Anteprima del libro "Il Potere della Solitudine" di Miranda Sorgente
Solitudine non salutare
«E necessaria una cosa sola: solitudine, grande solitudine interiore. Volgere lo sguardo dentro sé e per ore non incontrare nessuno: questo bisogna saper ottenere».
Rainer Maria Rilke
La solitudine può essere la nostra più grande nemica o la nostra più grande amica.
Ma come può assumere connotazioni così diverse?
Semplice. Come sempre tutto dipende dal nostro utilizzo, dalla nostra interpretazione e dalla nostra relazione con un oggetto, una persona o una condizione. Tutte manifestazioni esterne a noi (esterne in un certo senso, ma non è il momento di approfondire questo punto ora).
Pensieri inconsapevoli - Che cosa succede quando siamo soli?
Abbiamo la possibilità di entrare dentro noi stessi perché non abbiamo elementi esterni con cui relazionarci, elementi che prendono la nostra attenzione. Ma questo significa che il pensiero ha via libera. Ed è proprio qui il punto chiave.
Quando siamo in balia dei nostri pensieri automatici e inconsapevoli, prodotti da schemi di pensiero costruiti nel tempo e ben radicati nella nostra mente, allora noi ci identificheremo con quei pensieri. Generalmente chi non è a conoscenza di come funziona la creazione dei pensieri e delle emozioni è succube di ciò che la mente gli propone. Gli schemi più solidi sono di solito legati a esperienze negative del passato, che ne siamo consapevoli oppure no. Quando siamo soli e inconsapevoli, questi pensieri prendono totalmente potere su di noi, con l’ulteriore conseguenza di rafforzare lo stesso schema che li sta producendo. Ovvero: più pensiamo a una situazione che ci mette tristezza, malinconia, rabbia, frustrazione in relazione a un episodio del passato (oppure a una possibile situazione futura, non ancora accaduta, che ci provoca paura, ansia, stress), più questo pensiero viene coltivato, più diventa grande e crea una strada sempre più ampia nelle nostre connessioni neuronali. E, così facendo, automaticamente tenderà a riproporsi sempre più spesso in modo inconsapevole nella nostra mente. Ci ritroveremo così a pensare proprio a quella cosa che invece vorremmo tanto scacciare dalla testa, continuando a generare emozioni non salutari.
Ecco perché abbiamo paura della solitudine. Perché non siamo in grado di gestire i nostri pensieri. Molto spesso, quando siamo soli, riusciamo solo a produrre pensieri negativi, paranoici, reattivi e condizionati. Quando siamo in compagnia, invece, siamo in continuazione concentrati verso l’esterno, occupati a rispondere o reagire a ciò che succede nella relazione con l’altra o le altre persone. Poniamo attenzione alle reazioni dell’altro, cerchiamo di fare o dire qualcosa che gli faccia piacere o lo faccia stare bene, pensiamo in anticipo a che cosa dire, cerchiamo i modi per uscire da silenzi imbarazzanti. Ed ecco che ci ritroveremo immersi in chiacchiere inutili che servono solo a distrarci da ciò che accade dentro di noi. Perdendo connessione con la parte interiore di noi stessi, noi finiamo per credere che la nostra realtà sia formata solo da ciò che è all’esterno di noi. Questa è la solitudine non salutare. La solitudine diventa non salutare quando non sappiamo come utilizzarla. Quando non la utilizziamo in modo consapevole. Non la riconosciamo come strumento prezioso per connetterci a un livello superiore.
Attenzione, non sto dicendo che non è bene la relazione con le altre persone (come avrai modo di leggere in molte parti di questo libro). Sto analizzando qui quelle relazioni malate che tutti noi abbiamo instaurato, e instauriamo molte volte nella nostra vita, per imparare a riconoscere i meccanismi che le creano.
I pensieri inconsapevoli riguardano anche l’interpretazione errata della situazione esterna: essere soli.
Essere sola significa: «Sono abbandonata, non merito amici o un partner, non sono abbastanza bella, brava, interessante, ricca, magra, intelligente, spirituale, ecc. ecc.». Si manifesta il complesso di inferiorità.
Altra situazione opposta ma con la stessa vibrazione è il complesso di superiorità.
C’è stato un periodo in cui ho conosciuto da vicino il complesso di superiorità. In particolare all’inizio dei miei viaggi in solitudine. Provavo molto imbarazzo, soprattutto andando in un bar o ristorante da sola. Poi ho trasformato questo imbarazzo in complesso di superiorità. Guardavo gli altri con una certa soddisfazione interna, considerandoli incatenati in relazioni forse non sempre felici, solo perché non avevano il coraggio di stare da soli, come me, che mi potevo gustare tutta la libertà del mondo. Li guardavo con quel sorriso interiore di leggero compatimento. Guardavo in particolare quelle famiglie in cui negli occhi del compagno e papà potessi intravedere la frustrazione di essere in un posto che non voleva ma che era obbligato a mantenere. Con soddisfazione, anche se in modo sottile, ostentavo la mia solitudine libera e felice, mentre inviavo a chi mi stava guardando il messaggio “poverino, tu sei schiavo e io no”.
E stato un periodo. Il complesso di superiorità o di inferiorità hanno la stessa frequenza in ogni caso. Non cambia nulla a livello di vibrazione. È sempre un giudizio, un gioco della mente che non è utile alla felicità, nostra e degli altri, di lungo periodo.
Ora, alla luce della consapevolezza e dell’esperienza, la maggior parte delle volte sono semplicemente libera mentre cammino e mi muovo da sola. Semplicemente: il mio pensiero non è focalizzato su cosa possono pensare gli altri di me, di loro e del mondo. Sorrido alle persone se mi va, saluto se è il caso, scambio a volte qualche parola. Sono aperta alla relazione ma senza concentrarmi su di essa. Va bene se c’è lo scambio, va bene se non c’è. Sono presente a ciò che accade in ogni momento. Ascolto i messaggi della natura, guardo i colori di un tramonto, sento il mio corpo che diventa tonico mentre pratico uno sport. Osservo i pensieri e cerco di accorgermi di quelli che si insediano nella mia mente in modo inconsapevole, portandomi in una realtà virtuale che mi distoglie dal momento presente.
Dipendenze
L’altro punto chiave della solitudine non salutare e la dipendenza. Quando siamo in solitudine non salutare crediamo di dover essere sempre dipendenti da qualcuno o da qualcosa per essere felici, per potercela cavare, per risolvere un problema, per stare bene. Un partner, un familiare, un amico. Alla solitudine associamo il fatto che nessuno ci ama o si prende cura di noi. Ma queste sono interpretazioni della mente. E il contesto in cui viviamo, molti film e i vari programmi televisivi non ci aiutano di certo a interpretare la solitudine in altri modi.
Vedremo qui diversi strumenti per distaccarci consapevolmente dai tanti elementi da cui pensiamo di dipendere per trovare benessere e felicità.
Diventa più facile apprezzare la solitudine quando ci rendiamo conto che, per provare benessere e felicita, non dipendiamo da niente e da nessuno. Quando riusciamo a staccarci consapevolmente dagli elementi o dalle persone dai quali pensiamo dipendano il nostro benessere e perfino la nostra sopravvivenza, allora inevitabilmente riusciamo anche a cancellare la dipendenza e a comprendere, quindi, che possiamo trovare la felicità e il benessere indipendentemente da tutti, persone, cose o situazioni. Niente e nessuno escluso. Ognuno ricorre a qualche cosa per colmare qualche tipo di vuoto o fame. Una delle tendenze più studiate, per esempio, è la fame emozionale. Tutti noi a volte mangiamo solo per colmare un vuoto o placare un’emozione che non ci fa stare bene o perché siamo sotto pressione. Adesso poi c’è un altro elemento che è diventato oggetto di studio: la dipendenza dalla tecnologia. Uno studio riporta che la maggior parte delle persone tiene il suo cellulare a una distanza inferiore a un metro da sé, per la maggior parte della giornata. Cibo, sesso, tecnologia, lavoro, alcol, droghe, acquisti, ecc. sono tutte deviazioni, quando vengono usate per colmare un vuoto. Significa che non devo più mangiare? Non fare più sesso? Non bere più un bicchiere di vino? Certamente non significa questo. Puoi continuare a trarne piacere ma devi comprendere la sottile linea di demarcazione tra trarne piacere ed esserne dipendente.
Ti devi accorgere di quali modi usi per riempire i vuoti che senti dentro. Quali sono i tuoi schemi ricorrenti. Come nel mio racconto iniziale. Per me ora è molto chiaro qual era il mio schema della domenica. La domenica per me era il giorno dedicato agli affetti e, per poter essere felice, dovevo essere con qualcuno. Non potevo concepire e sopportare una domenica in solitudine. Che cosa accadeva negli altri giorni? Che ero semplicemente distratta da altro: in settimana dal lavoro intenso che prendeva spesso anche le sere e il sabato dalle varie commissioni che si accumulavano durante la settimana. Non avevo tempo di sentire il vuoto che avevo dentro di me.
Perché dobbiamo quindi toglierci ciò che ci fa stare bene? Proprio per togliere la dipendenza. Per accorgerci che NON È VERO che possiamo stare bene solo in quel modo. E perché quel modo arriva da qualcosa che è fuori di noi.
Ogni tipo di dipendenza è una droga. Tu pensi di prendere la droga ma in realtà è la droga che prende te.
Questo testo è estratto dal libro "Il Potere della Solitudine".
Data di Pubblicazione: 17 aprile 2018