SALUTE E BENESSERE   |   Tempo di Lettura: 6 min

Scopriamo Assieme come Funziona la Memoria e il Cervello che la Contiene

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Anteprima del libro "Saggezza Interiore" di Mario Bendin

Ma la memoria dov'è?

La chiamano «materia grigia». Sono centomila miliardi di fibre, diecimila miliardi di contatti (sinapsi), dieci miliardi di neuroni (cellule nervose). In questo chilo e mezzo di corteccia cerebrale (una buccia di rivestimento dei due emisferi in cui è diviso il nostro cervello) sono racchiusi i prodigi del pensiero, delle parole, dei ricordi, delle idee e dei sentimenti. Detto questo, il pianeta cervello sembra non offrirsi facilmente alla esplorazione di neurofisiologi, genetisti, biologi, psicologi e psichiatri.

Datano soltanto agli anni '50 i più seri tentativi di localizzare la sede della memoria. Ma è proprio Karl Lashley, dopo aver dedicato la vita alla neurofisiologia della memoria, ad ammettere: «Riesaminando il problema della localizzazione dei ricordi, talvolta ho l'impressione che si debba per forza concludere che l'apprendimento non è in alcun modo possibile. Eppure, contrariamente a ogni previsione, l'apprendimento avviene».A questa deludente conclusione fa eco quella, altrettanto sconcertante, dello psicologo statunitense Edwin G. Boring che si chiede: «Dove e come il cervello immagazzina i propri ricordi? Questo è il grande mistero. Come può sussistere, senza essere in qualche modo riprodotto, qualcosa di appreso che, mentre aspetta, viene modificato dagli apprendimenti successivi? Al momento giusto, ciò che è stato appreso ricompare un po' modificato. Dov'era nel frattempo?».

Nell'ippocampo, sostengono alcuni, cioè in quella struttura profonda del cervello situata nella parte medio-basale del lobo temporale. È stato infatti osservato che questa zona, oltre a controllare l'olfatto e il gusto, seleziona altre informazioni sensoriali, inviandole in un archivio sconosciuto dove vengono conservate a breve o a lungo termine. Una prova viene da alcuni esperimenti condotti su animali e persone: quando l'ippocampo viene asportato o subisce una lesione, si riscontra subito, e per un certo tempo, l'incapacità di memorizzare avvenimenti nuovi. Anche il neurologo canadese Wilder Penfield, curando pazienti con focolai epilettici nel lobo temporale, si imbatté in fenomeni di localizzazione della memoria. Notò che, mettendo degli elettrodi in contatto con la superficie laterale o superiore del lobo temporale, questa stimolazione faceva sì che il paziente liberasse dei ricordi: suoni, volti, parole, lontani episodi della vita. Per Penfield questo dimostra, come lui stesso ebbe a dire, che «l'engramma [traccia organica, base fisiologica della memorizzazione, lasciata da un processo mentale, N.d.R] una volta registrato, viene interamente conservato nel nostro encefalo, anche se il soggetto non è sempre in grado di recuperarlo».

Altri studiosi al contrario, non essendo stata individuata un'altra zona con compiti specifici, ritengono che la sede della memoria sia diffusa in tutta la corteccia cerebrale.

Ma vale la pena di accennare qui a un'altra teoria ricca di implicazioni pratiche per l'addestramento mnemonico. Secondo il premio Nobel (1981) Roger Sperry, i due emisferi cerebrali hanno un funzionamento differenziato: il sinistro è specializzato nelle funzioni razionali, attivate allo stato di veglia (ragionamenti, astrazioni, analisi, parole ecc.); quello destro invece a quelle di carattere emotivo (intuizioni, percezioni mimiche, musicali, visivo-spaziali, immagini, fantasie ecc.) corrispondenti allo stato di dormiveglia, di ipnosi, di relax totale, quello stato in cui il cervello rivela nell'elettroencefalogramma le cosiddette onde alfa (frequenza da sette a dodici cicli al secondo). «Ciò che emerge... è che sembrano esistere», precisa Sperry, «due modalità di pensiero, una verbale e una non verbale, rappresentate rispettivamente dall'emisfero sinistro e dall'emisfero destro, in maniera piuttosto autonoma, e che il nostro sistema educativo, così come la scienza in generale, tende a trascurare la forma non verbale di intelligenza». Visualizzare dunque concetti astratti, pensare per immagini, conoscere una cosa percependola con i cinque sensi, anziché limitarsi a «pensarla», sono tanti modi per attivare l'utilizzo della parte destra del cervello, quella più aperta a soluzioni originali e creative.

Come funziona la memoria

La registrazione mnestica è il risultato di una reazione elettrica e di un processo biochimico che avvengono nel cervello. Alla base di tutto ci sono i neuroni, cellule nervose formate da un tratto allungato detto assone dal quale partono degli impulsi, e dai dendriti, prolungamenti ramificati che diffondono l'impulso agli altri neuroni. Ognuno di questi si comporta così come un cervello in miniatura, in pratica come una piccola ricetrasmittente. Gli impulsi elettrici emessi dal neurone si propagano attraverso le sinapsi (spazi esistenti fra i dendriti e gli assoni) mediante speciali sostanze chimiche, prodotte dai neuroni stessi, chiamate neurotrasmettitori o mediatori - sono circa quaranta, tra cui la noradrenalina, la dopamina, l'acetilcolina - e in questo modo il cervello codifica, classifica, archivia ed elabora informazioni. Perciò, spiegano oggi i neurofisiologi, a ogni memorizzazione corrisponde una modificazione chimica delle cellule cerebrali. «Se una quantità sufficiente di sostanza chimica raggiunge il successivo neurone, questo a sua volta emette un impulso» spiega Eric Kandel, della Scuola di medicina e chirurgia della Columbia University di New York, che con la sua équipe ha studiato i processi dell'apprendimento, della memoria e del ricordo in un organismo semplice come l'Aplysia, una lumaca marina. «Se invece la sostanza chimica che passa tra un neurone e l'altro è troppo poca, il secondo neurone produce un debole segnale o non ne produce affatto». Quest'ultimo caso si verifica nei momenti di assuefazione, di ripetitività, nella mancanza di forti emozioni. Al contrario, durante la scarica emotiva passa una maggior quantità di conduttore chimico, provocando così un segnale di spinta, quasi un'«accensione» di cellule o una piccola serie di «fuochi d'artificio» dentro il cervello. Insomma le forti emozioni «fissano» i ricordi e li «saldano» alle cellule grazie alle trasformazioni biochimiche delle loro proteine, mentre il DNA funzionerebbe da «nastro» di registrazione. Tali forze selettive nell'organizzazione della memoria si identificano dunque con le pulsioni e con gli aspetti emotivo-affettivi e motivazionali che regolano la vita degli individui. Del resto questo rende ragione del contributo che la psicanalisi, come metodo di studio delle funzioni mentali, ha portato a questo processo.

Questo testo è estratto dal libro "Memoria Vincente".

Data di Pubblicazione: 30 aprile 2018

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