Scopri il complesso equilibrio delle relazioni tra le dinamiche psicologiche, il tuo ambiente emotivo e la tua fisiologia leggendo l'anteprima di Gabor Maté.
Stress e competenza emozionale
“Un perenne scambio tra la materia vivente e il suo ambiente circostante inanimato, fra un essere vivente e l’altro, va avanti sin dall’alba della vita negli oceani preistorici”, scrisse Han Selye in The Stress of Life. Le interazioni con altri esseri umani - in particolare, le interazioni emotive - influenzano il nostro funzionamento biologico in miriadi di modi sottili quasi ad ogni istante delle nostre vite. Esse sono fattori importanti per la salute, come vedremo nel corso di questo libro. Comprendere il complesso equilibrio delle relazioni tra le nostre dinamiche psicologiche, il nostro ambiente emotivo e la nostra fisiologia è cruciale per il benessere. “Può sembrare strano”, scrisse Selye. “Si potrebbe pensare che non c’è alcun legame concepibile fra il comportamento delle nostre cellule, per esempio nell'infiammazione, e il nostro comportamento nella vita quotidiana. Io non sono d’accordo.”
Nonostante i sei decenni di indagine scientifica trascorsi dal pionieristico lavoro di Selye, l’impatto fisiologico delle emozioni è ben lontano dall’essere pienamente apprezzato. L’approccio medico a salute e malattia continua a presupporre che corpo e mente siano separabili l’uno dall’altro e anche dall’ambiente in cui vivono. Aggrava poi questo errore una definizione dello stress che è ristretta e semplicistica.
Il pensiero medico in genere vede lo stress in termini di eventi altamente preoccupanti ma isolati come, per esempio, l’improvvisa perdita del lavoro, la fine di un matrimonio o la morte di una persona amata. Questi gravi eventi sono potenti fonti di stress per molti, ma vi sono stress cronici quotidiani nelle vite delle persone che sono più insidiosi e più dannosi nelle loro conseguenze biologiche di lungo termine. Gli stress generati interiormente esigono il loro tributo senza sembrare in alcun modo eccezionali.
Per coloro che sono abituati ad alti livelli di stress interiore fin dalla prima infanzia, è l’assenza di stress a creare disagio, evocando noia e una sensazione di mancanza di significato. Le persone possono diventare dipendenti dai loro stessi ormoni dello stress, adrenalina e cortisolo, osservò Selye. Per tali persone lo stress è desiderabile, mentre la sua assenza è percepita come qualcosa da evitare.
Quando le persone si descrivono come stressate, generalmente intendono l’agitazione nervosa di cui fanno esperienza per richieste eccessive - di solito negli àmbiti lavorativo, familiare, sentimentale, finanziario o della salute. Ma le sensazioni di tensione nervosa non definiscono lo stress - né, per essere precisi, sono sempre percepite quando le persone sono stressate. Lo stress, per come lo definiremo, non è una questione di sentimento soggettivo. È un insieme di eventi fisici oggettivamente misurabili, che coinvolgono il cervello, il sistema ormonale, il sistema immunitario e molti altri organi. Tanto gli animali quanto le persone possono vivere lo stress senza la consapevolezza della sua presenza.
“Lo stress non è meramente tensione nervosa”, osservò Selye. “Le reazioni allo stress si verificano in animali inferiori, perfino nelle piante, che non hanno un sistema nervoso... Di fatto, lo stress può essere indotto durante una piena anestesia in pazienti che sono privi di coscienza, e perfino in colture di cellule cresciute all’esterno del corpo.” Parimenti, gli effetti dello stress possono essere molto attivi in persone che sono pienamente sveglie, ma che sono nella morsa di emozioni inconsapevoli o disconnesse dalle loro risposte corporee. La fisiologia dello stress può essere innescata senza effetti osservabili sul comportamento e senza consapevolezza soggettiva, come è stato dimostrato in esperimenti su animali e in studi su esseri umani.
Che cos’è, allora, lo stress?
Selye - che coniò la parola nell’uso attuale e che descrisse con fìnto orgoglio come der stress, le stress e lo stress entrarono rispettivamente nelle lingue tedesca, francese e italiana - concepiva lo stress come un processo biologico, un insieme di eventi fisici ad ampio spettro, indipendentemente dalla causa o dalla consapevolezza soggettiva. Lo stress consiste nelle alterazioni interne - visibili o meno - che si verificano quando l’organismo percepisce una minaccia alla sua esistenza o al suo benessere. Sebbene la tensione nervosa possa essere una componente dello stress, si può essere stressati senza avvertire tensione. D’altro canto, è possibile avvertire tensione senza attivare i meccanismi fisiologici dello stress.
Cercando un’espressione che cogliesse il significato dei cambiamenti fisici che osservava nei suoi esperimenti, Selye “inciampò nel termine stress, che era stato usato a lungo nell’inglese comune, e specialmente in ingegneria, per indicare gli effetti di una forza che agisce contro una resistenza.” Egli fornisce l’esempio dei cambiamenti indotti in un elastico allungato o in una molla d’acciaio sotto pressione. Questi cambiamenti possono essere notati a occhio nudo oppure essere visibili solo a un esame col microscopio.
Le analogie di Selye illustrano un punto importante: uno stress eccessivo si verifica quando le richieste fatte a un organismo superano la ragionevole capacità dell’organismo di adempiervi. L’elastico si rompe, la molla si deforma. La risposta allo stress può essere innescata da un danno fisico, che sia un’infezione o una ferita. Può essere innescata anche da un trauma emotivo o dalla semplice minaccia di un tale trauma, anche se è solo immaginaria. Le risposte fisiologiche allo stress possono essere suscitate quando la minaccia è al di fuori della consapevolezza conscia o anche quando l’individuo può credere di essere stressato in maniera “positiva”.
Ad Alan, un ingegnere di quarantasette anni, è stato diagnosticato il cancro all’esofago - il tubo per la deglutizione che porta il cibo dalla gola allo stomaco - qualche anno fa. Egli parlava di “stress positivo” quando descriveva l’esistenza senza tregua, sfrenata che aveva condotto durante l’anno prima che gli fosse diagnosticato il tumore. Quello “stress positivo” non solo ha contribuito a sabotare la sua salute, ma è servito anche a distrarlo dai dolorosi problemi nella sua vita che erano a loro volta fonte di continui disordini fisiologici nel suo sistema.
Il tratto inferiore dell’esofago è stato rimosso, insieme alla porzione superiore dello stomaco che il tumore aveva invaso. Siccome il cancro si era diffuso in molti linfonodi al di fuori dello stomaco, ha ricevuto cinque cicli di chemioterapia. I suoi globuli bianchi ne sono stati così impoveriti che un altro ciclo di chemio lo avrebbe ucciso.
Non essendo un fumatore né un bevitore è rimasto scosso dalla diagnosi, avendo sempre ritenuto di condurre una vita sana. Aveva però pensato a lungo di avere uno “stomaco debole”. Soffriva spesso di indigestione e bruciore di stomaco, un sintomo del reflusso di acido dello stomaco nell’esofago. Il rivestimento dell’esofago non è fatto per sopportare il bagno corrosivo di acido cloridrico secreto nello stomaco. Una valvola muscolare tra i due organi e complessi meccanismi neurologici assicurano che il cibo possa scendere dalla gola allo stomaco senza consentire all’acido di risalire. Il reflusso cronico può danneggiare la superficie dell’esofago inferiore, predisponendolo all’evoluzione cancerosa.
Non essendo una persona incline alla lamentela, Alan menzionò questo problema ai medici solo una volta. Lui pensa velocemente, parla velocemente, fa tutto velocemente. Riteneva, di fatto abbastanza verosimilmente, che la sua abitudine di mangiare in fretta fosse la responsabile del bruciore di stomaco. Tuttavia, anche l’eccessiva produzione di acido dovuta allo stress e uno stimolo neurologico disordinato da parte del sistema nervoso autonomo hanno un ruolo nel reflusso. La parte autonoma del sistema nervoso è la parte fuori dal nostro controllo conscio e -come implica il nome - è responsabile di molte funzioni fisiche automatiche come il battito cardiaco, la respirazione e la contrazione dei muscoli degli organi interni.
Ho chiesto ad Alan se ci fossero stati degli stress nel periodo precedente la diagnosi. “Sì, ero stato sotto stress, ma ci sono due tipi di stress. C’è uno stress che è negativo e uno stress che è positivo.” Nella valutazione di Alan, lo “stress negativo” era la sua completa mancanza di intimità nel suo matrimonio di dieci anni con Shelley. Lui la vede come la principale ragione per cui la coppia non ha avuto bambini. “Il fatto è che lei ha alcuni problemi molto seri. A causa della sua incapacità di essere romantica, di avere rapporti intimi e tutto ciò di cui io ho bisogno, la mia frustrazione col nostro matrimonio era all’apice nel momento in cui mi è venuto il cancro. Ho sempre ritenuto che quella fosse davvero la cosa principale.” Gli “stress positivi”, dal punto di vista di Alan, provenivano dal suo lavoro. Nell’anno precedente la sua diagnosi, lavorava undici ore al giorno, sette giorni a settimana. Gli ho chiesto se avesse mai detto di no a qualcosa.
“Mai. In realtà, mi piace che mi si facciano delle richieste. Non dico quasi mai di sì con dispiacere. Mi piace sbrigare le cose, mi piace farmene carico. Tutto ciò che qualcuno deve fare è farmi una richiesta e io lo faccio.”
“E cosa è successo da quando hai il cancro?”
“Ho imparato a dire di no - lo dico in continuazione. Voglio vivere! Penso che dire di no giochi un ruolo importante nel miglioramento. Quattro anni fa mi hanno dato il 15 per cento di probabilità di sopravvivenza. Ho preso la decisione consapevole che volevo vivere, e ho stabilito un limite di tempo i fra cinque e i sette anni.”
“Che vuol dire?”
“Si suppone che cinque anni sia la cosa magica, ma so che è soltanto un limite arbitrario di tempo. Mi immagino che sto barando e mi sto prendendo due anni di più. Poi, dopo i sette...”
“Stai dicendo che dopo sette anni puoi tornare a vivere di nuovo come un pazzo?”
“Sì, potrei, non so.”
“Grosso errore!”
“Probabilmente - ne parleremo. Ma adesso sono un bravo ragazzo. Davvero. Dico di no a tutti.”
L’esperienza dello stress ha tre elementi
Il primo è l’evento, fisico o emotivo, che l’organismo interpreta come minaccioso: questo è l’agente stressante (stressor). Il secondo è il sistema processore che fa esperienza dell’agente stressante e ne interpreta il significato. Negli esseri umani il sistema processore è il sistema nervoso, in particolare il cervello. L’elemento finale è la risposta allo stress, che consiste nelle diverse variazioni fisiche e comportamentali approntate come reazioni alla minaccia percepita.
Vediamo subito che la definizione di agente stressante dipende dal sistema processore che gli assegna un significato. Una scossa di terremoto è una minaccia diretta per molti organismi, ma non per un batterio. La perdita di un lavoro è molto più stressante per un impiegato salariato la cui famiglia fatica ad arrivare a fine mese che per un dirigente che riceve una ricca buonuscita.
Ugualmente importanti sono la personalità e l’attuale stato psicologico dell’individuo su cui l’agente stressante sta agendo. Il dirigente la cui sicurezza finanziaria è assicurata quando viene licenziato può comunque esperire un forte stress se la sua autostima e la sua motivazione erano saldamente legate alla sua posizione e alla sua azienda, a confronto con un collega che trova un valore maggiore nella famiglia, negli interessi sociali o nella ricerca spirituale. La perdita del lavoro sarà percepita come una seria minaccia dal primo, mentre l’altro potrebbe vederla come un’opportunità. Non esiste alcuna relazione uniforme e universale tra l’agente stressante e la risposta allo stress. Ciascun evento stressante è peculiare ed è sperimentato nel presente, ma ha anche una sua risonanza con il passato. L’intensità dell'esperienza dello stress e le sue conseguenze a lungo termine dipendono da molti fattori unici per ciascun individuo. Ciò che definisce lo stress per ciascuno di noi è una questione di disposizione personale e, ancora di più, di storia personale.
Selye scoprì che la biologia dello stress influenzava prevalentemente tre tipi di tessuti o organi del corpo: nel sistema ormonale si verificavano cambiamenti visibili nelle ghiandole surrenali; nel sistema immunitario lo stress influenzava la milza, il timo e le ghiandole linfatiche; nel sistema digestivo il rivestimento dell’intestino. Ratti a cui fu praticata l’autopsia avevano ghiandole surrenali ingrossate, organi linfatici ridotti e intestini ulcerati.
Tutti questi effetti sono generati dalle vie del sistema nervoso centrale e dagli ormoni. Vi sono molti ormoni nel corpo, sostanza chimiche solubili che influenzano il funzionamento degli organi, dei tessuti e delle cellule. Quando una sostanza chimica viene immessa nella circolazione da un organo per influenzare il funzionamento di un altro, viene chiamata ormone endocrino. Alla percezione di una minaccia, l’ipotalamo nel tronco encefalico rilascia l’ormone per il rilascio della corticotropina (CRH), che viaggia per una breve tratto fino alla pituitaria, una piccola ghiandola endocrina incassata nelle ossa alla base del cranio. Stimolata dal CRH, la pituitaria rilascia l’ormone adrenocorticotropo (ACTH). L’ACTH è a sua volta trasportato dal sangue fino alle surrenali, dei piccoli organi nascosti nel tessuto adiposo al di sopra dei reni. Qui l’ACTH agisce sulla corteccia surrenale, un sottile strato di tessuto che funziona esso stesso da ghiandola endocrina. Stimolata dall’ACTH, questa ghiandola seceme gli ormoni corticoidi (corticoide, da “corteccia”), il principale tra i quali è il cortisolo. Il cortisolo agisce su quasi tutti i tessuti del corpo, in un modo o nell’altro - dal cervello al sistema immunitario, dalle ossa agli intestini. È una parte importante del sistema infinitamente complesso di controlli ed equilibri fisiologici mediante i quali il corpo appronta una risposta alla minaccia. Gli effetti immediati del cortisolo sono di smorzare la reazioni allo stress, diminuendo l’attività del sistema immunitario per tenerlo entro limiti di sicurezza.
La connessione funzionale formata da ipotalamo, pituitaria e ghiandole surrenali è chiamata asse HPA. L’asse HPA è il fulcro del meccanismo di stress del corpo ed è coinvolto in molte delle malattie croniche che esploreremo nei capitoli seguenti. Poiché l’ipotalamo è in comunicazione a doppio senso con i centri del cervello che processano le emozioni, è attraverso l’asse HPA che le emozioni esercitano i loro effetti più diretti sul sistema immunitario e su altri organi.
La triade di Selye - ingrossamento delle surrenali, riduzione del tessuto linfatico e ulcere intestinali - è dovuta, quindi, all’effetto di stimolo dell’ACTH sulle surrenali, l’effetto inibitore del cortisolo sul sistema immunitario e l’effetto ulcerativo del cortisolo sugli intestini. Molte persone a cui vengono prescritti medicinali a base di cortisolo come cura per, ad esempio, asma, colite, artrite, o cancro sono a rischio di emorragia intestinale e possono aver bisogno di altre medicine per proteggere il rivestimento dell’intestino. Questo effetto del cortisolo aiuta anche a spiegare perché gli stress cronici ci rendono più suscettibili a sviluppare ulcere intestinali. Il cortisolo ha anche un potente effetto di assottigliamento sulle ossa. Le persone depresse secernono elevati livelli di cortisolo, il che è il motivo per cui le donne stressate e depresse dopo la menopausa hanno più probabilità di sviluppare osteoporosi e subire fratture dei fianchi.
Questa descrizione sommaria dell’azione dello stress è inevitabilmente incompleta, dato che lo stress influenza e coinvolge virtualmente ogni tessuto del corpo. Come notò Selye, “Un profilo generale della risposta allo stress dovrà includere non solo cervello e sistema nervoso, pituitaria, surrenali, reni, vasi sanguigni, tessuto connettivo, tiroide, fegato e globuli bianchi, ma dovrà anche indicare le loro molteplici interazioni reciproche.”. Lo stress agisce su molte cellule e tessuti nel sistema immunitario che erano in gran parte sconosciuti quando Selye condusse la sua ricerca pionieristica. A loro volta coinvolti nell’immediata risposta alla minaccia sono il cuore, i polmoni, i muscoli scheletrici ed i centri emozionali nel cervello.
Dobbiamo approntare una risposta allo stress per preservare la stabilità interna. La risposta allo stress è non-specifica. Può essere innescata da una reazione a qualunque attacco fìsico, biologico, chimico o psicologico - o in risposta a qualunque percezione di attacco o minaccia, conscia o inconscia. L’essenza della minaccia è una destabilizzazione dell’omeostasi del corpo, cioè l’intervallo relativamente ristretto di condizioni fisiologiche entro le quali l’organismo può sopravvivere e funzionare. Per facilitare la lotta o la fuga, è necessario che il sangue sia deviato dagli organi interni ai muscoli e il cuore deve pompare più rapidamente. Il cervello deve focalizzarsi sulla minaccia, dimenticandosi della fame e del desiderio sessuale. Le riserve di energia accumulate devono essere mobilitate, sotto forma di molecole di zucchero. Le cellule immunitarie devono essere attivate. L’adrenalina, il cortisolo e le altre sostanze dello stress adempiono a questi compiti.
Tutte queste funzioni devono essere mantenute entro limiti di sicurezza: troppo zucchero nel sangue provocherà il coma; un sistema immunitario troppo attivo produrrà presto sostanze chimiche che sono tossiche. Perciò, la risposta allo stress deve essere intesa non solo come la reazione del corpo alla minaccia, ma anche come il suo tentativo di preservare l’omeostasi di fronte alla minaccia. A una conferenza sullo stress presso l’Istituto Nazionale per la Sanità (USA), i ricercatori usarono il concetto di ambiente interno stabile per definire lo stress “come uno stato di disarmonia o di omeostasi minacciata”. Secondo una tale definizione, un agente stressante “è una minaccia, reale o percepita, che tende a disturbare l’omeostasi”.
Che cosa hanno in comune tutti gli agenti stressanti?
Alla fine, tutti rappresentano l’assenza di qualcosa che l’organismo percepisce come essenziale per la sopravvivenza - o la minaccia della sua perdita. La minaccia della perdita dell’approvvigionamento di cibo è un agente stressante serio. Altrettanto - per gli esseri umani - è la minaccia della perdita dell’amore. “Si può dire senza esitazione”, scrisse Hans Selye, “che per l’uomo gli agenti stressanti più importanti sono emozionali.”
La letteratura scientifica ha identificato tre fattori che universalmente portano allo stress: l’incertezza, l’assenza di informazione e la perdita del controllo. Tutti e tre sono presenti nelle vite di individui con malattie croniche. Molte persone possono avere l’illusione di essere al controllo, solo per scoprire più tardi che forze a loro sconosciute stavano guidando le loro decisioni e comportamenti per molti, molti anni. Io l’ho scoperto nella mia vita. Per alcuni, è la malattia che alla fine disintegra l’illusione del controllo.
Gabrielle ha cinquantotto anni, attiva in un’associazione locale per la sclerodermia. I suoi occhi, grandi di natura, sono ingigantiti dall’effetto creato dalla pelle tesa sul viso, il suo sorriso un movimento appena percettibile delle sue labbra su denti di un bianco perfetto. Le sue dita sottili brillano della cerea traslucidità caratteristica della sclerodermia, ma mostrano anche un po’ della deformità dell’artrite reumatoide. Diverse dita sono “deviate” e gonfie sulle articolazioni. A Gabrielle è stato diagnosticata la sclerodermia nel 1985. In genere la comparsa della malattia è lenta e insidiosa, ma i primi sintomi che lei avvertì arrivarono con la fulmineità di un’influenza - probabilmente perché nel suo caso la sclerodermia è associata a una più generalizzata artrite reumatoide. “Fui molto, molto malata per quasi un anno”, ricorda.
“Per i primi cinque o sei mesi fui a malapena capace di alzarmi dal letto. Era uno sforzo alzarsi e fare qualsiasi cosa a causa del dolore in ogni articolazione. Rispondevo ad un antinfiammatorio o al Tylenol 3 per tre, forse quattro settimane. Poi non riusciva più a fare effetto, perciò cambiavamo e provavamo qualcos’altro. Non riuscivo a mangiare. In cinque settimane ho perso trenta libbre10. Ero arrivata a novantuno libbre... Avevo letto in diversi articoli che le persone che sviluppano la sclerodermia sono quelle che hanno sempre avuto il bisogno di sentirsi al controllo. Per tutta la mia vita sono stata la responsabile, quella che si prendeva cura di tutto. Improvvisamente adesso con la malattia non si ha più alcun controllo.”
Può sembrare paradossale affermare che lo stress, un meccanismo fisiologico essenziale per la vita, sia una causa di malattia. Per risolvere questa apparente contraddizione, dobbiamo distinguere fra stress acuto e stress cronico. Lo stress acuto è la risposta immediata, di breve termine, del corpo alla minaccia. Lo stress cronico è l’attivazione dei meccanismi di stress per lunghi periodi di tempo quando una persona è esposta ad agenti stressanti a cui non può sfuggire: o perché non li riconosce o perché non ha controllo su di essi.
Le scariche del sistema nervoso, la produzione di ormoni e i cambiamenti immunitari costituiscono le reazioni attacco-o-fuga che ci aiutano a sopravvivere a un immediato pericolo. Queste risposte biologiche sono opportune nelle emergenze per cui la natura le ha progettate. Ma le stesse risposte allo stress, innescate cronicamente e senza soluzione di continuità, producono danni e perfino danni permanenti. Livelli cronicamente alti di cortisolo distruggono i tessuti. Livelli cronicamente elevati di adrenalina innalzano la pressione sanguigna e danneggiano il cuore.
Esiste una vasta documentazione dell’effetto inibitorio dello stress cronico sul sistema immunitario. In uno studio, l’attività delle cellule immunitarie chiamate cellule killer naturali (NK) furono confrontate in due gruppi: coniugi che assistevano persone con il morbo di Alzheimer e soggetti di controllo con la stessa età e stato di salute. Le cellule NK sono truppe di prima linea nella lotta contro le infezioni e contro il cancro, avendo la capacità di attaccare microorganismi invadenti e di distruggere cellule con mutazioni tumorali. Il funzionamento delle cellule NK degli assistenti era significativamente represso, anche in coloro il cui coniuge era morto fino a tre anni prima. Gli assistenti che riferivano livelli minori di sostegno sociale mostravano anche la maggiore depressione dell’attività immunitaria - esattamente come gli studenti di medicina più isolati, che avevano i sistemi immunitari più compromessi sotto la pressione degli esami.
Un altro studio che prese in considerazione degli assistenti valutò l’efficacia dell’immunizzazione contro l’influenza. In questo studio l'80 per cento fra i membri del gruppo di controllo non stressato sviluppò immunità contro il virus, ma solo il 20 per cento degli assistenti dei malati di Alzheimer ne furono capaci. Lo stress associato all’incessante assistenza inibiva il sistema immunitario e lasciava le persone soggette all’influenza. La ricerca evidenziò anche ritardi nella riparazione dei tessuti associati allo stress. Le ferite degli assistenti dei malati di Alzheimer impiegavano in media nove giorni in più per guarire rispetto a quelle del gruppo di controllo.
Livelli più elevati di stress causano maggiore produzione di cortisolo attraverso l’asse HPA, e il cortisolo inibisce l’attività delle cellule infiammatorie coinvolte nella guarigione delle ferite. Ad alcuni studenti di odontoiatria fu deliberatamente praticata una ferita nel palato mentre stavano affrontando esami di immunologia e poi di nuovo durante le vacanze. In ciascuno di loro la ferità guarì più velocemente durante l’estate. Sotto stress, i loro globuli bianchi producevano in minore quantità la sostanza essenziale per la guarigione.
La relazione spesso osservata fra stress, immunità compromessa e malattia ha generato il concetto di “malattie di adattamento”, un’espressione di Hans Selye. La risposta attacco-o-fuga, si dice, era indispensabile in un’epoca in cui gli esseri umani dovevano affrontare un mondo naturale di predatori e altri pericoli. Nella società civilizzata però la reazione attacco-fuga è innescata in situazioni in cui non è né necessaria né utile, poiché non affrontiamo più le stesse minacce mortali alla nostra esistenza. I meccanismi fisiologici di stress del corpo sono spesso innescati a sproposito, con conseguente malattia.
C’è un altro modo di guardare la cosa. La reazione di allarme attacco-o-fuga esiste oggi per gli stessi scopi che aveva in origine: permetterci di sopravvivere. Ciò che è accaduto è che abbiamo perso il contatto con i sentimenti istintivi progettati per essere il nostro sistema di allarme. Il corpo predispone una reazione allo stress, ma la mente è inconsapevole del pericolo. Restiamo in situazioni fisiologicamente stressanti, con solo una vaga consapevolezza, o anche nessuna, di soffrire. Come osservò Selye, gli agenti stressanti principali nella vita della maggioranza degli esseri umani di oggi - perlomeno nel mondo industrializzato - sono di carattere emotivo. Proprio come animali da laboratorio incapaci di fuggire, le persone si ritrovano intrappolate in stili di vita e schemi emozionali nemici della loro salute. Più è elevato il livello di sviluppo economico, così sembra, e più diventiamo insensibili rispetto alle nostre realtà emozionali. Non percepiamo più ciò che accade nei nostri corpi e di conseguenza non possiamo agire a nostra salvaguardia. La fisiologia dello stress corrode i nostri corpi non perché abbia esaurito la propria utilità, ma perché noi potremmo non avere più le capacità di riconoscere i suoi segnali.
Le emozioni
Come lo stress, l’emozione è un concetto che spesso invochiamo senza un senso preciso del suo significato. E, come lo stress, le emozioni hanno diverse componenti. Lo psicologo Ross Buck distingue fra tre livelli di risposte emozionali, che egli chiama Emozione I, Emozione II ed Emozione III, classificate secondo il grado della nostra consapevolezza. L’Emozione III è l’esperienza soggettiva, dal nostro interno. E come ci sentiamo. Nell’esperienza dell’Emozione III c’è consapevolezza conscia di uno stato emozionale, come rabbia o gioia o paura, e delle sensazioni fisiche associate.
L’Emozione II comprende le nostre manifestazioni emotive come sono percepite dagli altri, con o senza la nostra consapevolezza. È segnalata attraverso il linguaggio del corpo - “segnali non verbali, atteggiamenti, toni di voce, gesti, espressioni facciali, brevi contatti, e anche la tempistica degli eventi e delle pause tra le parole. [Esse] possono anche avere conseguenze fisiologiche - spesso al di fuori della consapevolezza dei partecipanti”12. È abbastanza comune non avere consapevolezza delle emozioni che si comunicano anche se sono riconosciute con facilità da coloro stanno vicino. Le nostre espressioni di Emozione II sono quel che più influenza gli altri, a prescindere dalle nostre intenzioni.
Le manifestazioni di Emozione II da parte di un bambino sono anche ciò che
i genitori sono meno capaci di tollerare, se i sentimenti manifestati causano loro troppa ansia. Come osserva il dottor Buck, un bambino i cui genitori puniscono, o al quale inibiscono, questa manifestazione di emozioni sarà condizionato, in futuro, a rispondere ad emozioni simili mediante repressione. L’autocensura serve a prevenire vergogna e rifiuto. In tali condizioni, scrive Buck, “la competenza emozionale sarà compromessa... L’individuo in futuro non saprà come gestire efficacemente i sentimenti e i desideri implicati. Il risultato sarà una specie di impotenza”13.
La letteratura sullo stress documenta ampiamente che l’impotenza, reale o percepita, è un potente innesco di risposte biologiche allo stress. L’impotenza acquisita è uno stato psicologico in cui i soggetti non si svincolano da situazioni stressanti nemmeno quando hanno la possibilità fisica di farlo. Le persone si ritrovano spesso in situazioni di impotenza acquisita - per esempio, qualcuno che si sente intrappolato in una relazione disfunzionale o perfino violenta, in un lavoro stressante o in uno stile di vita che gli ruba la sua vera libertà.
L’Emozione I comprende i cambiamenti fisiologici innescati dagli stimoli emozionali, come le scariche del sistema nervoso, la produzione di ormoni e i cambiamenti immunitari che costituiscono la reazione attacco-o-fuga in risposta alla minaccia. Queste reazioni non sono sotto il controllo consapevole e non possono essere osservate direttamente dall’esterno. Semplicemente, accadono. Possono verificarsi in assenza di consapevolezza soggettiva o di espressione emotiva. Efficaci in situazioni di grave minaccia, queste medesime risposte allo stress sono dannose quando sono innescate cronicamente senza che l’individuo sia capace di agire in alcun modo per sconfìggere o evitare la minaccia percepita.
L’autoregolazione, scrive Ross Buck, “coinvolge in parte il raggiungimento della competenza emozionale, che è definita come la capacità di gestire in modo appropriato e soddisfacente i propri sentimenti e desideri”. La competenza emozionale presuppone capacità che spesso mancano nella nostra società, dove l’etica prevalente è eoo? - l’assenza di emozioni -, dove “non essere così emotivo” e “non essere così sensibile” è ciò che i bambini sentono spesso, e in cui la razionalità è generalmente considerata l’antitesi privilegiata dell’emotività. Il simbolo culturale idealizzato della razionalità è Mr. Spock, il personaggio Vulcaniano emotivamente bloccato di Star Trek.
La competenza emozionale richiede:
- la capacità di sentire le nostre emozioni, così che siamo consapevoli di quando stiamo sperimentando lo stress;
- la capacità di esprimere le nostre emozioni efficacemente e quindi di affermare i nostri bisogni e di preservare l’integrità dei nostri confini emozionali;
- gli strumenti per distinguere fra reazioni psicologiche che sono pertinenti alla situazione presente e quelle che rappresentano residui del passato. Ciò che vogliamo e richiediamo dal mondo ha bisogno di conformarsi ai nostri bisogni presenti, non a bisogni inconsci e insoddisfatti dell’infanzia. Se le distinzioni tra passato e presente si offuscano, percepiremo una perdita o una minaccia di perdita laddove non ne esiste alcuna; e
- la consapevolezza di quei bisogni genuini che richiedono soddisfazione, piuttosto che la loro repressione allo scopo di ricevere l’altrui accettazione o approvazione.
Lo stress si verifica in assenza di questi criteri, e conduce allo sconvolgimento dell’omeostasi. Lo sconvolgimento cronico si traduce in cattiva salute. In ciascuna delle storie individuali di malattia in questo libro, uno o più aspetti della competenza emozionale erano significativamente compromessi, normalmente in modi completamente ignoti alla persona coinvolta.
La competenza emozionale è ciò che abbiamo bisogno di sviluppare per proteggerci dagli stress nascosti che costituiscono un rischio per la salute, ed è ciò di cui abbiamo bisogno di riconquistare, se dobbiamo guarire. Abbiamo bisogno di nutrire la competenza emozionale nei nostri bambini, in quanto suprema medicina preventiva.
Data di Pubblicazione: 15 maggio 2019