemente “malattie dermatologiche”.
Ricordo che durante i miei corsi di dermatologia, non appena iniziavo a descrivere qualche malattia della pelle cerano sempre alcuni allievi tra le prime file che iniziavano istintivamente a grattarsi un braccio, il décolleté o una mano.
Se in alcune circostanze possiamo mentire con le parole, la pelle non può mentire, in quanto organo involontario innervato soprattutto dal sistema nervoso autonomo, sensibile alle nostre emozioni ma non alla nostra volontà.
Per questo motivo è molto importante la sensibilità del dermatologo nel ricercare anche questi preziosi messaggi non verbali.
Quando abbiamo di fronte un paziente, oltre a concentrare l’attenzione sulla singola macchia (una diagnosi di acne o di orticaria in teoria si potrebbe effettuare mentre il paziente si trova ancora sulla porta d’ingresso), lo facciamo accomodare, e in maniera più o meno consapevole iniziamo a ricercare tutta una serie di micro elementi di cinesica (la sequenza dei gesti che utilizza per esprimersi), prossemica (il modo in cui si posiziona rispetto a noi e a eventuali accompagnatori), prosodia (le variazioni di volume, tempo, ritmo e tono della voce), cronemica (semeiotica della tempistica verbale e non verbale), macro espressioni e soprattutto micro espressioni del viso e del corpo.
Il medico ben allenato all’osservazione e allo studio di questi segnali può arrivare a individuare, nel paziente che gli sta di fronte, più di diecimila sfumature diverse, come riportato dagli studi di antropologia e di etologia comparata.
Attualmente vi sono software di intelligenza artificiale in grado di riconoscere, mediante microcamera, le più comuni micro espressioni del volto, e memorizzarle in un database in maniera molto accurata.
Alcuni di questi software possono essere utilizzati anche su normali smartphone, dotati di doppia fotocamera.
Persino il modo in cui una donna è truccata può a volte diventare un importante elemento per definire, in quel preciso momento della sua vita, come si vede e si sente dentro.
In ambulatorio ho visto persone in grande angoscia per un “brufoletto” quasi impercettibile, e persone con un’acne nodulocistica importante e molto evidente che invece si preoccupavano unicamente delle loro unghie o dei loro capelli, senza attribuire alcuna importanza al grave inestetismo cutaneo del viso.
Aprirsi ai messaggi verbali e soprattutto non verbali
Ciò dipende soprattutto dal fatto che ognuno di noi ha un modo del tutto personale di gestire la propria vita di relazione (rapporto con se stessi e con gli altri). Se vogliamo seguire nel suo mondo chi soffre per un disagio, dobbiamo aprirci all’ascolto dei suoi messaggi verbali e soprattutto non verbali.
Nella moderna semeiotica medica, branca della medicina che da sempre si occupa dello studio dei segni e dei sintomi, stanno finalmente iniziando a trovare spazio lo studio della prossemica, della cinesica, del tono della voce e delle micro espressioni, quasi ignorate fino a qualche decennio fa.
Per la loro importanza, tali argomenti sono trattati con frequenza sempre maggiore negli attuali congressi di dermatologia e venereologia.
Il prurito ad esempio, è un importante segnale che non andrebbe mai ignorato, e prima di essere soppresso andrebbe tradotto e interpretato.
Esempi semplici di riflessi arcaici della pelle sono l’arrossire, che osserviamo principalmente nei momenti di rabbia, imbarazzo o timidezza (vasodilatazione), il pallore e la pelle d’oca, tipici dei momenti di freddo o di paura (vasocostrizione), e l’iperidrosi, tipica dei momenti di caldo o di maggior tensione emotiva.
Si tratta di moduli comportamentali istantanei e automatici, che abbiamo ereditato filogeneticamente dai nostri antenati.
Ricordo ancora quando il mio gattino domestico, nato e cresciuto in appartamento, senza aver mai visto un giardino, puntò in maniera riflessa lo sguardo verso il soffitto della camera in seguito al suono di un semplice richiamo in legno per uccelli, appena acquistato al mercatino.
Questo è soltanto un esempio di domini cognitivi appresi non con l’esperienza diretta ma nel corso della filogenesi.
Ritornando alla pratica clinica, per il dermatologo è molto importante, al momento della visita, poter spostare lo “sguardo” dal dettaglio “pelle” all’insieme “individuo” nella rete di relazioni del suo “ambiente” sociale.
Entrare in risonanza empatica con una persona significa decodificare il contenuto dei suoi messaggi verbali (tono della voce, pause) e non verbali (postura del corpo, frequenza del contatto visivo, micro espressioni del volto) e trasmettergli messaggi verbali e non verbali in maniera spontanea e sincera, fino a sentire sulla nostra pelle i suoi bisogni e il suo vissuto, al di là del semplice sintomo cutaneo, che assume tutta la sua importanza una volta compreso che di fronte a noi abbiamo innanzitutto una persona sofferente e non un singolo organo difettoso o misteriosamente impazzito.
Anche quando ci sembra irrazionale, in Natura nulla è casuale e c’è sempre una finalità.
Tutto avviene sempre in maniera assolutamente ordinata e spesso, quando non riusciamo a dare una spiegazione a ciò che stiamo osservando, è perché stiamo analizzando soltanto un sottosistema, cioè una piccola parte della realtà che stiamo esplorando, in modo riduttivo e dogmatico, isolandola dal contesto relazionale in cui siamo immersi in ogni istante della nostra vita.
Se in passato il dermatologo si è occupato sistematicamente di pelle, unghie e capelli, oggi non può più ignorare la connessione tra il microsistema biologico di cui è medico specialista e i centri di comando superiori, che in ogni istante ne coordinano l’attività (sistema nervoso autonomo ortosimpatico e parasimpatico).
Durante la visita il paziente, senza accorgersene, ci sta già parlando di una parte importante del suo vissuto presente o passato, non solo attraverso le sue manifestazioni cutanee ma anche e soprattutto attraverso il suo modo di porsi.
Durante l’anamnesi, il medico può avere già una stima iniziale della qualità del rapporto medico-paziente che si sta instaurando e del livello di fiducia reciproco, poiché anche da questo dipenderà il grado di adesione alla terapia.
Quando il paziente non è d’accordo con le nostre spiegazioni diagnostiche, prognostiche o terapeutiche, non sempre lo esprimerà con le parole, ma lo farà mediante i suoi comportamenti non verbali, in quanto moduli comportamentali universali, arcaici e involontari.
Essi possono fornire, al medico già abituato a ricercare tali segnali, molti più elementi di quelli che possono emergere da tante parole di cortesia (reale o apparente) e dalle solite frasi di circostanza.
Lo studio del linguaggio non verbale permette di perfezionare la comunicazione con il paziente e trasformare la classica “occhiata” frettolosa di cinque minuti in una vera e propria visita utile ed esaustiva, con l’obiettivo di comprendere qualche elemento più profondo, soprattutto in quei pazienti con manifestazioni cutanee particolarmente resistenti alle terapie tradizionali.
La comprensione del linguaggio non verbale non è una facoltà solo di coloro che decidono, dopo la laurea, di approfondire questo tipo di studio, ma è un qualcosa di innato in ognuno di noi.
Ho conosciuto moltissime persone prive di titoli di studio eppur dotate di uno spiccato e invidiabile intuito. Sono le persone con cui entro subito in sintonia. Così come ho incontrato tante persone, anche con titolo di studio elevato, prigioniere dei propri dogmi, bloccate in una posizione di totale chiusura a qualsiasi forma di dialogo costruttivo.
Sono coloro che arrivano in ambulatorio chiedendo, mentre ancora sono sulla porta: «Dottore, ce la faccio ad andare via dallo studio entro cinque minuti? Dovrei scappare subito, il martedì sera ho le prove del coro!». Per questo tipo di paziente è molto più importante ricevere velocemente la prescrizione scritta della crema sintomatica o della compressa miracolosa, anziché provare a comprendere insieme perché quei pomfi ricompaiono puntualmente ogni sera da ormai molti anni, nonostante i tanti farmaci assunti e le numerose visite mediche effettuate presso altrettanti specialisti.
Probabilmente è lo stesso tipo di paziente che continuerà a peregrinare ancora per anni tra medici e medicine di ogni tipo, fino a quando non opererà un cambiamento nel suo modo di rapportarsi con se stesso e con il prossimo.
Al momento della visita medica ci sono persone con le quali entriamo subito in sintonia, e altre con cui non sempre è facile instaurare subito un rapporto empatico.
Le prime hanno un grande dono innato, chiamato sensibilità non verbale, che le rende sicure e affabili anche nella loro vita quotidiana. Tale capacità di decifrare il linguaggio non verbale, e che impropriamente definiamo “intuito” o “sesto senso”, è una capacità innata potenzialmente presente in tutti noi, e non dipende né dal grado di istruzione né tantomeno dal ceto sociale.
Al contrario, le persone con molti pregiudizi e credenze dogmatiche difficili da rimettere in discussione, utilizzano molto meno tale attitudine, affidandosi unicamente alla componente verbale della conversazione, fino a pesare ogni singola parola e talora ad appuntarla su un foglio di carta o sull’inseparabile smartphone. Sono quelle persone abituate a pianificare tutto ciò che fanno nella vita, ma che vengono spiazzate da qualsiasi evento, talora anche banale, che li possa cogliere di sorpresa. Sono quelle stesse persone che dopo un’ora di visita trascorsa a spiegare che i tempi di miglioramento di un’acne nodulocistica del viso possono talora essere molto lunghi, ci chiamano già dopo qualche giorno per chiederci di poter effettuare nuovi esami o di cambiare terapia, poiché i noduli cutanei, pur essendo di poco rientrati con la terapia, non sono ancora completamente scomparsi.
Il rapporto con il paziente
Uno degli errori più frequenti che commettiamo durante la comunicazione è dare per scontato che il nostro interlocutore stia utilizzando i nostri stessi filtri percettivi per vedere, sentire e intendere la vita.
Come vedremo nel Capitolo IV a proposito di alcuni nostri moduli comportamentali (enneatipi), ciascuno di noi ha una sensibilità diversa dagli altri e si rapporta con la vita mediante i propri schemi di attacco e fuga, fatti di esperienze, credenze e paure maturate nell’arco di una vita. Conoscere qualcosa di più della persona che abbiamo di fronte ci permetterà di utilizzare una comunicazione molto più empatica, ai fini di una migliore adesione a quello che sarà il percorso terapeutico (compliance).
Con un po’ di allenamento, riusciremo a diagnosticare sorpresa, paura, collera, disgusto, tristezza e gioia con la stessa semplicità con la quale siamo stati abituati a diagnosticare una qualsiasi manifestazione cutanea. Per osservarla e valutarla, alla maggior parte dei dermatologi, può bastare un contatto visivo di pochi secondi con l’area interessata.
Ma se l’organo pelle può essere osservato aprendo il solo canale visivo (cosiddetto esame obiettivo), il paziente dermatologico va visitato e ascoltato aprendo anche gli altri canali della comunicazione (canale auditivo e cinestesico), e la visita specialistica può a volte richiedere molto più tempo rispetto alla cosiddetta occhiata istantanea.
Nei bambini più introversi, la minore ricchezza di dettagli della comunicazione verbale può essere in parte compensata dal disegno. Nel caso di bambini molto piccoli, anche quello che potrebbe apparire un semplice scarabocchio può fornirci molte indicazioni utili. In questi casi è importante chiedere al bambino chi e che cosa ha rappresentato nel suo disegno, e farci indicare, magari, in che punto del disegno si trovano mamma e papà.
Nei bambini più grandi e negli adulti, alcuni medici e psicologi utilizzano talora le Tavole di Rorschach.
Micro comportamenti e micro espressioni sono moduli arcaici di segnalazione e comunicazione sociale, veri e propri messaggi di allarme, secondo l’etologo inglese Desmond Morris. Sia i bambini piccoli sia gli animali allo stato selvatico hanno conservato questa straordinaria capacità di decifrare tali segnali. Quando in ambulatorio comunichiamo a un genitore che il loro piccolo dovrà fare qualche seduta di crioterapia con azoto liquido a causa di una verruca, il bambino comprenderà all’istante il significato di tali parole, leggendo le micro espressioni di serenità o di paura sul volto dei genitori, sue principali figure di riferimento, fino a quando, crescendo, imparerà ad avere come riferimento anche le proprie esperienze, e quelle di altri suoi simili.
Persino durante un disastro naturale i bambini mantengono la calma se gli adulti mostrano un atteggiamento tranquillo, poiché sono molto abili a cogliere le nostre azioni e reazioni ancor prima che le nostre parole. L’osservazione di tali micro segnali consente al medico di ottenere, al momento della visita, preziose informazioni non verbali, che spesso sfuggono al controllo razionale ma che fanno parte di un linguaggio universale per ciascuna specie.
In base a quale criterio le risposte cutanee sono modulate dalla mente
Tornando al linguaggio silenzioso della pelle, ricordo la risposta che diedi a uno studente quando mi chiese in base a quale criterio le risposte cutanee sono modulate dalla mente. Gli spiegai che la pelle non è affatto influenzata dalla mente, poiché non riceve alcuna fibra nervosa dalla corteccia cerebrale, sede principale del pensiero riflessivo, razionale e intenzionale. Essa dispone di un fine apparato di autoregolazione che si chiama sistema nervoso autonomo, che la rende sensibile alle nostre emozioni, di fronte a perturbazioni inattese, o di una certa importanza soggettiva.
In parole più semplici: avete presente quando di fronte a un’emozione improvvisa (per esempio uno spavento) vi aumenta di scatto la frequenza del battito cardiaco? In queste situazioni di mentale c’è ben poco. Si tratta di un riflesso salvavita di attacco e fuga mediato dal nostro allarme antincendio: il sistema nervoso autonomo.
La pelle è innervata esattamente dallo stesso apparato (sistema nervoso autonomo ortosimpatico e parasimpatico), e di fronte a situazioni di potenziale pericolo, reagisce con un pool di risposte riflesse che in dermatologia chiamiamo lesioni elementari.
Durante uno spavento improvviso aumenta immediatamente la frequenza del battito cardiaco. Si tratta di un riflesso automatico che apporta più sangue ai muscoli per consentirci di sventare la minaccia con la lotta o con la fuga. Ciò avviene in automatico grazie al nostro apparato neurovegetativo che nei momenti di allarme libera speciali molecole chiamate neuromediatori.
I recettori per queste molecole dell’emergenza sono presenti oltre che nel cuore anche negli altri organi, che fronteggeranno l’emergenza con riflessi diversi a seconda dei recettori presenti sulla loro superficie.
Nelle cellule della pelle (cheratinociti, sebociti, melanociti, fibroblasti) vi sono miliardi di recettori specifici per le sostanze liberate dall’apparato neurovegetativo durante una turbolenza ambientale (adrenalina, CRH, ACTH, cortisolo) che fanno parte dei circuiti neurormonali dell’emergenza.
Ci sono svolte di vita (lutto, violenza, trasloco, nuova scuola, pensionamento) in grado di mobilitare in via riflessa fiumi di citochine, potenziali d’azione, neurotrasmettitori e neurormoni, e attivare risposte biologiche su quei tessuti che possiedono i recettori per questi segnali.
Non è l’evento di per sé a metterci in allarme, ma come ciascuno di noi vive quel determinato momento di svolta, a seconda del proprio profilo caratteriale e delle aspettative del momento.
Uno stesso cambiamento può essere vissuto da qualcuno come un’opportunità (via dopaminergica della ricompensa), da altri come qualcosa di ordinario e indifferente, e da altri ancora come una traumatica violazione delle loro aspettative (via adrenergica dell'emergenza).
Nelle prossime pagine vedremo perché, in alcune persone, la sirena dell’allarme può continuare a suonare anche quando il pericolo è ormai passato.
Data di Pubblicazione: 3 settembre 2018