Che cos'è il Grande Reset? Perché l'Occidente sta vivendo questo declino autodistruttivo? Scoprilo leggendo l'anteprima del nuovo libro di Ilaria Bifarini.
Grande Reset: La Grande Narrazione
Consultando anche solo distrattamente una libreria ben fornita di saggi contemporanei, si nota che il tema del crepuscolo della civiltà occidentale ricorre in una moltitudine di titoli. A partire dalla pubblicazione della celebre opera di Oswald Splenger "Il Tramonto dell'Occidente" (1918), la cultura contemporanea pullula di saggi che preconizzano il declino di un paradigma ontologico il cui destino sembra essere segnato da tempo.
Esaurito il suo potenziale di sviluppo e sprovvisto di una carica rigenerativa, il mondo occidentale non può che incamminarsi su una china autodistruttiva, culminante nel gesto estremo del suicidio, un fenomeno "più frequente dell'omicidio nella fase terminale di una civiltà", come sostiene il teorico del conservatorismo americano, James Burnham, nella sua opera "Il suicidio dell'Occidente".
La qualità profetica di questo titolo è stata apprezzata da molti intellettuali, dal filosofo conservatore Roger Scruton al giornalista contemporaneo Federico Rampini.
Sono molteplici gli spunti che si possono trarre da questa poliedrica letteratura, numerose le ricostruzioni eziologiche plausibili, infinite le critiche da rivolgere al pensiero occidentale moderno.
Dalla negazione della propria identità storica e culturale, nonché dei suoi riferimenti al sacro, passando per il carattere faustiano e luciferino della sua intima struttura, fino all'adozione del liberalismo come teoria dominante del suicidio (insieme al suo delirante corredo nichilista e dogmatico, attivo ai nostri giorni) le imputazioni mosse all'Occidente sono tutte fondate e constatabili.
Per ricostruire la parabola della nostra civiltà, che oggi sembra davvero sprofondata in un buio senza luce, lo stesso di un blackout energetico, è necessario indagare su più piani, ricostruendo per sommi capi la storia di questa ideologia che è arrivata a fagocitare ogni aspetto della nostra società, fino ad annientare lo spirito vitale del pensiero critico.
Il desiderio di autodistruzione dell'Occidente
"Una grande civiltà non viene conquistata dall'esterno finché non ha distrutto sé stessa dall'interno".
Con questa frase — ripresa da uno studio del filosofo statunitense Will Durant — si apre il film "Apocalypto" di Mel Gibson. Un'affermazione forte del processo di autodistruzione nel quale sembra versare la civiltà occidentale, innervata ormai da un odio di sé che la sta fiaccando nel midollo.
Difficile dire quando abbia iniziato a diffondersi questa tendenza, giacché lo spettro del decadimento è insito in tutti i processi evolutivi: gli strali verso la degenerazione dei costumi, così come le predizioni di catastrofi, sono una costante nella storia del pensiero.
Rimane innegabile che il punto al quale siamo giunti oggi è prossimo al tracollo del modello occidentale, per come lo abbiamo vissuto finora. Uno degli aspetti che risaltano immediatamente è proprio la progressiva emersione di una temperie culturale tipica di una fase prebellica, con il suo lessico affilato e un apparato di immagini corrispondenti.
Il coinvolgimento della Nato nel conflitto russo-ucraino e l'estensione di quest'ultimo su scala globale hanno fatto emergere un importante divario socioculturale e una significativa divergenza di interessi tra due sfere del mondo: da una parte il vecchio Occidente a guida atlantista, senescente e gaffeur, personificato non a caso dal presidente Joe Biden; dall'altra un gruppo eterogeneo e crescente, i cosiddetti Brics, Paesi emergenti che ancora non hanno raggiunto l'apice della parabola dello sviluppo capitalistico, oltrepassata la quale ha solitamente inizio la fase discendente.
Una politica palesemente autolesionista da parte dell'Occidente ha comminato vari pacchetti di sanzioni economiche alla Russia, fino a provocarne la reazione, con la conseguente messa in discussione delle preziose forniture di gas che legano a doppio filo il Vecchio Continente all’Orso asiatico.
Già da settembre 2021, come vedremo meglio più avanti, l'Europa era percorsa dallo spettro di un blackout energetico:le speculazioni sul prezzo dell'energia — allo stesso modo di quelle sui beni agroalimentari — erano iniziate.
Su questo terreno incandescente non occorreva altro che accendere una miccia per innescare un'esplosione: l'evento temuto si è concretizzato con l'avvio di una nefasta escalation della tensione fra Russia e Paesi occidentali, con l'inevitabile ritorsione sull'Europa da parte del suo maggiore fornitore di gas, senza il quale rischiamo di rimanere letteralmente al buio.
Mossa da un istinto suicida, l'Europa, capitanata dagli Usa, che nulla risentono anzi beneficiano di una simile congiuntura, si è imbottigliata in un vicolo cieco con lo stesso trasporto di una Guerra Santa.
Senza alcuna soluzione di continuità, siamo stati traghettati da un'emergenza a un’altra, dall’ossessione per il contagio provocato da un virus parainfluenzale al terrore di una guerra globale e persino nucleare. Un'élite di burocrati e banchieri, sempre più sconnessa dalla realtà, ha proclamato con toni pontificali che stava per iniziare un nuovo ciclo storico-sociale, fatto di razionamenti energetici e sacrifici da parte della popolazione, ancora scossa dalle dure restrizioni e discriminazioni della gestione pandemica.
Amplificata dalla solita cassa di risonanza mediatica e dal lavoro capillare di personaggi pubblici e influencer di vario profilo, si è diffusa presso l'opinione pubblica l’idea che fare a meno del benessere, di cui abbiamo goduto finora, sia allo stesso tempo una forma obbligata di rispetto per l'ambiente e un compromesso tattico per sconfiggere il nemico russo, incarnazione manichea del male assoluto e minaccia per gli universali trionfi della democrazia, di cui l'Occidente si autoproclama detentore.
Sebbene la maggior parte della popolazione abbia manifestato un certo disaccordo nei confronti delle politiche sanzionatorie, e anche considerando le palesi ripercussioni economiche che stanno devastando aziende e famiglie ritrovatesi ad affrontare un caro-energia senza precedenti, i governi e le istituzioni proseguono dritti sulla strada della loro crociata, alla quale vengono immolate senza esitazioni le vite private dei cittadini.
Possiamo intrecciare una catena di eventi: dall’austerità nell’ambito dei conti pubblici, propagandata attraverso lo spauracchio dello spread, si è passati al distanziamento delle relazioni sociali all'insegna del paradigma bio-securitario, fino ad arrivare alla crisi energetica, incredibilmente giustificata per favorire la pace.
La tecnica è la stessa: spaventare, colpevolizzare e punire i cittadini, imponendo loro tristi e umilianti sacrifici.
Si tratta di una guerra non solo geopolitica, ma culturale e antropologica. I nemici dell'Occidente conoscono bene le capacità di auto-sabotarsi di quest'ultimo: sono anni che ne dà prova in modo tangibile e continuativo. Per esempio con la guerra quotidiana entro i suoi confini, contro il passato, le tradizioni, le radici, le identità e, paradossalmente, contro il medesimo concetto di diversità che dichiara di difendere.
Le statue decapitate di Cristoforo Colombo e quelle oltraggiate di Churchill, Lincoln, Roosevelt, Washington, Jefferson, Montanelli sono solo alcune delle vittime della nuova furia iconoclasta che si sta abbattendo sulla storia dell'Occidente, nel tentativo grottesco di cancellarne la matrice culturale.
Nato negli Stati Uniti e chiamato impropriamente cultura della cancellazione (cancel culture), questo movimento confuso di idee esprime la delirante volontà di smantellare l'intero patrimonio culturale alla base della nostra civiltà, svuotando lo scrigno di un passato giudicato vergognoso nel quale l’uomo bianco occidentale si sarebbe macchiato di orribili nefandezze.
Qualche esempio: il romanzo di Ernest Hemingway, "Il vecchio e il mare", vincitore del Premio Pulitzer, è stato censurato nelle università britanniche per evitare di turbare gli studenti; "Frankenstein", capolavoro di Mary Shelley, è stato segnalato perché contiene omicidi violenti e crudeltà; persino i classici shakespeariani, da "Amleto" a "Romeo e Giulietta", sono stati disapprovati perché caratterizzati da accoltellamenti, veleno e suicidio.
Il dipartimento di Letteratura dell'Università di Chester ha invece censurato "Harry Potter", il bestseller della scrittrice J. K. Rowling, finita nel mirino del politicamente corretto. Libri come "Tarzan", "Robinson Crusoe", "Jane Eyre" di Charlotte Bronte e "Oliver Twist" di Charles Dickens sono stati posti sotto attenzione.
Il memoriale di Virginia Woolf in "Tavistock Square" è ora sotto indagine, come le statue di Karl Marx e del Mahatma Gandhi, accusate di diffondere opinioni razziste, al pari di quelle di Sigmund Freud e Tommaso Moro.
Il nuovo nemico collettivo è stato identificato con un acronimo: weird (in italiano: strano, strambo) le cui iniziali stanno per western, educated, industrialized, rich, democratic, ossia occidentale, istruito, industrializzato, ricco, democratico.
Come vedremo meglio nel corso di questo scritto, se il pianeta si trova sulla soglia di una catastrofe la colpa è tutta da imputare a lui, l’unico vero colpevole, l’uomo weird Per cambiare la rotta intrapresa finora, le forze della cancel culture dovranno operare un reset totale del nostro modello di vita e di pensiero, che attraverso il rinnegamento del passato punti a riscrivere dalle radici il nostro inconscio collettivo.
L'ideologia woke
Per muoverci all’interno del vocabolario saturo di anglismi della neolingua narrativamente corretta, all'uomo weird, epitome di ogni male contemporaneo, dovrebbe opporsi l'uomo woke, il risvegliato, colui che si è destato dai sopori del passato sollevandosi al di sopra dei soprusi e delle ingiustizie della storia.
Come cerca di chiarire lo studioso — nonché ex-docente universitario purtroppo vittima delle ipocrisie del politicamente corretto, per le quali ha dovuto rinunciare alla cattedra - Michael Rectenwald:
"Secondo il credo della giustizia sociale, essere “svegliati” [woke] è il risveglio politico che deriva dall’emergere della coscienza e della coscienziosità riguardo all’ingiustizia sociale e politica. La veglia [wokeness] è l'iscrizione indelebile della consapevolezza dell’ingiustizia sociale nella mente cosciente, che suscita il pungiglione della coscienza, che costringe i nuovi risvegliati a cambiare le proprie convinzioni e Comportamenti".
Nel 2017, l’Oxford English Dictionary ha riconosciuto a questo termine il connotato di consapevolezza sociale di cui Si è parlato, assegnandogli la seguente definizione quantomeno appuntabile: "Attenzione alla discriminazione razziale o sociale e all’ingiustizia".
Dalla maggiore consapevolezza dell’ingiustizia sociale e politica deriverebbe una determinazione a sradicarla. Ecco la wokeness. Partorita da decenni di retorica del politicamente corretto, rivelatosi il contrario di quanto predicava e quindi il suo rovescio mostruoso, la wokeness ha assunto i connotati di un totalitarismo conformista basato sull’intrinseca e inappellabile superiorità morale e sociologica delle minoranze, siano esse etniche o sessuali.
Come racconta Federico Rampini — autore che gode di una specie di immunità contro le accuse di razzismo conferitagli dalla salda appartenenza all’intellighenzia di sinistra, oltre a essere profondo conoscitore della cultura neoprogressista a stelle e strisce — nelle scuole americane i bambini subiscono un precoce indottrinamento.
Una dodicenne italo-americana impara presto che, se ha la pelle bianca, allora per lei esiste una cosa che si chiama colpa razziale collettiva e che dovrà, presto o tardi, assumersi la responsabilità etica di quello che fecero (o non fecero) i suoi antenati o gli avi di coloro che hanno il suo stesso colore. Siamo alla follia.
Il giornalista spiega che insieme ad altri intellettuali negli ultimi anni ha avviato una critica interna alla sinistra e ai paradossi della sua deriva ideologica:
"La narrazione che ricostruisce la storia degli Stati Uniti come la lotta di un ceppo etnico intrinsecamente malvagio — i bianchi — contro tutti gli altri, idealizzati ed esaltati, ha conseguenze politiche ad ampio raggio. L'atteggiamento verso gli immigrati ne è una diretta conseguenza.
Nella relazione che spopola tra le élites progressiste americane — e spesso fa scuola anche in Europa - bisogna accogliere gli stranieri a braccia aperte per almeno tre ragioni. La prima è umanitaria, è il dovere etico di riceverli per solidarietà perché siamo noi i veri colpevoli delle sofferenze dei poveri.
La seconda motivazione è utilitaristica: gli immigrati fanno bene alla nostra economia, ci rendono tutti più ricchi. È stata smentita nei fatti (...). La terza motivazione è quella che si collega direttamente al suicidio dell'Occidente: è la convinzione profonda (anche se non Sempre dichiarata apertamente) che loro siano “meglio di noi”, che vengano da una sorta di Età dell’Innocenza".
Data di Pubblicazione: 16 dicembre 2022