Scopri le origini dell’Ashtanga Yoga e come lavorare sullo spirituale attraverso il fisico leggendo l'anteprima del libro di Kino Mac Gregor.
Le origini dell’Ashtanga Yoga
Le origini storiche dell’Ashtanga Yoga sono in parte leggenda, in parte fatti reali. La tradizione risale ad un antico saggio chiamato Vamana Rishi. Non sappiamo molto di lui a parte il fatto che sia il supposto autore dello Yoga Korunta. Anche questo leggendario testo non è disponibile per lo studio, perché fu completamente distrutto dal tempo e divorato dalle formiche.
La seconda persona nel lignaggio fu Rama Mohan Brahmachari, che visse in una caverna sul Monte Kailash (nell’Himalaya) con sua moglie e tre figli. Nessuno sa cosa accadde ai suoi figli, dove andarono o se divennero maestri yoga. Rama Mohan Brahmachari insegnò al suo allievo Sri T. Krishnamacharya, a partire da una copia dello Yoga Korunta. Parte di questa leggenda narra che, quando per Krishnamacharya venne il momento di lasciare il suo maestro, Rama Mohan Brahmachari gli ordinò di andare e insegnare lo yoga al mondo ma di non dire a nessuno dove avrebbero potuto trovarlo.
Krishnamacharya è conosciuto come la fonte della maggior parte dello yoga che viene oggi comunemente insegnato in Occidente. I suoi allievi comprendono i grandi maestri B.K.S. Iyengar (che fondò lo Iyengar Yoga), Sri Pattabhi Jois (Ashtanga Yoga), A.G.Mohan (Svastha Yoga), T.K.V. Desikachar (Vini Yoga), Indra Devi, e innumerevoli altri. Seguire un lignaggio nello yoga è come individuare l’albero genealogico di una famiglia. Si impara da un insegnante che è l’allievo di un maestro. Questo maestro era a sua volta allievo di un altro maestro. Le origini dello yoga seguono una linea ininterrotta da maestro ad allievo attraverso un viaggio di quasi cinquemila anni della storia indiana. Nonostante alcuni recenti studi abbiano messo in dubbio la verità della ininterrotta pratica di asana, il cuore spirituale dello yoga come ricerca della pace interiore è antico ed eterno quanto lo stesso spirito umano. Conservata senza l’uso di computer, stampanti e dischi rigidi per la memoria, la maggior parte della conoscenza yoga viene acquisita e trasmessa grazie alla memorizzazione.
Ashtanga Yoga nella tradizione di Sri K. Pattabhi Jois è una forma di Hatha Yoga dinamico che richiede di srotolare il nostro materassino per ben sei giorni la settimana. A volte è cosi intenso da risultare intimidatorio. Quando ho iniziato a praticare Ashtanga Yoga, ero proprio come voi. Al termine di ogni pratica, ero tutta indolenzita e non mi sentivo particolarmente brava. Non avevo neanche quella apparente forza superumana o la flessibilità di un elastico che le posture richiedono. Ma ho imparato entrambe con anni di sincera pratica. Molte persone pensano che giacché non riescono a piegare facilmente il loro corpo nelle posizioni contorte della Prima Serie di Ashtanga Yoga, tale metodo non faccia per loro. Ma l’unica cosa necessaria per la pratica di Ashtanga Yoga è di amare la vostra pratica e di stare sul vostro materassino quanto più possibile. Non ha importanza quale livello di asana voi eseguiate, perché il lavoro interiore dello yoga è alimentato dall’autentica ricerca della pace interiore. Se l’ho fatto io, potete farlo anche voi.
Il metodo che insegno in questo libro deriva dal lavoro di una vita intera del mio maestro, che insegnò per più di settantanni prima della sua morte il 18 maggio 2009. Il miracolo della vita di Jois e la sua eredità vanno oltre la sua presenza fisica e sono forse la vera definizione della parola guru. Egli nacque nel luglio 1915 in un piccolo villaggio chiamato Kowshika (India del Sud) nel giorno del Guru Purnima, festa nazionale in India in onore di tutti i guru. La sua vita ha rappresentato la tradizione della sacra relazione maestro-allievo. Jois scoprì lo yoga all’età di dodici anni ed era uno studente impegnato quando incontrò per la prima volta Sri T. Krishnamacharya, l’uomo che sarebbe diventato il suo maestro. Continuò la sua formazione nello yoga e negli studi sanscriti all’Università di Mysore, dove, dopo trentasette anni di docenza, ottenne il titolo di Vidwan (professore emerito di studi sanscriti). Jois morì all’età di 93 anni dopo aver dedicato la sua vita all’insegnamento dell’Ashtanga Yoga, che lui stesso aveva introdotto in Occidente. Anni di esperienza di insegnamento nella piccola città di Mysore nell’India meridionale, e la ferma coscienziosità nel mantenere il metodo Ashtanga Yoga come lo aveva appreso da Krishnamacharya, hanno permesso a migliaia - se non milioni - di persone di trarre beneficio da una pratica regolare. Senza la sua salda perseveranza, lo yoga come oggi lo conosciamo semplicemente non ci sarebbe.
Ashtanga - Pratica spirituale
Ashtanga significa letteralmente «otto membra», definite da Patanjali negli Yoga Sutra come yama (codice morale), niyama (autopurificazione e studio), asana (posture), pranayama (controllo del respiro), pratyahara (controllo dei sensi), dharana (concentrazione), dhyana (meditazione), e samadhi (pace completa). Idealmente gli insegnanti dovrebbero essere ben preparati in tutti gli otto elementi prima di incominciare l’insegnamento così da poter veramente guidare i loro studenti lungo l’intero cammino dello yoga. Ma i diversi livelli del samadhi non sono così immediatamente raggiungibili da ciascuno in un breve periodo di pratica e forse nemmeno nel corso di una sola vita: il metodo descritto da Patanjali era riservato solo ai più elevati guru. Alcuni insegnanti sostengono che tutta la parte fisica dello yoga non è altro che una preparazione per gli stati più profondi dello yoga, di cui si può fare esperienza solo alla presenza di un maestro pienamente illuminato.
Jois insegnava che la pratica regolare purifica l’area intorno al cuore spirituale e rimuove i sei veleni: kama (desiderio), krodha (rabbia), moha (delusione), lobha (avidità), matsarya (invidia), e moda (pigrizia). Questi sei veleni sono chiamati arishadvarga, un termine che troviamo nel terzo capitolo del Mahabharata, testo epico dell’antica India, contenente gli insegnamenti di Adi Shankaracharya. Adi Shankaracharya fu il più grande maestro del nondualismo e della filosofia dell’Advaita Vedanta, e il suo lavoro influenzò grandemente Jois e la sua filosofia di vita, la spiritualità e il suo rapporto con il divino. Il mio maestro credeva fermamente che la pratica quotidiana fosse il metodo principale attraverso il quale i praticanti potessero fruire dei benefici dello yoga. Per rimuovere i sei veleni, è necessario praticare con forte determinazione e modificare strati di schemi comportamentali (samskara) profondamente radicati. La pratica quotidiana di tutti gli otto elementi del cammino dell’Ashtanga Yoga trasforma lentamente la vostra mente in un luogo di pace.
Gli yama sono i principi morali che ci dicono come comportarci eticamente nel mondo. Essi comprendono: ahimsa (nonviolenza), satya (onestà), asteya (non rubare), brah-macharya (sessualità responsabile) e aparigraha (non attaccamento). Gli niyama sono le linee guida etiche che definiscono come dovremmo essere in relazione con noi stessi. Essi includono saucha (pulizia), santosha (appagamento), tapas (calore e purificazione), sva-dhyaya (studio spirituale di se stessi) e ishvarapranidhana (devozione al divino).
Una volta stabilito questo approccio integrato allo sviluppo spirituale, il fuoco interiore purificante (agni) è acceso e letteralmente brucia abitudini non salutari, tossine fisiche e blocchi emozionali. Si dice che agni coincida con il risveglio dell’energia spirituale all’interno del nostro corpo e sia accompagnato da un enorme calore interiore. È anche associato con il fuoco digestivo. Il semplice studiare e mandare a memoria gli Yoga Sutra, i termini sanscriti o la filosofia contemporanea non vi darà la pace. La sola informazione non è conoscenza. Jois enfatizzava sempre la necessità di sperimentare i veri effetti di una pratica quotidiana all’interno del nostro corpo e della nostra vita. Solo in questo modo ci sarà possibile integrare la saggezza dei sacri ed eterni insegnamenti dello yoga nella nostra vita quotidiana, e potremo sperimentare direttamente quella conoscenza di noi stessi che ci dà forza e che è l’essenza dello yoga. Lo yoga trasforma le persone non esigendo il cambiamento, ma ispirandolo dall’interno, e la pratica quotidiana fornisce le fondamenta per tale trasformazione.
Ashtanga - Pratica fisica
Ashtanga Yoga vi chiede di lavorare sullo spirituale attraverso il fisico. Si inizia faticando nella pratica di alcune posizioni mentre si concentra la nostra mente sul corpo, il respiro e lo sguardo. La teoria che condivido con voi in questo libro è frutto della mia esperienza costantemente in evoluzione più che una esposizione ufficiale del metodo Ashtanga Yoga nel corso della sua storia. È uno specchio che spero voi userete per guardare in profondità dentro voi stessi e scoprire la logica e la magia del metodo.
La pratica di Ashtanga Yoga è strutturata in sei serie di posizioni. Il primo gruppo, chiamato Prima Serie, si compone di una routine molto vigorosa. La maggior parte delle persone passerà la vita intera lavorando sugli elementi di questo insieme di 72 posizioni. Conosciuta in sanscrito come yoga chikitsa, questa pratica ripulisce gli organi, i tessuti e le ghiandole da tossine, grasso e altre sostanze nocive. La Prima Serie contiene tutti gli elementi necessari per una buona salute e la purificazione del corpo e include Surya Namaskara (Saluto al Sole), piegamenti in avanti, rotazioni, piegamenti all’indietro, potenti sollevamenti, posizioni sulla testa e molti altri movimenti che alimentano il fuoco interiore. La natura specifica dell’Ashtanga Yoga è la ripetizione delle posture nello stesso ordine fino a che non vengano padroneggiate. Non ci si muove prima di aver fatto qualche progresso nel punto in cui ci si trova. Ripetendo una serie di posizioni più e più volte, ci si sposta da una loro comprensione intellettuale ad una intelligenza cinestetica che connette i movimenti ad uno spazio profondo dentro di noi.
La Prima Serie di Ashtanga Yoga è costruita sequenzialmente in termini di flessibilità e prepara per alcune delle posizioni chiave nella pratica. Le posizioni chiave verificano la comprensione della tecnica e delle asana da parte dello studente. Queste posizioni sono le più impegnative nel gruppo delle posizioni correlate. Iniziando con Surya Namaskara, che ha lo scopo di stabilizzare la mente e insieme di attivare il fuoco interiore, la pratica allunga la muscolatura delle cosce, stira e rafforza la schiena, accresce lo sviluppo del nucleo addominale, e purifica l’intero corpo. Con Surya Namaskara lo studente inizia a sviluppare la devozione (bhavana). La posizione chiave delle posture in piedi è utthita hasta padangusthasana (Posizione estesa della mano all’alluce) in cui si deve stare in equilibrio su una gamba, sollevare l’altra gamba, piegarsi in avanti, contrarre la parte bassa dell’addome e ruotare esternamente l’anca, tutto in un’unica postura.
Una volta che saprete eseguire facilmente questa postura, sarà possibile passare in modo sicuro alla serie successiva di posizioni, che include le quattro versioni di Marichyasana (Posizione del saggio Marichy). Queste posizioni richiedono una serie di legature in cui si afferrano le mani dietro la schiena o intorno alla gamba in una posizione di torsione mantenendo la posizione del mezzo loto o una estensione molto forte della gamba. L’attento posizionamento in sequenza di tutte le asana che precedono questa sezione della pratica è mirato allo sviluppo della forza e della flessibilità interna necessarie per eseguire con facilità le quattro posture. Marichyasana D rappresenta il vertice di questa parte della serie, essendo la più difficile combinazione di torsione e mezzo loto.
Il gran crescendo della Prima Serie di Ashtanga Yoga è supta kurmasana (Posizione della tartaruga che dorme), in cui la forza interna, la rotazione esterna e il piegamento in avanti richiedono un grande impegno mentre contemporaneamente si cerca di portare entrambe le gambe dietro la testa. Dopo questo culmine, le posizioni aiutano la transizione dalla flessione all’estensione della colonna così da poter eseguire agevolmente urdhva dhanurasana (Posizione dell’arco verso l’alto) o altri piegamenti all’indietro. Il piegamento all’indietro è in se stesso una posizione chiave che mette alla prova la forza e la flessibilità della colonna. La logica della Prima Serie porta ad eseguire certe posizioni che verificano l’allineamento, la forza interiore e la flessibilità per essere certi che la pratica delle asana sia solida e stabile prima di procedere oltre.
La Seconda, o Intermedia, Serie di Ashtanga Yoga viene chiamata la purificazione dei nervi (nadi shodhana): in questo set di piegamenti all’indietro ancora più profondi, di apertura delle anche, e di posizioni di forza, i praticanti lavorano sulla purificazione del sistema nervoso. La Pratica Avanzata è un bilanciamento tra forza e grazia ed è suddivisa in Serie Avanzata A/Terza Serie, Avanzata B/Quarta Serie, Avanzata C/Quinta Serie e Avanzata D/Sesta Serie. Io attualmente pratico le Serie Avanzata A e B (Terza e Quarta Serie). Jois usava dire che lo yoga è 99% pratica e 1% teoria. La più alta forma di conoscenza per il praticante di yoga è quella che è stata sperimentata direttamente ed è quindi radicata nella fede diretta. Lo spazio in cui ha luogo questa esperienza diretta è una pratica fisica di asana che, quando eseguita con regolarità, produce un intenso sudore purificatore. Per rendersi conto dei benefici dello yoga è necessario praticare quanto più possibile. Non si tratta di qualcosa che possa essere spiegato con la filosofia: è qualcosa che deve essere sperimentato direttamente dall’interno. Con l’attento coordinamento di posizione, respiro e concentrazione, il fuoco interno della purificazione si accende e il viaggio di trasformazione ha inizio. Se proverete l’Ashtanga Yoga, presto sperimenterete il diluvio del sudore e il calore della purificazione.
Il metodo dell’Ashtanga Yoga richiede di praticare sei giorni la settimana. Tradizionalmente questa pratica doveva essere fatta seguendo lo «stile di Mysore», in cui si segue il proprio respiro e il proprio movimento più che la guida di un insegnante che conduce un gruppo di persone a eseguire gli stessi movimenti. Tale stile prende il nome di una città dell’India del Sud dove Jois visse e insegnò, ed è il modo migliore e più sicuro di praticare. Memorizzare le posizioni permette di focalizzarsi internamente, vero scopo dello yoga. Quando non si sa cosa si eseguirà come posizione successiva, la nostra attenzione sarà sempre rivolta all’insegnante invece che all’interno di noi stessi. Una volta che avete memorizzato la serie di posizioni che il vostro insegnante ritiene sia quella adatta a voi, l’intera pratica si sposterà ad un livello più profondo, subconscio. Praticare secondo lo stile di Mysore vi permetterà di entrare in modo più intenso nella pratica in alcuni giorni e di praticare con più morbidezza in altri, eseguendo sempre le stesse posizioni. Questa variazione naturale previene le lesioni, vi educa ad ascoltare il vostro corpo, e accresce la consapevolezza interna del corpo. Inoltre, lo stile di Mysore è l’unico modo di apprendere le posizioni più avanzate delle sei Serie dell’Ashtanga Yoga, dato che poche persone sono in grado di eseguire ed insegnare queste posizioni decisamente impegnative.
Seguire una pratica sei giorni la settimana è spesso difficile per i nuovi allievi, perciò io di solito consiglio di iniziare con tre giorni. Una volta stabilito questo livello di regolarità, si potrà aggiungere un giorno ogni sei mesi fino a raggiungere il totale di sei giorni la settimana. Perché vi sia la transizione da un approccio allo yoga di tipo ginnico ad uno di tipo devozionale, è necessario praticare costantemente e con regolarità. Un rituale spirituale quotidiano in cui ci si prende il tempo di connettersi internamente ad un profondo senso di sé, richiede dedizione. Il requisito dei sei giorni di pratica serve a sviluppare determinazione mentale, spirituale e devozionale necessaria a progredire lungo il cammino dello yoga. Se accettate lo yoga come l’impegno di una vita verso la pace interiore, sarà ovvio e necessario per voi praticare più spesso che potete. Se praticate soltanto quando vi è comodo o quando ne avete voglia, allora lo yoga sarà più una sorta di hobby che prendete o lasciate quando volete. Ma una sincera pratica spirituale non può mai essere semplicemente un’attività di svago se vogliamo che porti al risveglio. L’autentica pratica spirituale è un impegno ininterrotto a fare tutto ciò che è necessario a vedere la più profonda verità. Non è qualcosa che potete scegliere di guardare il lunedi e il mercoledì e far finta che non esista per il resto della settimana.
A livello puramente fisico, una pratica di sei giorni la settimana è sia salutare che impegnativa. Eseguendo le posizioni più spesso, otterrete dei risultati più velocemente, sviluppando forza, resistenza e flessibilità ad un ritmo più veloce rispetto a una pratica di una o due volte la settimana. In effetti, chi sceglie di seguire una lezione di yoga la settimana si prepara a una lotta settimanale in cui dovrà ogni volta confrontarsi con la medesima debolezza o altre problematiche, senza avere la possibilità di sviluppare un miglioramento grazie ad una pratica costante.
Non è un segreto che praticando sei giorni la settimana sarete indolenziti fisicamente. Proprio questo indolenzimento è legato all’idea che l’accettazione di un poco di dolore è utile lungo il cammino verso la purificazione - il concetto di tapas descritto più sopra in questo capitolo. L’idea è che certi dolori, come il dolore del lasciare una vecchia abitudine, o del purificare il corpo, o del lasciare andare l’attaccamento, devono essere accettati lungo la via della purificazione. Tapas può anche significare controllare i propri sensi, il cibo e il corpo, il che conduce infine al sorgere di una mente sattvica. Praticare sei giorni la settimana accelera il ritmo a cui sperimenterete i dolori che purificano la debolezza e la rigidità, come anche il grado in cui sperimenterete il risultato distillato di una maggiore forza e flessibilità nel corpo e nella mente.
In molti dei miei viaggi a Mysore, gli studenti condividevano le loro elaborate storie di disturbi muscolari con Jois, e la maggior parte delle volte lui diceva «Il dolore fa bene». L’unico modo affinché il fuoco di purificazione interiore possa funzionare è imparare a starci insieme, vederlo chiaramente e non sfuggirlo. La naturale risposta umana al dolore è la paura, la fuga, la negazione, eppure lo yoga usa il dolore come un metodo per risvegliarsi. Il dolore fisico nello yoga è spesso sperimentato come bruciore o tremore e può essere accettato, mentre il dolore delle articolazioni è un maestro differente, e quando lo sperimentate dovreste ritirarvi. Imparando ad accettare certi dolori all’interno dello spazio sicuro fornito dallo yoga, si impara a creare una pausa tra lo stimolo doloroso e la risposta nel vostro corpo e nella vostra mente che vorrebbe farvi fuggire. In questa potente pausa, sarete in grado di scegliere il corso delle vostre azioni invece di venire spinti da schemi di reazione che derivano dal passato. Le esperienze passate lasciano dei segni profondi nella nostra mente, chiamati samskara. Queste impressioni colorano le nostre esperienze future e si accumulano fino a formare profondi schemi di abitudine nella mente. Una volta che i samskara si aggregano a formare più ampi modelli di attrazione o avversione, sono conosciuti con il nome di vasana. Samskara e vasana ci fanno entrare in cicli ripetitivi in cui continuiamo a ripetere azioni passate, schemi passati ed eventi passati. A un livello più ampio, i nostri samskara e vasana determinano il corso delle nostre azioni future e il nostro karma. Una forma di yoga è effettivamente chiamata Karma Yoga e consiste nell’atto di essere consapevoli dei pensieri e delle azioni nello sforzo di sciogliere i samskara. Samskara e vasana possono essere bruciati tramite le tecniche di meditazione. Se davvero volete usare la vostra pratica yoga per eliminare il vostro magazzino dormiente di karma negativo e di schemi comportamentali, allora dovrete praticare il più spesso possibile.
È importante a questo punto definire cosa è la pratica. Per bruciare i samskara, la pratica mentale che accompagna le asana è di primaria importanza. La pratica viene definita dagli Yoga Sutra di Patanjali come la coltivazione di uno stato di samadhi o pace unito allo stato mentale di non attaccamento. Le asana sono presentate come uno dei modi per praticare attivamente questo stato dell’essere più esoterico. Il risultato della pratica delle asana viene definito nel Sutra 2.48 come libertà dalle polarità come piacere e dolore, attaccamento e avversione. Due degli ostacoli lungo il cammino spirituale sono l’attaccamento e l’avversione che risultano dall’esperienza di piacere e dolore. La mente umana non educata corre verso il piacere e sfugge dal dolore, e questo costante sforzo alimenta il ciclo della sofferenza. La pratica regolare delle asana insegna ai praticanti yoga come mantenere uno stato mentale equilibrato e infine come liberarsi da questi modelli che causano dipendenza.
Questa promessa di pace interiore non è a poco prezzo. Non si può elemosinare, chiedere in prestito, o imbrogliare nel cammino lungo il viaggio interiore. Non si crea un nuovo modo di essere semplicemente premendo un pulsante. E come essere ai piedi di una montagna colma di nuovi desideri, e si guarda avanti, a una strada lunga e a volte rigorosa verso la cima. Con anni di lavoro, pazienza e diligenza, tutto è possibile. Eppure di fronte a tali difficoltà, la maggior parte delle persone abbandona o prende la via più facile, la strada conosciuta che porta a risultati ordinari. Anche se non vi è nulla di sbagliato in questa filosofia, vi è un modo molto più pieno di vivere la nostra vita al suo massimo potenziale. Lo yoga ci guida ad attraversare i nostri dubbi verso una vita compiuta.
All’interno dei confini di un materassino umido di sudore, i praticanti yoga eseguono ripetutamente movimenti impegnativi unendo il loro respiro, la posizione e lo sguardo. Krishnamacharya descriveva lo yoga come il processo mediante il quale l’impossibile diventa possibile e il possibile, nel corso di un lungo tempo, diventa facile. Il punto in cui molti praticanti cadono fuori strada è quando cercano di passare direttamente dall’impossibile al facile. Se voi sperimentate un movimento come impossibile per voi e volete che diventi immediatamente facile, certamente andrete incontro al fallimento, perché il cambiamento non avviene velocemente. Al contrario, sarà necessario iniziare con l’impossibile e permettere alla sua difficoltà di esservi maestra. Rimanete in quello spazio oscuro dove l’apprendimento ha luogo, e ben presto l’impossibile incomincerà a mostrarvi come un giorno potrà essere possibile. Quasi nessuno riesce a far bene una cosa al primo tentativo. All’interno della forma esterna di ogni posizione lieve, libera e facile sono racchiusi anni di difficoltà, fallimenti e persino dolore. Quando si inizia la ricerca interiore dello yoga, è proprio il processo di partire dalla base di una montagna apparentemente inarrivabile (e scalarla con perseveranza, lentezza e regolarità contro ostacoli insormontabili) che contiene il potere di trasformazione. Attraverso la conquista dell’inconquistabile e l’affrontare i luoghi spaventosi nascosti dentro di noi, necessariamente otteniamo accesso ad una esperienza di noi stessi che è al di là della lotta, l’esperienza di uno spazio dentro di noi che è eternamente calmo, potente e pieno di amore. Questo è tutto ciò di cui lo yoga tratta. Le asana leggere, libere e facili sono solo un mezzo di seduzione. Lo yoga ci insegna che solo trascendendo il mondo illusorio delle limitazioni possiamo realmente superare questi falsi confini nella nostra pratica e nella nostra vita. Ogni posizione, ogni movimento e ogni respiro lungo il cammino ridefiniscono l’essenza stessa del nostro essere.
In un certo senso, lo yoga è il più semplice cammino che porta al self-empowerment. L’aspetto «trabocchetto» di questo cammino è che il sé che viene valorizzato non è l’ego della psicologia occidentale. E il Sé superiore dentro di noi, l’anima la cui esperienza diretta conduce alla trascendenza del sé e alla morte del piccolo ego. Alcuni interpretano lo yoga come una pratica rivolta al rafforzamento dell’ego, mentre invece è effettivamente volta al bruciare il piccolo ego per lasciare libera di splendere la brillante luce che abbiamo dentro di noi.
Data di Pubblicazione: 30 novembre 2018