ALIMENTAZIONE

Le caratteristiche dei grassi in alimentazione

Le caratteristiche dei grassi in alimentazione

Scopri perché e come i grassi influenzino la salute distaccandoti dalla connotazione negativa che di solito viene loro affibiata.

La confusione sul grasso

Per decenni i grassi saturi sono stati demonizzati e incolpati degli alti livelli di colesterolo e dell’occlusione delle arterie, mentre le organizzazioni mediche e alimentari ammantavano gli oli vegetali di un’aura salutista. Questo perché i grassi saturi alzano i livelli di colesterolo mentre gli oli vegetali, per la maggior parte composti da grassi poiinsaturi, li abbassano. Eppure, di recente è emerso che ci sbagliavamo: non solo è corretto mangiare grassi saturi, ma ci fa anche bene. Bisogna notare che alcune delle organizzazioni di professionisti della nutrizione e degli organismi statali in ambito alimentare che hanno condiviso queste novità sono gli stessi che inizialmente ci dicevano di stare alla larga dai grassi saturi. E come se ogni settimana gli “esperti” ci dessero informazioni diverse, quindi a che cosa dobbiamo credere?

Le linee guida dell’EFSA, l’Authority europea per la sicurezza alimentare, sebbene riconoscano la potenzialità degli acidi grassi omega-3 di ridurre il rischio di cardiopatie, continuano a sconsigliare l’assunzione dei grassi saturi, e comunque a raccomandare di mantenerne l’assunzione totale giornaliera tra il 20 e il 35 per cento dell’energia totale. Contemporaneamente vengono pubblicati articoli scientifici e ricerche che condannano i grassi in tutte le forme, altri che salvano quelli vegetali poiinsaturi, altri ancora che alternativamente demonizzano o elogiano gli omega-3 e gli omega-6 associandoli addirittura al tumore.

  • Viene quindi naturale chiedersi: a cosa dobbiamo credere? E ancora: gli omega-3 nell’olio di pesce o di krill sono nocivi? I grassi saturi fanno male? E perché poi tutti questi dubbi e controversie sulla validità di un alimento?
  • Prima d’iniziare a trovare delle risposte, dobbiamo fare una rapida digressione per spiegare cosa siano esattamente i grassi, come agiscono, quali cibi li contengono e di che tipo.

Informazioni di base sui grassi

Nutrizionisti e dietisti utilizzano termini come “grassi saturi” e “grassi poiinsaturi” dando per scontato che tutti sappiano di cosa si tratta. Se tu non ne sei tanto sicuro, tranquillo, non sei il solo. La maggior parte della gente, compresi molti giornalisti, non conoscono bene queste classificazioni, e, per il bene della salute pubblica, è grave che questa loro conoscenza lacunosa non gl’impedisca di scrivere articoli con tanto di consigli sull’alimentazione. Purtroppo nemmeno molti medici sono ferrati sui grassi alimentari e il poco tempo che hanno a disposizione non permette loro di aggiornarsi sugli studi e sulle ricerche scientifiche più recenti. Di conseguenza, troppo spesso il pubblico viene liquidato con citazioni lapidarie che ripetono pedissequamente i dogmi nutrizionali più comuni, anche se scorretti.

Il che non sarebbe poi così male se la conseguenza di questi cattivi consigli alimentari fosse solo un girovita leggermente appesantito. (No, non è la tua immaginazione, purtroppo i jeans non si sono misteriosamente ristretti in lavatrice.) Ma la verità è che avere qualche chilo di troppo potrebbe essere una delle cose meno dannose che succedono al tuo corpo se segui il consiglio di trarre la maggior parte dei grassi dagli oli vegetali e di semi. Se paragonato all’aumento del rischio di cardiopatie, demenza, cancro, insulino-resistenza, malattie autoimmuni e morte prematura, essere leggermente sovrappeso è una cosa da nulla.

Per capirci qualcosa delle raccomandazioni nutrizionali riguardo ai grassi, cominciamo col dire cosa sono. Dal punto di vista biochimico, i grassi presenti nel cibo hanno la medesima struttura di quelli immagazzinati sui fianchi, nell’addome e sui glutei. Malgrado possa non piacerti l’aspetto che ti conferisce il modo in cui il grasso in eccesso viene immagazzinato nel tuo corpo, il grasso - nel cibo e nel corpo - è assolutamente fondamentale per una buona salute.

La complessità e la struttura dei grassi

Mentre c'inoltriamo alia scoperta del perché e di come i grassi influenzino la salute, vale la pena di dare uno sguardo attento a come questa diversa classe di biomolecole è organizzata e classificata. La sola, e in effetti l'unica, cosa che tutti i grassi hanno in comune è la loro non solubilità in acqua. È proprio ciò che sperimenti quando ti ritrovi a manipolare oli vegetali, burro o lardo. La ragione di questa avversione all'acqua deriva da certi elementi strutturali che tutti i grassi condividono. Essi sono in larga parte costituiti da lunghe catene carboniose, formate cioè da atomi di carbonio accoppiati ad atomi d'idrogeno in uno schema a zig zag.

La microarchitettura che viene a formarsi è fondamentale perché conferisce flessibilità e linearità alle molecole. Quando si trovano insieme, queste molecole "socializzano" molto bene perché hanno l'abilità di allungarsi e ruotare per allinearsi alle loro vicine. Tuttavia, sebbene simili proprietà siano condivise da tutti, i grassi rappresentano assolutamente un gruppo molto diversificato e dotato di versatilità nell'applicazione biologica. Ai nostri fini ci limiteremo ad affrontare la branca dominante dei glicerolipidi.

Già il nome di per sé rivela un comune denominatore: hanno tutti una molecola di glicerolo. Il glicerolo è composto da una catena molto corta formata da tre atomi di carbonio, ma, invece di essere legati a singoli atomi d'idrogeno, sono attaccati a ciò che viene definito gruppo idrossilico. Un altro elemento che i glicerolipidi hanno in comune è una struttura formata appunto da catene di carbonio e idrogeno, accoppiate a una delle loro estremità con un elemento ancora più complesso, il gruppo carbossilico, che trasforma il tutto in un acido grasso.

Ora, su questa base la natura si espande e si diversifica coinvolgendo un'ampia serie di variazioni nella struttura degli acidi grassi e inserendo un altro elemento strutturale: il gruppo fosfato, ingombrante e amante dell'acqua. Attraverso questa affascinante alchimia, la natura fornisce due famiglie di grassi molto diverse ma strettamente collegate: i trigliceridi e i fosfolipidi. Probabilmente hai già familiarità con i trigliceridi perché rappresentano il tipo di grasso presente nel cibo che può accumularsi nel sangue e nelle cellule lipidiche.

I fosfolipidi, d'altro canto, non si trovano imbottigliati al supermercato. In essi, gli acidi grassi idrorepellenti sono accompagnati da una parte sostanziosa che invece ama l'acqua. Perciò la loro struttura complessiva rivela due personalità: c'è una testa a cui piace l'acqua e due code idrofobiche (vedila come un rospo a due code). Questa sua proprietà fa magie quando molecole simili vengono disciolte in un ambiente acquatico.

Essi formano spontaneamente sottili membrane o strati dove le teste delle molecole si allineano fianco a fianco verso l'acqua, mentre le code restano unite nella parte interna, strette a sandwich tra le teste allineate. Questa struttura è alla base della vita, dal momento che i bordi e i compartimenti delle cellule sono composti da membrane fosfolipidiche a doppio strato. Quindi, la famiglia dei glicerolipidi contiene due sottogruppi che condividono un certo numero di tratti comuni, ma hanno scopi completamente diversi in natura. I trigliceridi forniscono ricche riserve energetiche mentre i fosfolipidi compongono la struttura di base di tutte le membrane cellulari. Siamo fatti di fosfolipidi e ci nutriamo di trigliceridi.

Prima di tornare a un approccio più pratico ai grassi, dobbiamo esplorare un altro aspetto della struttura degli acidi grassi. Nella forma più semplice sono composti da catene carboniose legate ad atomi d'idrogeno in uno schema a zig zag, cui abbiamo accennato prima. Ma alterando i legami tra gli atomi di carbonio, si ottengono strutture molto più elaborate. Il flessibile schema a zig zag determinato dal legame semplice tra atomi di carbonio adiacenti può irrigidirsi se una o più connessioni tra carbonio e carbonio utilizza due legami.

Così, creando catene più lunghe e inserendo uno o più doppi legami rigidi, compaiono le strutture di acidi grassi complessi. In natura essi svolgono funzioni strutturali e regolatrici importanti quando si trovano incorporati nelle membrane cellulari.

Ed è proprio qui che entra in gioco la parola omega. Come saprai, alpha e omega sono la prima e l'ultima lettera dell'alfabeto greco. Per dare il nome alle diverse strutture di acidi grassi, i chimici adottano uno schema numerato in base a dove si posiziona il doppio legame. Per convenzione si parte dall'acido carbossilico: il numero omega ci dice semplicemente in quale posizione all'altro capo della molecola (la posizione omega) troveremo il primo doppio legame. Quindi gli acidi grassi omega-3, gli omega-6 e gli omega-9 hanno un doppio legame rispettivamente in posizione 3, 6 e 9 a partire dall'estremità omega.

Attenzione: il numero omega non indica nulla circa la funzione biologica dell'acido grasso, che sia salutare o meno. I numeri omega sono usati per identificare le strutture chimiche e il compito di spiegare come interagiscano con la nostra fisiologia spetta alla ricerca clinica di ognuna delle strutture nominate.

Mentre tutti gli organismi viventi possono produrre grassi semplici, solo alcuni tipi di organismo sono in grado di produrre alcuni tra gli acidi grassi più complessi. Comunque, a meno che tu non stia morendo di fame, sarai sempre in grado di creare tutto l'acido palmitico necessario al tuo corpo, ma, affinché esso abbia livelli ottimali di acidi grassi omega-3 a catena lunga, chiamati EPA e DHA, devi ricavarli dal cibo.

Le combinazioni dei tre diversi tipi di acidi grassi: saturi, monoinsaturi e polinsaturi.

Cerca di distaccarti dalla connotazione negativa che potresti affibbiare automaticamente al concetto di grasso. Il grasso viene demonizzato da così tanto tempo che potresti persino fisicamente ritrarti al solo pensiero, e nessuno avrebbe il diritto di biasimarti, con gli scaffali dei supermercati carichi di prodotti senza o a basso contenuto di grassi e con le raccomandazioni di medici e nutrizionisti che ripetono da anni di evitare uova e grassi animali perché è come servirsi “un infarto nel piatto”. Ciò che fin troppo spesso viene tralasciato nei dibattiti sull’alimentazione è che i grassi e gli oli, sia animali sia vegetali, sono combinazioni dei tre diversi tipi di acidi grassi: saturi, monoinsaturi e poiinsaturi.

Non esistono grassi o oli completamente saturi o insaturi. Per esempio, potrebbe sorprenderti sapere che il grasso di maiale - compreso quello della pancetta e il lardo, che rabbrividisci al solo pensiero di mangiare - sono più ricchi di grassi monoinsaturi che di grassi saturi. Inoltre, il tipo predominante di acido grasso monoinsaturo nel grasso di maiale è l’acido oleico, lo stesso che viene pubblicizzato come benefico per la salute nell’olio d’oliva.

E i grassi maggiormente saturi nella nostra alimentazione non derivano affatto dagli animali, bensì dalle piante, per esempio l’olio di cocco, che è saturo al 90 per cento. Anche l’olio d’oliva, apparentemente l’unico a mettere d’accordo stili alimentari diversi come la dieta Paleo, vegana, vegetariana e a basso contenuto di carboidrati, è saturo al 14 per cento. Saturo, monoinsaturo, poiinsaturo: cosa significano questi termini? È importante chiarire fin da subito alcuni concetti base per poter comprendere il seguito del libro. E bisogna essere precisi, perché non c’è scritto in nessun dizionario che grasso saturo significhi “occlusivo delle arterie”, né che gli oli vegetali garantiscano un biglietto di sola andata per una vita lunga, sana e felice.

Le parole saturo, monoinsaturo e poiinsaturo si riferiscono alla struttura degli acidi grassi. Come abbiamo visto i grassi sono formati da lunghe catene di atomi di carbonio, alcuni di questi atomi di carbonio hanno alcuni spazi liberi a disposizione, per creare legami con atomi d’idrogeno. Quando tutti questi spazi in più vengono riempiti, il grasso viene definito saturo, ovvero saturato con atomi d’idrogeno, e non perché satura i tuoi vasi sanguigni, nel caso te lo sia mai chiesto.

Se invece due atomi di carbonio si uniscono l’uno all’altro in un doppio legame, tolgono spazio all’idrogeno. Un grasso simile viene chiamato insaturo, perché non contiene l’intera quantità d’idrogeno che avrebbe se non ci fosse un doppio legame di carbonio. A seconda del numero di doppi legami presenti nella molecola, si parla di grasso monoinsaturo o poiinsaturo.

Gli oli di cui ci nutriamo sono una combinazione di acidi grassi saturi, monoinsaturi e poiinsaturi, perché tipi diversi di grassi viaggiano sempre insieme. Nessun grasso o olio è mai compietamente saturo o insaturo. La Tabella 1 ti offre una panoramica di alcuni diversi grassi e oli e del loro contenuto di acidi grassi saturi, monoinsaturi e poiinsaturi.

Tabella 1

Ora che conosci l’esatto significato delle parole, cosa significa quando un grasso o olio è saturo o insaturo? E prima ancora di arrivarci, qual è la differenza tra un grasso e un olio? I grassi sono solidi a temperatura ambiente (come il burro e il lardo), mentre gli oli sono liquidi (come l’olio di canola o di soia). La solidità di un grasso o olio dipende dal numero di doppi legami che presenta. Quanto più un grasso è saturo, tanto più sarà solido con l’abbassarsi delle temperature, motivo per cui il sego di manzo e il burro diventano completamente solidi se tenuti in frigorifero, ma riesci a prelevare facilmente del grasso di pollo e d’oca con un cucchiaio anche se conservato a basse temperature. I grassi altamente insaturi non si solidificano neppure quando sono freddi, mentre gli oli che sono prevalentemente monoinsaturi si solidificano parzialmente, infatti l’olio d’oliva congela un pochino se tenuto in frigorifero, mentre l’olio di pesce o di krill, altamente insaturi, rimangono completamente liquidi.

Ancora più importante della consistenza è la stabilità dei diversi tipi di grasso. A grandi linee, i grassi saturi sono più stabili di quelli insaturi. I doppi legami rendono i grassi insaturi suscettibili di alterazioni chimiche nocive se esposti al calore, all’aria e alla luce: quanti più doppi legami presenta un grasso, tanto più è suscettibile. All’atto pratico, ciò significa che alcuni grassi e oli sono più adatti in caso di cottura mentre altri sono migliori se consumati a freddo. Per esempio, come puoi vedere nella Tabella 1, l’olio di mais e l’olio di semi di girasole sono prevalentemente poiinsaturi, perciò sarebbe meglio non usarli per cucinare. Invece l’olio di cocco e il sego animale (grasso sciolto) sono altamente saturi, perciò vanno bene.

Nel caso in cui tu non sia sicuro di come un grasso o un olio potrebbe reagire se esposto al calore, all’aria o alla luce, diamo una piccola spiegazione. Solitamente i grassi animali sono estratti e poi scaldati per scioglierli al fine di filtrare frammenti residui di carne e ossi e versarli poi in contenitori adatti alla vendita. Durante il processo di liquefazione i grassi sono esposti al calore, alla luce e all’aria, ma dal momento che il grasso animale contiene un’alta percentuale di acidi grassi saturi, tende a mantenersi intatto e risente meno di alte temperature e pressione. Persino i grassi animali con una buona quantità di acidi grassi poiinsaturi (come il grasso di pollo e di anatra) sono relativamente stabili perché contengono anche una discreta quantità di grasso saturo. Esponiamo questi grassi al calore, alla luce e all’aria quando li mettiamo in pentola per cuocere un pasto, ma, lo ribadisco, sono per lo più stabili e resistono al calore.

D’altro canto, fatta eccezione per l’olio di cocco, di palma e la varietà di olio ad alto contenuto di acido oleico, gli oli derivati dalle piante sono prevalentemente insaturi, il che significa che non sono affatto adatti per cucinare ad alte temperature. Per estrarre grandi quantità di olio da semi come soia e mais - che, in primo luogo, non sono per niente grassi - vengono applicate incredibili quantità di calore e pressione. Saresti in grado di liquefare il lardo o il sego nella cucina di casa tua, proprio come faceva la tua bisnonna, ma non potresti produrre un litro di olio di mais o di soia senza macchinari costosissimi e una lavorazione industriale.

Questi oli potrebbero subire un ulteriore riscaldamento per essere chiarificati, decolorati e deodorizzati prima dell’imbottigliamento. (Vedi la Figura 1 relativa alla lavorazione dell’olio vegetale.) Successivamente vengono deposti sugli scaffali dei negozi in bottiglie di plastica trasparenti, dove restano esposti alla forte luce artificiale per quasi tutto il giorno. Questi fragili oli sono sottoposti alla dannosa azione di calore, luce e aria molteplici volte prima ancora di arrivare in negozio, per non parlare di quando li usi per cucinare. Se hai dei dubbi sull’olio d’oliva, lascia che ti metta il cuore in pace: dal momento che è prevalentemente monoinsaturo, con solo una piccola percentuale di acidi grassi poiinsaturi, è sicuro per cucinare. Ricorda: il numero di doppi legami determina quanto fragile e facilmente danneggiabile è un acido grasso, e i grassi monoinsaturi hanno un solo doppio legame.

Figura 1

La tecnologia usata e l’ordine in cui queste procedure vengono applicate possono variare da produttore a produttore, ma lo schema dà l’idea del livello di meccanizzazione e manipolazione richiesto per produrre grandi quantità di olio di semi industriale.

Data di Pubblicazione: 2 maggio 2019

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