Lasciati guidare dall'Ordine Divino
Il mondo sei tu
"Sei mia madre? Non bere sul bordo dell’acqua, tuffati dentro. Diventa l’acqua. Solo allora la tua sete sarà placata."
Jeanette Berson
Anni fa rimasi affascinata da un delizioso libretto intitolato Are you My Mother? (Sei mia madre?), la favola di un uccellino che esplora il mondo alla ricerca della sua casa. Non si può certo dire che facessi parte del target di bimbetti per il quale era stato concepito!
Ma dato che io vivo alla mercé di una mente in continua metamorfosi, il libro esercitò su di me un fascino inaspettato. Da brava appassionata del Divino Femminino, vidi in esso una delle tante manifestazioni della Dea che risplende in ogni cosa. Che si tratti di Guadalupe, Durga, Lakshmi, Quan Yin, o di colei che in India è chiamata in tono riverente Shakti, non posso fare a meno di amare la Madre.
Ho riflettuto su come molti di noi corrano di qua e di là in modo forse inconsapevole, cercando ovunque la Dea. Scandagliamo senza tregua il mondo dicendo: «È questa la mia destinazione? Posso appoggiare per terra il mio fardello? Sono in salvo? Posso finalmente rilassarmi?».
Eppure una parte di noi sa che nessun individuo o luogo in questo universo di precarietà potrà mai offrire quel tipo di rifugio. Tutto va e viene, anche ciò che ci è più familiare. Tutto ben presto confluisce di nuovo nell’oceano dell’esistenza, come le sabbie iridescenti multicolori dei mandala.
In mezzo a questa infinita fantasmagoria di cambiamenti, si può imparare ad affidarsi al Divino come a una zattera in alto mare. Tutte le cose emanano dall’Uno; tutte le cose ritornano all’Uno. Anziché aggrapparsi a un’illusione individuale di salvezza, la mente può imparare a trovare il Divino e la Sua protezione in ogni situazione.
È allettante l’idea di trovare la salvezza in un particolare tipo di lavoro, stile di vita o relazione, però poi diventiamo rapidamente schiavi di ciò a cui ci attacchiamo maggiormente.
Quando invece si trasforma il Divino nella propria Fonte, ci si muove nella vita con facilità e leggerezza, a mani aperte. Si permette a ogni desiderio di venire, a ogni desiderio di andarsene.
Tanto le vittorie, quanto le sconfitte, hanno uno strano tipo di Provvidenza.
Di conseguenza, ogni evento e ogni persona possono effettivamente diventare... la vostra Madre.
E se Dio fosse tutti noi?
"E se Dio fosse uno di noi, un semplice estraneo sull’autobus?"
Joan Osborne
"I marciapiedi sono lastricati di cartoline inviate da Dio."
Walt Whitman
Una volta fui contattata da una di quelle società online che inviano messaggi spirituali quotidiani. Avete capito di cosa parlo: ogni giorno si riceve una frasetta striminzita su pace, appagamento o meditazione. Cercavano nuovi scrittori e, non si sa come, si sono imbattuti in me.
L’editor chiese alcune frasi di prova e io accettai senza problemi. Poco dopo ricevetti una telefonata dai toni piuttosto concitati.
«Mi scusi, ma cosa sono tutte queste storie?» chiese la donna con voce carica di tensione. «Noi volevamo concise Verità universali in cui la gente possa riconoscersi. La nostra organizzazione parla di Dio, non di tutti questi dettagli irrilevanti. Se vuole scrivere per noi, eviti i personalismi».
Non potevo farlo. Già da bambina adoravo i racconti sul Divino nella vita «normale». Li collezionavo ossessivamente, proprio come si collezionano i vini rari o le Barbie. Ero letteralmente rapita da qualsiasi storia che riguardasse miracoli o strane sincronicità. Con il passare del tempo, il Divino e le vicende terrene si sono completamente interconnessi nella mia mente. Uno e identico.
Perciò risposi: «Beh, e se Dio fosse la storia? E se il Divino accendesse costantemente segnali luminosi ai margini della strada per attirare la nostra attenzione? E se davvero ci fosse un Principio Supremo Organizzatore con un senso dellumorismo sfrenato e volgare? E se ognuno di noi avesse un fervente corteggiatore interiore che ogni giorno scrive lettere d’amore che spesso non vengono neppure lette?».
Lei disse che doveva andare.
Forse è stato meglio così. Alcuni gruppi spirituali credono che, mentre evolviamo, tutti i dettagli della nostra individualità a poco a poco sfumino in una bianchissima, sterile monotonia. Ogni tipo di unicità è liquidato sprezzantemente come «ego». È evidente soprattutto quando i membri si adeguano pedissequamente alla medesima idea di spiritualità; lo stile personale, il linguaggio e l’originalità sono eliminati o puniti. Il risultato è una figura inquietante, univoca, come fatta con lo stampino, che ricorda le mogli perfette di Stepford.
E l’altra via? Potrebbe essere la chiassosa celebrazione della diversità di Dio, proprio come in natura. Pensate a un campo lussureggiante di fiori selvatici che, ogni volta in primavera, sboccia in tutta la sua maestosità: tanti fiori uno diverso dall’altro, coloratissimi e sgargianti.
Basta vedere i santi e i mistici della storia, tutti eccentrici e assolutamente unici, dal primo all’ultimo. Del tutto indifferenti alle regole spirituali scritte nei libri, erano arsi dal desiderio di conoscere la pura verità delle loro anime.
Molti appassionati di Gesù ammettono che era un sobillatore senza peli sulla lingua, uno che probabilmente non avrebbe potuto varcare la soglia della maggior parte delle chiese moderne. Il santone indiano Zipruanna viveva sopra un cumulo di immondizia, mentre il mistico Lalleshwari camminava per le strade di Calcutta seminudo e pervaso da un amore folle per il Divino. La dea buddista Tara nacque quando i monaci dissero a una combattiva principessa che, in quanto donna, non avrebbe potuto raggiungere l’illuminazione. Lei dimostrò loro che si sbagliavano compietamente e divenne in eterno un Bodhisattva.
E se quindi fossi Tu la massima espressione del Divino individuale, proprio Tu come sei in questo momento, in tutta la tua gloria piena, autentica e ferita?
Pensaci su.
Il mondo sei Tu
"Tutte le separazioni, ogni forma di distacco e di alienazione sono falsità. Tutto è Uno: è questa la soluzione definitiva di ogni conflitto."
Nisargadatta Maharaj
Vedere il mondo come un Tu è un modo per staccarsi da un’esagerata considerazione di sé, quella che i buddisti definiscono «adorazione di sé». L’ho imparato nel più strano dei modi, ovvero attraverso l’aracnofobia (la paura dei ragni) che mi porto dietro da una vita. Potrei definirlo «il mio terrore» per i ragni in via di lenta attenuazione.
A quanto ricordo, i ragni mi hanno sempre terrorizzato. Se erano più grandi di un quarto di dollaro, apriti cielo: scappavo fuori dalla stanza strillando come una bambina di sei anni. Non so dire quante volte ho disperatamente pregato un amico o un compagno di buttarne fuori uno. In compenso ne so abbastanza da non ucciderli.
Una volta un medium ha avanzato l’ipotesi che in una vita precedente io sia morta in una vasca piena di ragni, in pieno stile Indiana Jones. Che immagine affascinante! Ma in effetti chi può dirlo con certezza?
Alcuni anni fa, in India, stavo assistendo a una cerimonia speciale con il fuoco in onore di Lakshmi, l’amata dea della bellezza e della salute. A un certo punto un ragno grande come un mandarino cinese zampettò sulla mia mano. Emisi un rantolo e lo schiacciai.
Uno dei preti Hindu mi staccò quasi le orecchie a suon di urla: «Ma cosa fai?? Mahalakshmi Stessa ti stava dando il suo darshan, la sua personale benedizione. Sei impazzita?.». Poi si rivolse a un altro monaco e mormorò: «Te l’avevo detto che non avremmo mai dovuto far partecipare questi stupidi americani alla cerimonia».
Quel fatto mi fece riflettere.
Qui ci sono io che proietto tutte le mie paure su questa povera creatura, e lì c’è lei, la Dea in persona, che viene a benedirmi.
E se Lei fosse una parte rinnegata di Mei
Pregai intensamente di guarire dalla mia paura.
Una notte ero a letto, pronta a spegnere la luce, quando all’improvviso vidi sulla parete un ragno grande come una pallina da golf.
Terrore, sudore, polso a mille.
Poi pensai: «Su dai, perché non provi a parlargli?».
«Senti», cominciai a dire in modo esitante. «Sono contenta che tu sia venuta a trovarmi, oltretutto una visita di così buon auspicio nella mia camera da letto». Trassi un profondo respiro , tentando di calmarmi. «Quindi ti dico subito, nel caso l’idea ti preoccupasse, che non ti farò del male. Finalmente so chi sei». La fissai con tutto l’amore che ero in grado di esprimere per qualcosa che da sempre aveva abitato i miei incubi.
Quindi continuai: «Tuttavia sarò sincera: ho davvero molta, molta paura di te. A pensarci bene, mi chiedo: anche tu sei un po’ spaventata?». L’idea contribuì a calmarmi tantissimo.
Trassi un altro profondo respiro. «Voglio dirti una cosa, mia adorabile Dea: questa stanza è molto grande. Cosa ne dici di prendere tu il soffitto e io il letto? Per favore rimani lì, caro Tesoro dalle molte zampe, e vedrai che passeremo una bellissima notte».
Forse fu un caso, forse no. Ma nel momento stesso in cui terminai il discorso, il ragno cominciò a salire sul muro e si acquattò in un angolo buio del soffitto. Ritrasse le zampe e divenne un’ombra confusa a malapena visibile.
Gli augurai buona notte e mi addormentai tranquilla.
Il mattino dopo non c’era più.
In seguito, quel giorno, ricevetti un’e-mail dalla mia amica Erin. Senza un motivo particolare mi aveva inviato un pezzo che aveva appena scritto... sull’aracnofobia.
Disse che era legata al timore della propria forza spirituale.
Eh sì, proprio così.
Chi c’è là fuori se non il nostro Io?
Reincarnazione, amore e Gesù
"Ci sono baci che desideriamo per tutta la vita, il tocco dello Spirito sul corpo."
Rumi
Il concetto di vita passata mi è sempre parso molto sensato. In quale altro modo potremmo spiegare per quale motivo, in determinate situazioni, si percepiscano una persona o un luogo come straordinariamente familiari? O come talenti fenomenali emergano senza insegnamenti? Come ha potuto Mozart comporre sonate all’età di sette anni? O una ragazzina a Londra cantare arie quasi senza insegnamento? E come ha potuto una newyorkese di mia conoscenza girare da subito Parigi «a naso» senza una cartina?
Una volta ho fatto un consulto a una donna giapponese cresciuta con una passione sfrenata per il tango. Da bambina, nei dintorni di Kyoto, aveva trovato un album appassionato che salvò il suo equilibrio psichico. Dopo essersi trasferita per studio in Argentina fra i venti e i trent’anni, ha viaggiato in tutto il mondo come ballerina e insegnante. Ricordo che mi disse: «La mia anima latina, caldissima e appassionata, è nata nell’umido e freddo Giappone».
Tutto ciò spiega la mia storia d’amore con Gesù.
Eccomi qui, nata in una bella e retta famiglia ebrea, con ben tre zii e tre cugini rabbini. Ciò nonostante, ho sempre nutrito un amore intenso e profondo per Lui. Attenzione, non ho mai voluto convertirmi al Cristianesimo... né peraltro a qualsiasi altra religione.
Semplicemente Lo amavo.
Molti anni fa, in una sala del Greenwich Village, ho visto il film Agnese di Dio. In una scena straordinaria, ancora impressa nella mia psiche, Meg Tilly prende i voti distesa sul pavimento di legno del convento, cantando in tono estatico: «Io sono La sposa di Cristo, io sono la sposa di Cristo». Ho ancora in mente la sua testa rasata, lo scintillante anello d’oro da sposa, le vesti scure. Ero scossa da un tremito incontrollabile, singhiozzavo, ero sommersa dai ricordi. Quale altra spiegazione dare, se non che in una vita passata sono stata una suora?
Cavoli, sono cresciuta andando alla scuola ebraica per tre giorni alla settimana e ho perfino ricevuto il Bat Mitz-vah, eppure mi ritrovai in quella sala scossa nel profondo dall’amore per Gesù, simile a un ciclone. Piangevo così forte che la donna seduta accanto a me mi lanciò un’occhiataccia e cambiò fila.
Così, ogni Natale, metto fili d’argento, palline e luci scintillanti su un piccolo albero argentato in salotto. Questo fatto, da solo, sarebbe bastato per creare shandah, ovvero scandalo, nella mia infanzia. Non solo: ogni Venerdì Santo rimanevo seduta per ore nella Grace Cathedral di San Francisco. Quando il giorno sacro coincide con la Pasqua Ebraica, vado da David’s Deli in fondo alla via per un brodo di pollo con polpettine di matzo.
Ma il mio cuore è su quella croce.
Tuttavia è anche con Buddha, il Signore Shiva, Ganesh, Kali, la Shekhinah e con ogni altra splendida, scintillante, affascinante, ipnotizzante, inebriante forma di Amore Divino verso cui sono attratta quotidianamente come se fosse una fiamma.
Perciò bacio le statue sul mio altare e lavo i loro piedini con l’acqua di rose. Preparo per loro delle piccole collane di perle e ametiste. Le nutro con mandorle, arance e talvolta perfino cibo cinese Sichuan.
Eh sì: per quanto riguarda Dio, sono assolutamente, completamente e pazzamente dedita al poliamore.
A dir la verità, non penso che a Gesù importi poi molto.
Direi neanche un po’.
Questo testo è estratto dal libro "Chiedi all'Universo".
Data di Pubblicazione: 3 ottobre 2017