Riscopri il vero significato del "Cibarsi" come gesto di unione con l’anima e con Dio, leggendo l'anteprima del libro di Selene Calloni Williams.
Il Cibo Sacro
Viviamo in una società desacralizzata, ma solo alcuni si soffermano a riflettere su cosa significhi veramente essere parte di un mondo che ha dimenticato il sacro.
Uno degli effetti più eclatanti della perdita del sacro nella vita quotidiana è nella reductio ad objectum di ogni cosa, anche di ciò che all'origine era più sacro, come il cibo e il corpo.
Il corpo diventa un insieme di organi, considerati come oggetti materiali che obbediscono a leggi meccanicistiche di causa ed effetto, e il cibo che lo nutre è mera sostanza organica dotata di proprietà da un lato e intrisa di pericoli dall'altro.
In questa visione di noi e del mondo, nulla è senziente, capace, cioè, di reazione volontaria e cosciente, mentre tutto è considerato un oggetto che sottostà alle leggi della ragione.
In una civiltà desacralizzata la razionalità è padrona dell’uomo. Se un'energia emotiva "buca" lo spazio mentale e proietta la coscienza al di fuori della propria lettura razionale della realtà si produce uno stato che, senza esitazione, viene definito follia o "malattia sciamanica".
La rottura dei consueti schemi mentali per intraprendere il viaggio verso un'esistenza eccezionale potrebbe essere letta come un tentativo di "vedere" oltre la mente, ma nella nostra società si è più inclini a considerare patologico ciò che esce dai parametri della normalità. E, in quest'ottica, l’esperienza mistica non ha valore, è un'anomalia del sistema mentale, qualcosa che la specie non può tollerare e viene sedata.
Il risultato della reductio ad objectum è la perdita del valore simbolico delle cose e delle azioni. Smarrire il significato simbolico di eventi come l’atto del cibarsi ci porta a essere travolti dalle nostre stesse azioni, che in questo modo non risultano più comprensibili né gestibili.
Cosa mangiare?
La mente razionale presume di avere il controllo sulla vita, ma non ce l’ha. Cosa mangiare? Come mangiare? Quanto mangiare? La mente ha sempre la risposta ma la trova in sé stessa.
Alla luce della sua lettura meccanicistica e materialistica della realtà, la mente presume, per esempio, di sapere cosa mangiare sulla base delle proprie conoscenze scientifiche e razionali, senza confrontarsi con il vero corpo e con il vero cibo.
Così il corpo e l’istinto molto spesso si ribellano e, malgrado la mente avesse previsto che l'ideale per oggi sarebbe stato digiunare, abbiamo finito per abbuffarci di biscotti al cioccolato, con il risultato che questo scollamento tra mente e corpo è fonte per noi di frustrazioni, pentimenti e sensi di colpa.
Le teorie universalistiche, cioè uguali per tutti, ideate dalla ragione si contrappongono alla diversità insita nella natura, la quale sfugge continuamente agli sforzi di ingabbiarla per comprenderla.
Le teorie sull’alimentazione conquistano il grande pubblico, peccato che, in quanto teorie mentali, non riguardino mai il vero corpo, la vera materia, il vero cibo.
Nel territorio della vera conoscenza, quella autentica, vige la legge naturale dell’unicità e dell’irripetibilità dell’attimo presente, perciò, nulla che sia vero adesso sarà altrettanto vero l’attimo successivo e nulla che sia vero per qualcuno può essere altrettanto vero per qualcun altro.
La sophia e il sophòn
Seguire una teoria sull’alimentazione universale è rischioso perché si tratta, appunto, di una teoria, uno schema che mal si accorda con le nostre vere esigenze.
Eppure, siamo invasi da tabelle: nome, età, altezza, peso, lavoro, stile di vita, movimento, attività sportiva, orario del sonno, orario della sveglia, della colazione, orari per qualsiasi cosa. C'è una volontà di correggere i nostri lati oscuri e questo indirizzo non può portare a un reale benessere perché l'oscurità è parte dell'anima.
Peggio ancora quando le teorie non si limitano a occupare il campo della biologia, ma invadono anche la psicologia, sotto il nome di terapie.
Ecco allora che l’anima si sente osservata dall’occhio di un domatore di cavalli mentre lei è indomita e tale vuole restare.
L'anima è ombra, notte, femmineo, oscurità, che non è assenza di luce. La ragione vuole sempre correggere l’anima, tanto che la terapia è ormai diventata lo strumento principale per convincerci che nell'anima e nelle sue immagini vi è sempre qualcosa di sbagliato o di malato da curare.
Ma, al di là di tutte le teorie, esiste una vera conoscenza per l'essere umano. Possiamo distinguerne due aspetti, ricorrendo anche alla terminologia greca: la sophia, ovvero il senno, la sapienza come attitudine mentale, e il sophòn, il sapere inteso come conoscenza di nozioni o fatti.
Il simbolo e il cibo
Quando si tratta di cibo e di alimentazione, ciascuno dovrebbe essere in grado di attingere direttamente alla sophia, cioè da quella forma di conoscenza che si rende azione immediata, in cui conoscere e fare sono la stessa cosa.
Se invece ci affidiamo al sophòn c'è sempre un'enorme distanza tra ciò che si sa e si vorrebbe accadesse e ciò che, invece, accade.
Recuperare la sapienza significa ritrovare il sacro, l'aspetto invisibile delle cose e delle azioni, il loro significato simbolico. La parola "simbolo", infatti, ha in sé la radice del verbo greco symbàllo con il significato di "mettere insieme", "far coincidere".
Se una carota, una mela sono simboli, significa che hanno il potere di riconnetterci con qualcosa da cui ci siamo separati. Affermare che l’azione del cibarci è simbolica indica che quest’azione deve portarci a qualcosa con cui combaciare: mangiare è un viaggio di riunificazione.
Mentre il sophòn si acquisisce attraverso l’analisi mentale, procedendo dalle conoscenze che la mente ha già per acquisirne di nuove, la sophia non si può che ottenere attraverso l’esperienza. Il cammino della sapienza è dunque empirico, i risultati si ottengono attraverso rituali che mettono in comunicazione la coscienza con ciò che è oltre la mente.
Il rituale sacro
Il cammino del sophòn è invece analitico, si svolge nella mente, le prove di conferma vengono acquisite all’interno della mappa mentale della realtà, non nel vero territorio; si basano sull’osservazione di ciò che la mente conosce, non della vera materia, non del vero corpo.
Il rituale sacro ci consente di dialogare con l’invisibile, con ciò che la mente non coglie, con il mistero del divino. Ed è da lì che arrivano le risposte, non sotto forma di concetti o di teorie ma di possibilità.
Se vogliamo costruire un'intelligenza artificiale o sviluppare le competenze necessarie a operare con le criptovalute, probabilmente il sophòn ci sarà indispensabile, però quando si tratta di cibo, di alimentazione, di vita e di salute dobbiamo muoverci nel vero territorio, che non è mai il luogo dell’oggetto sostanziale, ma è il regno della vacuità.
Non esiste una realtà vera, ultima, che non sia la vacuità. Esistere, in quanto desiderio di esserci, di darsi, di offrirsi di amare, è uno stato di pura possibilità, in cui tutto fluisce e nulla è afferrabile, tutto è sostanzialmente vuoto, cioè aspirazione, desiderio di manifestarsi.
Data di Pubblicazione: 12 marzo 2024