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C'era una volta un virus a Wuhan

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Il Covid-19 è stato davvero un evento inatteso? Scopri segreti e riflessioni sull'origine della pandemia leggendo l'anteprima del nuovo libro di Mariano Bizzarri.

C'era una volta un virus a Wuhan

Cronistoria di una pandemia annunciata

La pandemia da Covid-19 - sostenuta dalla diffusione del virus a RNA SARS-CoV-2 - ha colto i governi impreparati.

Si è parlato di “epidemia inaspettata”, “emergenza assoluta”, dai contorni vaghi e confusi.

Questa vera e propria leggenda metropolitana va da subito sfatata se si vuole collocare la diffusione del Covid-19 nella sua giusta prospettiva.

L'assenza di consapevolezza circa la probabile evenienza di pericolose epidemie dimostrata da molti governi - incluso quello italiano - non va confusa con la mancanza di previsioni e dati che, nel corso degli ultimi vent’anni, sono stati puntualmente elaborati dalla comunità scientifica e prefigurati a livello di cultura di massa da un numero considerevole di romanzi e film ambientati in un futuro distopico.

In realtà, «such a global pandemic might not be as unlikely as it seems - some would even go so far as to say that it is a certainty, with the only uncertainties being what pathogen will cause it, when it will happen and how well the world will cope [...] For too long, preparedness strategies for public-health emergencies have been neglected, and communities remain ill-equipped to face a sudden epidemic, let alone a global pandemic.

Perhaps the looming spectre of a potentially devastating H5N1 pandemic will kill off this false sense of security, and concentrate the minds and the budgets of both governments and research communities towards preventing another superbug scourge».

 

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Un evento inatteso?

Proprio in coincidenza con il centenario dell'influenza Spagnola (1918-1920), ricordata in questi anni con la pubblicazione di libri e rapporti, va lamentata la contestuale sottovalutazione del periodo rappresentato dal risveglio periodico di epidemie su base simil-influenzale, peraltro già anticipate dalla triste esperienza della SARS nel 2003, anche questa partita da un focolaio sviluppatosi inizialmente in Cina.

La rivista Lancet ha giustamente stigmatizzato tale incompetenza da parte delle autorità politiche parlando apertamente di «trained incapacity».

Nel settembre del 2019, il prestigioso Johns Hopkins Center for Health Security diffondeva un lungo documento (“Preparedness for a High-Impact Respiratory Pathogen Pandemic”) in cui veniva sottolineata l'imminenza di una prossima pandemia influenzale, resa sempre più probabile in ragione dei fenomeni correlati alla globalizzazione e alla manipolazione degli animali (per motivi alimentari o di ricerca scientifica), con conseguente rischio di trasmissione di zoonosi all'uomo.

Un “assaggio” di questi pericoli lo abbiamo avuto con l'epidemia della Encefalopatia Spongiforme Bovina (BSE, nota anche come “‘malattia della mucca pazza’’), nel 2001, e successivamente con le epidemie di SARS, MERS, e Aviaria dal 2003 a oggi.

L’attuale epidemia non è propriamente un evento “inatteso” a cui le autorità si sarebbero trovate a far fronte “in modo inaspettato”.

Questa è una fake news, dato che scienziati e tecnici dell’amministrazione statale sapevano benissimo che ciò non solo poteva avvenire, ma in un certo senso ritenevano questa evenienza come imminente.

«Non è una questione di se, ma di quando [la Pandemia, N.d.R.] arriverà. Il Global Influenza Strategy è il programma appena varato per affrontare il rischio. Con due obiettivi: investire nella ricerca e migliorare i sistemi di sorveglianza e di intervento».

 

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Un ventennio di "incidenti"

Prima del 2019, a partire dai primi anni 2000, sono stati identificati sei distinti ceppi di coronavirus (CoVs) capaci di infettare gli esseri umani:

  • i ceppi HCoV-229E, HCoV-OC43, HCoV-NL63 e HKU1, associati a forme di sindrome influenzale delle vie aeree superiori;
  • i ceppi della SARS-CoV e della MERS-CoV, associati a patologie polmonari e a sindromi di insufficienza respiratoria acuta (ARDS, spesso esitanti in polmoniti di tipo interstiziale), che hanno dato luogo - rispettivamente nel 2003 e nel 2012 - a due epidemie gravate da significativa mortalità, pur avendo interessato un numero modesto di persone.

L'epidemia di SARS - il cui serbatoio naturale è sostituito dai pipistrelli - si ritiene che abbia avuto inizio nel novembre 2002 nella regione di Guangdong (Cina), dove si è verificato il primo caso, nella provincia di Foshan. 

La Cina sembra aver adottato alcune misure parziali, senza tuttavia curarsi di darne tempestiva comunicazione all’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization, WHO), se non dopo la denuncia del dr. Urbani.

L’opacità nella puntuale trasmissione di informazioni attendibili e il ritardo accumulato hanno determinato conseguenze negative sulla gestione dell’epidemia (che assumerà caratteri di massa nel gennaio 2003) e ha alimentato sospetti e rimostranze da parte della comunità internazionale.

 

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La situazione cinese

La Cina si è trovata nella necessità di doversi scusare ufficialmente a causa dell'inadeguata gestione di tale emergenza. Anche la comunità scientifica internazionale ha rilevato con ritardo la progressione dell’epidemia.

Ѐ solo a fine novembre 2002 che la Global Public Health Intelligence Network (GPHIN) del Canada - una rete per la sorveglianza epidemiologica integrata nell'ambito del sistema di allarme e risposta alle epidemie (GOARN) del WHO - segnala l'esistenza di focolai di influenza “anomala” in Cina, individuati per lo più attraverso il monitoraggio eseguito sulla rete internet cinese.

Nonostante le reiterate richieste, la Cina non ha mai risposto, fino a quando il WHO - per sua autonoma iniziativa - non ha assegnato un nome all’epidemia, attivando nel contempo una risposta coordinata per contenerla.

L’allarme sollevato dalla SARS va letto nel quadro più generale della preoccupazione per la diffusione delle malattie infettive che è venuta emergendo agli inizi del 2000 — a ridosso delle conclamate epidemie di colera in America Latina, di peste polmonare in India e dell'esplosione della febbre emorragica (Ebola) nella Repubblica Democratica del Congo - preoccupazione che avrebbe spinto il WHO a definire procedure rigorose per il monitoraggio costante e in tempo reale di nuove possibili epidemie/pandemie.

 

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La SARS e il Coronavirus

Nei primi mesi del 2003, la SARS aveva causato oltre 500 decessi, con circa 2.000 casi infetti al di fuori della Cina. Ѐ tuttavia solo tra marzo e aprile, dopo l'allarme lanciato da Urbani, la coraggiosa denuncia del medico cinese Jiang Yanyong e la morte di un importante professore americano avvenuta a Hong Kong, che la Cina modifica drasticamente il proprio atteggiamento, fornendo informazioni e consentendo al WHO di svolgere un'accurata inchiesta.

I risultati di quegli studi hanno messo in luce l'inadeguatezza del sistema sanitario cinese e la mancata trasparenza nelle comunicazioni scientifiche e amministrative fornite dal colosso asiatico. In questa contingenza un ruolo decisivo è stato quello del clinico italiano - il dr. Carlo Urbani - tra i primi a riconoscere il pericolo e a informarne il WHO, prima di soccombere, egli stesso, a causa dell'infezione contratta.

Prima della comparsa della SARS, i coronavirus erano stati riconosciuti come responsabili di un buon numero di influenze lievi, mai associate a forme letali o a polmoniti atipiche (ARDS, Acute Respiratory Disease Syndrome). 

Ѐ inquietante rilevare che la SARS non sembra essere correlata a nessun coronavirus fino ad allora conosciuto, al punto tale da spingere gli scienziati a ritenere che fosse emersa dal nulla: leggiamo, infatti, titoli come: «ls SARS from Mars? UK scientists say maybe. Could SARS have come from Mars? Or elsewhere in the vast reach of outer space? Unlikely, say earthbound microbiologists. But some scientists from UK aren't so sure".  

 

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Due evidenze fondamentali dell'epidemia SARS

Solo a distanza di tempo sarebbe poi stato accertato che l'ospite intermedio della SARS era costituito dagli zibetti della palma, spesso esposti nei wet markets del Guangdong, e che l'infezione poteva trasmettersi tramite contagio interumano

La SARS, esplosa tra il novembre del 2022 e il luglio 2003, con una breve ripresa tra 2004 e 2005, coinvolse 29 paesi, soprattutto Cina, Hong Kong, Taiwan, Singapore, Vietnam e Canada.

Nonostante il drammatico tasso di letalità (10,88%), è stata fin troppo velocemente rimossa dalla consapevolezza dei governanti; complice, forse, la perimetrazione geo-temporale e il numero relativamente basso di casi (8096) e di decessi (774).

L'epidemia SARS ha fatto emergere due fondamentali evidenze:

  • le implicazioni di ordine sanitario di patologie a elevate diffusibilità (in particolare delle epidemie) non possono più essere comprese e gestite nell'ambito di una singola nazione; la globalizzazione del commercio e delle culture ha spianato la strada alla globalizzazione delle patologie infettive, così come alla diffusione di quelle su base degenerativa in relazione alla condivisione acritica di stili di vita e abitudini alimentari (incongrue).
  • la condivisione trasparente e tempestiva delle informazioni mediche e biologiche è un presupposto irrinunciabile non solo per il controllo della patologia, ma altresì per rafforzare la coesione e il clima di reciproca fiducia che in un mondo globalizzato dovrebbero informare le relazioni tra nazioni.

L'epidemia di SARS del 2003 non sarà la prima - e neanche l'ultima - delle emergenze sanitarie che nascono in Cina e finiscono con il diffondersi nel resto del mondo. 

Ed è perlomeno inquietante che, ogni volta, l'epicentro dell'evento si collochi nelle regioni del Guangdong e/o dello Hubei, la cui capitale è Wuhan, sede di uno dei più importanti laboratori per lo studio dei virus patogeni di tutta la Cina.

Data di Pubblicazione: 12 aprile 2022

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