Impara come comportarti nelle conversazioni con gli altri per evitare incomprensioni e conflitti, leggendo l'anteprima del nuovo libro di Christel Petitcollin.
Come comportarsi nelle conversazioni di circostanza
Nel piccolo sondaggio che ho condotto per sapere che cosa vorreste capire del mondo normopensante, una richiesta ha superato tutte le altre: perché le conversazioni quotidiane sono così noiose?
È emerso che ciò che più vi esaspera è il tempo sprecato in chiacchiere inutili, in discorsi vuoti su argomenti tediosi. Le conversazioni sterili e stereotipate su temi banali vi risultano intollerabili. La vostra obiezione è: "Non riesco a parlare senza dire nulla. Mi annoio, mi viene voglia di mettermi a urlare in mezzo a tutto quel cicaleccio".
Quindi mi pare opportuno iniziare il nostro viaggio nel mondo dei normopensanti prendendo in considerazione questo aspetto della comunicazione.
Gli aggettivi che in genere usate per descrivere questo tipo di conversazioni sono: noiose, fastidiose, piatte, monotone, futili, vacue e, soprattutto, insopportabili! Il mio obiettivo è insegnarvi a considerarle tranquille, serene, rassicuranti, rilassanti e, soprattutto, innocue! Parlare di tutto e di niente in modo superficiale infatti evita un sacco di problemi. Ecco quali sono i principali vantaggi dei discorsi generici.
Innanzitutto, evitare le discussioni
Durante una cena tra amici, uno degli invitati, una persona adorabile ma che quella sera era un po’ alticcia, a un tratto ha cominciato a criticare un famoso cantante che, evidentemente non pago del suo successo, per "fare soldi" aveva lanciato una canzone che grondava buoni sentimenti.
Quel pezzo tanto melenso quanto opportunista era, a parer suo, una presa in giro per i fan. Stupidamente, considerato il tasso alcolico del mio interlocutore, io ho iniziato a discutere, dicendogli che lo scopo delle canzoni è proprio suscitare emozioni positive.
Lui insisteva che si trattava solo di un'operazione commerciale. Più io ribattevo, più lui si infervorava. Alla fine è intervenuto il padrone di casa che, con una battuta, ha cambiato abilmente argomento. Il mio avversario si è placato subito; quanto a me, ero solo riuscita a innervosirlo. Però ho imparato la lezione: non serve a niente avere ragione.
Immaginate di cominciare una discussione su un qualsiasi argomento sensibile: istruzione, politica, clima, distribuzione della ricchezza... Avete idea di quello che potrebbe scatenare?
Tutti abbiamo un'opinione personale su simili argomenti, molto più emotiva che razionale. Ecco perché bastano poche battute per scatenare una rissa. Credete davvero che possiamo convincere una persona a cambiare la propria opinione? Se è così, vi sbagliate.
E stato dimostrato che qualsiasi azione di contro-propaganda non fa che rafforzare la convinzione iniziale di un individuo. Che senso ha discutere, con l’unico esito di surriscaldare gli animi e rovinare i rapporti tra le persone?
Tanto vale restare sul vago ed evitare gli argomenti controversi.
Dopotutto, immagino che quel famoso cantante abbia davvero fatto un sacco di soldi con quel pezzo così sdolcinato!
Un altro esempio possiamo trarlo dai social. Non siete anche voi disgustati dalla violenza di certe discussioni in rete? Ebbene, se pubblicherete sul vostro profilo solo gattini e altre cose carine, riuscirete a ottenere l'approvazione di tutti senza offendere nessuno. È esattamente questo lo spirito delle conversazioni neutre.
Non guastare l'atmosfera
Non amando le conversazioni neutre, gli ipersensibili tendono a prediligere argomenti "impegnati" e ad aprire veri e propri dibattiti su temi come il fine vita, l'ecologia, la corruzione delle classi dirigenti... L'atmosfera di una serata a quel punto registra un brusco cambio. Per chi è andato a una grigliata solo per rilassarsi, le persone ipersensibili rappresentano un'autentica calamità.
Per esempio, quando a una festa o a una cena qualcuno mi chiede che cosa faccio per vivere, se rispondessi onestamente di sicuro rovinerei la serata. Si finirebbe a parlare soltanto di individui manipolatori e dei soprusi che si fanno a vicenda.
Passerei il tempo a dare consulenze gratuite agli ospiti, perché tutti conosciamo almeno un manipolatore che ci rovina la vita con le sue angherie. Risultato? Ore di lavoro extra per me! Mi ci è voluto molto tempo per capirlo.
Così ora cerco di eludere la domanda: "Oh, questa sera non voglio parlare di lavoro! Siamo qui per divertirci!" e mi affretto a cambiare argomento... Un amico commercialista mi ha consigliato: "Perché non dici che fai la commercialista? Vedrai, nessuno vorrà approfondire". Non ci ho ancora provato.
Evitare il contagio emotivo
Per anni ho lavorato come formatrice per una rete di dirigenti. Tenevo seminari per gruppi già consolidati, i cui membri si conoscevano bene e andavano d’accordo. Mi piaceva molto l'atmosfera che si respirava in quelle giornate di formazione.
Quei manager avevano valori comuni — in particolare riguardo all'idea di management "umano" — ed erano tutti belle persone, ma il calore di quei gruppi era davvero straordinario.
Li osservavo e li ascoltavo soprattutto durante le pause caffè, sperando di scoprire quale fosse il "cemento relazionale" che li teneva uniti. Le loro conversazioni suonavano innocue, banali, informali. Un vero mistero!
Un giorno, un gruppo che trovavo particolarmente affiatato chiese a una partecipante ragguagli sul suo impegno in politica. La domenica precedente si erano tenute le elezioni municipali nel suo comune e lei si era candidata a sindaco.
Rispose loro che era stata sconfitta e cominciò a raccontare come il suo avversario avesse condotto la propria campagna elettorale non facendo altro che ricoprirla di insulti. Era chiaro che avesse vissuto un'esperienza molto dura, ed era ancora profondamente turbata e arrabbiata.
Tuttavia, gli altri non diedero troppo peso alla cosa, le augurarono buona fortuna per la prossima volta e passarono in fretta a un altro argomento. Vidi l’interessata trattenere a stento le lacrime e subito dopo unirsi di nuovo a quella conversazione generica, rinunciando a sfogarsi e a parlare della sua situazione personale.
All'epoca, pensai che i membri di quel gruppo si fossero comportati in modo crudele e che in sostanza avessero abbandonato quella donna al suo destino. Anche voi forse la pensate così! Se foste stati lì, scommetto che avreste abbracciato quella persona ferita, l’avreste incoraggiata a confidarsi, a esprimere tutta la sua sofferenza, l’avreste confortata; alcuni di voi avrebbero criticato risolutamente l'avversario scorretto...
Ma quello non era il posto giusto: avreste rovinato l'atmosfera della giornata. In seguito, mi sono resa conto che quei gruppi erano così solidi proprio perché non erano gravati dalle preoccupazioni personali dei singoli e discutevano delle questioni professionali nei "laboratori di risoluzione" che avevano creato.
Stavano tutti molto attenti a mantenere l'atmosfera serena, allegra e rilassata.
Nella magnifica canzone "La vie d'artiste", Christophe Maé dice:
La vita è un palcoscenico, quindi recito la mia parte:
dico che va tutto bene malgrado gli ostacoli.
La mamma mi diceva: Non sbottonarti mai troppo,
ragazzo mio,
non piangere è avere tatto.
Sorridiamo, così non saremo più tristi.
Possiamo travestirci, siamo tutti artisti...
Un altro scoglio tra normopensanti e iperefficienti è, per esempio, la domanda "Come va?" I secondi rimproverano ai primi di chiederlo senza poi voler davvero ascoltare la risposta, se non è quella che ci si aspetta. Tuttavia, bisogna capire che quella non è una vera domanda.
È una frase fatta, per iniziare una conversazione senza rivolgersi all’interlocutore in modo troppo diretto e brutale. No, non è ipocrisia: è buona educazione. Ed è buona educazione rispondere: "Bene, grazie!" senza approfittarne per mettere in piazza la propria vita, perché ognuno ha i suoi problemi e non è giusto scaricare i propri sugli altri.
La mamma di Christophe Maé ha ragione: non bisogna sbottonarsi troppo, e trattenere le lacrime è sinonimo di tatto. Così, quando qualcuno vi chiede "Come va?" considerate la domanda come una formula magica che vi suggerisce l’atteggiamento giusto: è il momento di raddrizzare la schiena, fare un bel respiro, mettere da parte i vostri malumori e partecipare alla conversazione con cordiale neutralità.
Uno dei modi in cui quei gruppi di formazione per dirigenti cancellavano le loro emozioni era cominciare la giornata con un "bollettino meteorologico emotivo", in cui a ciascuno era concesso lo spazio per dire: "Oggi sono di umore solare, nuvoloso, nebbioso o tempestoso perché..."
In poche parole, un modo per dichiarare il proprio stato d’animo e poter proseguire senza parlarne più. Quello del bollettino meteorologico emotivo è uno strumento molto efficace che può essere usato fin dall’asilo e funziona altrettanto bene in campo professionale.
Il contagio emotivo in un gruppo è dannoso tanto per le emozioni negative — malinconia, paura, per non parlare del panico o della collera, capaci di scatenare vere e proprie rivolte — quanto per quelle positive — euforia o giubilo — e può ingenerare reazioni incontrollate tra la folla: tribune che crollano, persone intrappolate sotto un ponte che finiscono calpestate, o peggio ancora una massa di invasati con il braccio teso che grida: "Hei!"
Evitiamo quindi di contagiarci a vicenda con i nostri stati d'animo. Come stai? Bene, grazie! E tu? Anch'io.
Tutti abbiamo dei problemi
Prendiamo l'esempio di un uomo che cade da un grattacielo. Mentre passa davanti al decimo piano, potrebbe pensare: Fiuuu! Finora tutto bene. È un caso limite, certo, ma il messaggio è che, quando ci chiediamo come vanno le cose, possiamo dirci in modo del tutto obiettivo che stanno andando bene, se ci concentriamo sugli aspetti positivi della nostra vita (e ce ne sono sempre), o che non stanno andando bene per nulla, se ci concentriamo sui problemi temporanei e sul nostro stato emotivo in quel preciso momento.
I neurotipici sono dotati di sufficiente saggezza e buonsenso per sapere che i problemi e la felicità vanno e vengono, e che, anche quando ci sono, non sono duraturi. La famosa "via mediana" predicata dal buddismo consiste nell’accogliere gioie e - dolori con discernimento e lungimiranza. Proviamo a chiederci: Che cosa resterà di tutto questo tra centocinquant’anni? Che cosa resterà domani di ciò che oggi mi abbatte o mi entusiasma?
Dietro a questo meccanismo esiste una vera e propria filosofia, che consiste nel tenere per noi i nostri problemi quando siamo in mezzo alla gente e parlare d’altro. Dobbiamo partire dal presupposto che tutti abbiamo le nostre preoccupazioni e che non dobbiamo buttarle addosso a chi ci sta attorno.
Ogni membro è corresponsabile dello stato emotivo dell’intero gruppo. Capite bene che, se riversaste sugli altri le vostre emozioni, alterereste l’umore collettivo. Questo è il motivo per cui i normopensanti vi considerano dei piantagrane. Non condividere i vostri assilli è un regalo che fate agli altri. Evitate di contagiarli emotivamente, anche con la vostra euforia.
Data di Pubblicazione: 2 maggio 2022