Cos'è la Teasofia? Che differenza c'è tra “La Dea” o “Dea”? Quali sono le sue pratiche? Scopri di più, leggendo l'anteprima del nuovo libro di Laura Ghianda.

Che cos'è la Teasofia

Che cos'è la Teasofia?

La Teasofia è un insieme di conoscenze e pratiche relative a ciò che comunemente chiamiamo “Dea” ed è anche un metodo di lavoro. Ma soprattutto è una griglia di significato, un modo di guardare al mondo e un approccio alla vita molto differenti da quelli comunemente conosciuti.

Ho sentito l'esigenza di un termine che non fosse già utilizzato per definire le mie ricerche e il mio lavoro, una parola che permettesse di cogliere in un attimo a che tipo di approccio ci si stesse riferendo differenziandolo dalla vasta gamma di altre tradizioni e proposte che si occupano dell’argomento. Così ne ho coniato uno e ne ho registrato la proprietà intellettuale.

La parola è composta da “Tea”, che sta per “Dea”, e “Sofìa”, che indica un “sapere spirituale ma collegato all'esperienza, che passa attraverso la complessità delle percezioni del corpo e l'attivazione di energie più sottili di quelle della mente”.

Non solo un sapere mentale astratto, “come in tutte le “-logie”: è per questo motivo che ho preferito non utilizzare il già conosciuto termine “tealogia”. Non desideravo un richiamo al solo sapere intellettuale e al contempo temevo il parallelo con “teologia”: avrebbe potuto rinforzare l'equivoco, tutt'altro che raro, di considerare “la Dea” o, per come mi piace chiamarla, semplicemente Dea, come puramente una versione di Dio padre trascendente rivestita di abiti e pronomi femminili.

La Dea di cui voglio parlare tramite la Teasofia appartiene a un orizzonte simbolico totalmente differente dall’idea di divino attualmente diffusa. Come pure differente è il paradigma che può ispirare.

 

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“La Dea” o “Dea”?

Da qualche anno uso spesso questa distinzione: “Dea” senza articolo quando mi riferisco al concetto di “tutto” che lei rappresenta, e che vedrai nel dettaglio più avanti in questo manuale.

“La Dea” con l’articolo lo preferisco quando parlo di una determinata divinità, ad esempio “la Dea dell’Amore, la Dea dell’acqua”, ecc.

Sarà in ogni caso importante tornare su cosa si intenda con la parola “Dea”, per non dare luogo a equivoci che possono ostacolare la nostra ricerca teasofica.

Quindi, nella Teasofia si parla di “Dea” e delle “Dee”. In un modo preciso e peculiare che andremo via via a scoprire insieme. E si parla di come tutto ciò può influenzare il nostro modo di creare realtà.

Dopo secoli di oblio e decadi di riscoperta quasi silenziosa, siamo in un periodo di nuova fioritura della curiosità attorno a Dea e alle Dee.

Nell’era dell’accesso facile ai social, della comunicazione superficiale e immediata, noto che Dea viene sovente strumentalizzata per rivestire di sacralità le più svariate idee, per fare in modo che queste non vengano messe in discussione.

In particolare, viene tirata in ballo per resistere al cambiamento dei ruoli tradizionali di genere, come bandiera di un femminile considerato solo accoglienza, solo passività, solo discrezione e dolcezza. L'insistenza sui ruoli classici non è che un tentativo di mettere ordine nel caos dei nostri tempi, ma attraverso vecchie risposte.

Dea rappresenta qualcosa di radicalmente differente dall’idea di femminile appena descritta.

Non si limita nemmeno al solo femminile, come vedremo in seguito in dettaglio.

 

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Potenzialmente la sua peculiarità rivoluzionaria potrebbe portare istanze in grado di innescare un profondo cambiamento, personale e sociale.

Ma se si resta in superficie, associando a Dea ciò che “di pancia” ci sembra che Dea sia, ciò che faremo sarà semplicemente replicare il mondo che già conosciamo solamente attraverso nomi più graziosi e simboli che appaiono suggestivi, misteriosi e affascinanti. Ma si tratta sempre del “vecchio” che resiste.

Se devo trovare un paragone per descrivere la realtà che scorgo, è come se ciascuno suonasse lo strumento che ha in mano, senza preoccuparsi di cosa gli altri suonino, e senza preoccuparsi di affinare la sua tecnica.

Ma per creare musica è necessario coordinarsi e ascoltarsi.

Non ci sarebbe musica se non ci si mettesse d’accordo tra strumenti e musicisti diversi, e non ci sarebbe musica senza l’abilità dei suonatori.

Ecco. La melodia di Dea e delle Dee non è qualcosa di mai creato prima. E una dimensione di senso che, qualora non si voglia accettare come saggezza antica perché difficile da dimostrare storicamente, trova tuttavia parallelismi in varie culture del mondo ancora esistenti.

Ci possono essere delle variazioni sul tema di quella melodia.

Si può suonare con strumenti differenti e sempre nuovi.

Ma suonare note a caso tramite il proprio strumento e chiamarlo “Dea”, che è ciò a cui assisto sbirciando nei social, è qualcosa di piuttosto diverso. Produrre note ignorando quelle che sono già state scritte, non è fare ricerca seriamente.

Oggi un sacco di persone usano il nome Dea per definire le note già conosciute del loro strumento, senza approfondire, senza affinare la tecnica. Mi suona più come un modo per mettersi al sicuro, per difendere una personale visione del mondo anche quando portatrice di stereotipi: come accadde già in passato, qual modo migliore di rendere idee e concetti come “intoccabili” se non “spiritualizzandoli”?

E il processo che fa dire: “lo rinchiudo in dogmi così non si tocca”. Peccato, però, che non essendo Dea un essere trascendente che rivela le sue “Verità”, questo gioco non funzioni. In futuro scenderemo nel dettaglio di questo principio.

 

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La “spiritualizzazione” di questo status quo ha a che fare con la dialettica tra la certezza e il cambiamento. Si ricollega al “proprio sentire”, a ciò che qui e ora ci sembra vero o vogliamo credere vero.

Come vedremo meglio nel prossimo paragrafo, non è sufficiente “il proprio sentire”, poiché questo altro non è che una “zona di comfort”, che assorbe in misura variabile ciò che l’attuale cultura trasmette.

Per proseguire con la metafora musicale, direi che si tratta della solita scala di note, quella a cui il nostro orecchio è già abituato.

La musica che questo status quo può generare è un’emanazione da un luogo ferito, piuttosto che la colonna sonora di un nuovo umanesimo.

Invece, la melodia “della Dea” è una scala di note che non sempre si riesce a produrre nell’immediato, non è propriamente orecchiabile, difficilmente oggi troviamo una persona che ne sia abituata e appena la si ascolta può anche suonare strana.

E solo con il tempo che l’orecchio si affina, si intuisce la sua bellezza e si possono cominciare le variazioni, le interpretazioni.

Ma non prima di averla compresa e fatta propria. O il rischio è gettare al vento un'opportunità unica.

La Teasofia è un modo di imparare quella scala e quelle armonie. Ne analizza le note in dettaglio affinché chiunque le possa comprendere e farne esperienza.

 

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Il Ruolo dell'Insegnante e il Patto Andragogico

Serve dunque un patto forte per comprendere una scala musicale così nuova per il nostro orecchio. La Teasofia indicherà anche note che non si sono mai sentite, o che possono apparire stonate.

Oggi, dove a livello sistemico il diverso è così temuto da provocarci un immediato senso di rifiuto, il rischio è quello di dimenticare lo scopo dell’apprendimento.

La Teasofia è una materia da conoscere, apprendere, praticare.

La metafora della musica è calzante anche per affermare che non esiste un'unica melodia e un'unica canzone al mondo. Ma deve essere chiaro che se si decide di approcciarsi alla Teasofia, ciò che presenterò sarà lo spartito di questa materia; parlerò di come ascoltare e suonare questa specifica melodia.

È una guida verso un nuovo paradigma, dicevamo, poiché offre una cornice di senso. Si potrà accogliere in toto, parzialmente o si potrà anche rifiutare. Ma prima occorrerà capirla nella sua interezza, diventarne esperta ed esperto a tua volta.

Ecco il patto: permettimi di condividere con te questo mondo, anche laddove metterà in discussione ciò che solitamente diamo per scontato. Prova ad affinare l'orecchio, a praticare, a comprendere.

Metteremo al sicuro tutto ciò che già sai oggi e che ritieni importante perché, se lo desideri, potrai sempre tornare indietro.

Lo ripeto: se lo desideri, potrai sempre tornare indietro.

 

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Qui non si tratta di essere studentesse e studenti migliori o peggiori ai miei occhi, non hai bisogno della mia validazione. Ma di comprendere se il mondo che la Teasofia permette di costruire è desiderabile per te.

Non è una ricerca che deve rispondere al desiderio di essere “la figlia/figlio migliore” ai miei occhi e quindi non deve alimentare la ferita della nostra infanzia (che consiglio a chiunque di indagare, qualora fosse presente, perché può diventare un grosso ostacolo alla riuscita del cammino): tutto ciò è molto importante.

Deve essere un sentiero intrapreso come persone adulte che vogliono diventare agenti di cambiamento.

Spiegherò sempre al meglio della mia capacità ogni passaggio difficile. Ti guiderò a sperimentare. Le tue emozioni saranno tutte permesse, perché io stessa le ho vissute nel mio viaggio che mi ha portato fino a qui. Ma permettiti di sfidare i confini della tua zona comfort, questo è il patto che voglio fare con te, perché lo so che non sarà un viaggio sempre facile.

Giacché abbiamo tutte e tutti resistenze al cambiamento, ecco il senso dell’avere una persona che ci guida: il suo poterci condurre nei luoghi che non riusciremmo ad avvicinare da sole/i.

Quando abbiamo già introiettato un modo di osservare e classificare il mondo, ciò che sta fuori dalla nostra visione rischia di rimanere come “rumore di fondo”. Tendiamo quindi a incasellare ogni nuovo stimolo in una griglia di ordine già preimpostata.

Da sole/i è difficile destrutturare questa griglia e ricostruirla in modo coerente, per permetterci di cogliere ciò che prima non vedevamo. È ciò che accade oggi, quando chi sente per la prima volta parlare di Dea la infila in tabelle di significato già date senza accorgersi, così, di neutralizzarne il potenziale.

 

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Alcuni esempi di questi significati automatici che andremo a destrutturare: che il sacro sia diviso dal profano; che il femminile sia accoglienza e passività; che arrabbiarsi sia una cosa maschile; che Dea sia la metà femminile dell’universo, o la “moglie/compagna di Dio”; il concetto di verità rivelata; che la primaria caratteristica di Dea sia la “fertilità”...

La Teasofia serve a impedire che Dea venga tritata dal meccanismo di autoriproduzione del sistema o peggio, che venga storpiata al punto da diventare uno di questi meccanismi.

Mi sono spesso trovata a disquisire sul senso di un'insegnante, in bilico tra due tendenze opposte: a un estremo, l’interpretazione patriarcale di questo ruolo; all’altro estremo, le derive che ho incontrato e conosciuto nell'ambiente neopagano e in alcuni cerchi connessi alla Dea.

Ma inevitabilmente ogni “sentire” personale preme per manifestarsi e, senza una condivisione di direzione, porta al caos certo, al ripetersi delle ferite, a un rinforzo degli stereotipi. Affronteremo il tema nel prossimo paragrafo.

La “direzionalità” non è il male e soprattutto non è prerogativa del maschile, anzi. È da sempre una componente importante nella ritualità e nella magia nonché uno dei più antichi significati dell’arco di Diana, ben prima che questa venisse semplificata nell’epiteto “Dea della caccia”.

Non basta quindi “il nostro sentire” per dichiararci esperte/i di un percorso spirituale.

Perché quel “nostro sentire” è probabilmente pregno di tutto il significato attribuito al sacro proveniente dalla cultura in cui siamo nate/i, delle categorie di pensiero che orientano la visione del mondo della collettività attuale; in poche parole: è lo status quo e la nostra zona di comfort.

È come l’approcciarci a una nuova macchina in palestra utilizzandola come ci va, senza indicazioni sulla corretta esecuzione dell’esercizio.

Data di Pubblicazione: 11 agosto 2022

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