L'Altra Linea della Vita - Anteprima del libro di Roberta Cuttica e Flavio Troisi
L'impulso improvviso di svoltare a destra
Quando Maude Duchamp si scoprì ad assecondare l'impulso improvviso di svoltare a destra, anziché proseguire in direzione sud com'era nei suoi piani, non pensava che quella singola decisione avrebbe potuto fare di lei un'omicida.
Imboccò la rampa di uscita chiedendosi che cosa le saltasse in testa. Poi realizzò una piccola, grande verità: non aveva alcuna fretta di rincasare dalla sorella minore. Anzi, l'idea la riempiva di fulmini e tifoni, forse per questo stava cercando di perdersi. Sedeva al volante della sua monovolume odorosa di popcorn e sandwich al formaggio e odiava la propria vita. Non che la odiasse solo quando guidava, la disprezzava in ogni circostanza. L'ennesimo colloquio di lavoro si era risolto in un "le faremo sapere", e la strada davanti a lei, sgombra come una sala da ballo il 2 gennaio, le ricordava tutti i falsi amici che le avevano girato le spalle da un bel pezzo insieme alla buona sorte. La musica alla radio, poi... Come diavolo riusciva la gente ad ascoltare il rap? Cosa c'era da ascoltare? Si curvò per frugare nel vano portaoggetti. Era quasi certa di averci cacciato un cd degli U2, uno di quelli registrati prima che diventassero una teen-band composta di anziani in costumi sadomaso. Ma il cd non c'era. Niente da fare, era condannata anche a una pessima colonna sonora.
Fu solo quando riportò lo sguardo sulla strada che vide l'uomo trotterellare in mezzo al viale. Schiacciò a fondo il pedale del freno e sterzò bruscamente. Sentì la macchina sbandare e slittare con un suono straziante, come di un lupo preso in una tagliola, ed ebbe tutto il tempo di maledirsi per non avere cambiato le pastiglie dei freni quando glielo aveva raccomandato il suo meccanico di fiducia, di cui peraltro non si fidava affatto.
Solo allora la figura in mezzo al viale si fermò e ruotò su se stessa, pietrificata nella luce cruda degli abbaglianti. Ed ecco un'altra pessima notizia: non era un uomo. Era un ragazzino. Maude stava per diventare un'assassina di adolescenti.
Strizzò gli occhi e si preparò a udire il tonfo dell'impatto.
Che non ci fu.
La macchina si fermò
La macchina si fermò con uno stridio di gomme e un ultimo sobbalzo all'indietro. Quando il motore scese al minimo, il silenzio tornò a regnare sulla strada alberata, suggellando con una specie di sospiro la tragedia mancata. Maude aprì gli occhi, piano, con cautela.
Eccolo lì il ragazzo che per poco non aveva ammazzato, piantato a dieci centimetri dal muso dell'auto, imbambolato. Era un bel giovane sul metro e settantacinque, i lineamenti regolari lustri di sudore, i capelli appiccicati alla fronte, il petto che andava su e giù sotto la polo verde e l'espressione allucinata dei naufraghi quando vengono recuperati dopo mesi alla deriva.
Si chiamava Leon, aveva sedici anni e al momento non aveva la minima idea di dove si trovasse e come ci fosse finito. Tutto ciò che ricordava era una frase che continuava a risuonargli nella mente, ancora e ancora: "È solo che vorrei essere baciata". Sei parole che erano una condanna inappellabile e una missione da portare a termine a qualsiasi costo: dare il primo bacio all'amore della sua vita.
Leon si schermò gli occhi con la mano. Fu in quel momento che si accorse di stringere il Diario. Lo scrutò incredulo nella luce dei fari. Che cos'era, da dove veniva? Poi ricordò che glielo aveva regalato lei.
Il suo Diario.
Per lui.
Il finestrino dalla parte del conducente si abbassò con un ronzio. Fece capolino una gran matassa di capelli ricci e si udì una voce che sembrava venire dall'imboccatura di una caverna.
«Hai fretta di morire?!»
Leon batté le palpebre, studiando alternativamente il Diario di Sylvia e quel poco che intravedeva oltre la luce accecante dei fanali. La portiera si aprì e la luce nell'abitacolo si accese, rivelando la figura di una donna di dimensioni impressionanti, che indossava un camicione stampato grande come una tenda da campo. Venne fuori dall'auto ondeggiando, alta un metro e ottanta e larga non molto meno. Quando gli fu vicina, Leon vide che portava un paio di occhiali spessi e che a ogni parola tutta la sua faccia tremolava come gelatina di frutta.
«Che ci fai in mezzo alla strada? Hai mai sentito parlare dei marciapiedi?»
«Credo... di non averla vista.»
«Una cicciona a bordo di una monovolume e non mi hai vista? Da dove sei sbucato?» Si guardò intorno come a individuare la casa di Leon fra le villette del circondario.
«Non abito qui» mormorò Leon.
C'era stato un tempo in cui era stato vicino di casa di Sylvia, prima di trasferirsi lassù dove di notte si vedeva la città brillare a perdita d'occhio come una distesa di pietre preziose sparse sul dorso della Terra. Da quel giorno gli incontri con l'amica si erano diradati, mentre erano aumentate le telefonate a tarda sera. Poi erano diminuite anche quelle.
La donna serrò le palpebre
La donna serrò le palpebre e lo scrutò con un'espressione assorta.
«Aspetta un attimo» cominciò. «Figliolo, dove ci siamo già visti, tu e io?»
Leon non aveva niente da rispondere e non rispose, allora lei continuò a studiarlo con l'aria di avere qualcosa sulla punta della lingua. Poi con un cenno della mano sventolò via qualunque pensiero la turbasse.
«Comunque. Ti rendi conto che stavi camminando in mezzo alla strada? E intendo dire come uno zombie.»
Leon ascoltò senza capire. Non riusciva a concentrarsi, i pensieri gli correvano via dalla mente come animali in fuga da un incendio. Ricordava di aver corso per un tempo indefinito, ma poi? Rivide mentalmente le finestre illuminate di tutte le abitazioni che aveva oltrepassato prima correndo e poi camminando, dove la vita continuava come nulla fosse, e udì la voce di Sylvia che ripeteva quella frase.
È solo che vorrei essere baciata.
Non conosceva quella parte della città. Si era smarrito e non sapeva come tornare indietro, ma questo non contava, perché non c'era alcun luogo in cui andare o restare.
«Mi sono perso» riconobbe.
«Non hai un telefono? Tipo per chiamare i tuoi.»
Leon si tastò le tasche dei bermuda di jeans, davanti e dietro.
«L'ho lasciato a casa.»
«Un ragazzo della tua età senza cellulare. Devi essere un extraterrestre.»
«Be', non credo di essere al cento per cento, se è questo che intende.»
«Sei a malapena al venti, figliolo. Facciamo una cosa: prendo il mio e facciamo quella telefonata.»
«Non ricordo il numero» si affrettò a mentire.
«No?» gli fece eco lei guardandolo di sbieco.
Non gli credeva, ma ancora meno avrebbe dato retta alle sue spiegazioni se lui avesse deciso di dargliele. Quindi tacque.
«Di' un po'... che cos'è quello?» chiese lei dopo che si furono studiati a vicenda per qualche istante. Stava indicando il Diario.
«Non lo so» disse Leon, laconico.
«Va bene, io chiamo la polizia. Non voglio vedere la tua faccia sul giornale domattina, o roba del genere. Ma tu guarda, capitano tutte a me!»
«Può darmi un passaggio?» chiese Leon prima di realizzare ciò che stava dicendo. Aveva dovuto improvvisare, non voleva montare sulla vettura di quella donna, ma ancora meno desiderava che lei chiamasse la polizia. Non poteva per nessuna ragione tornare indietro.
«Ti sembra prudente?» disse lei.
«Per chi?»
«Be', per entrambi. Tu non mi conosci e io non ti conosco.»
«Ha ragione, ma le alternative sono farmela a piedi e metterci un sacco di tempo con il rischio di perdermi oppure accettare un passaggio dalla polizia. E l'ultima cosa che vorrei è arrivare dai miei sul sedile posteriore di una volante. Non oggi.»
«Be'...» cominciò la donna.
Incrociò le braccia e spostò il peso da un piede all'altro, guardando quel ragazzo dai capelli castani striati d'oro, con il volto e le braccia madidi di sudore. Lo stesso giovane che fino a un attimo prima correva la sua personale maratona in stato confusionale al centro della carreggiata.
«Non sono un tossico» fece Leon.
«Io non l'ho detto.»
«Ascolti, di solito non faccio l'autostop. Ma oggi è successa una cosa... una mia amica... più di un'amica...»
«C'è di mezzo una ragazza?»
Il silenzio di Leon
Leon lasciò che il silenzio rispondesse al posto suo.
La donna abbassò le braccia e scosse la testa soffiando fuori tutta la sua esasperazione. «Voi adolescenti mi fate morire. Sali, ti porto a casa. Del resto non è che abbia tutte queste persone in ansia per me, se arrivo in ritardo.»
Ringraziandola, Leon aprì la portiera dal lato del passeggero. Si arrampicò sul sedile e si allacciò la cintura, mentre la donna faceva il giro del veicolo guadagnandosi ogni metro con il sudore della fronte. Quando entrò, il suv si abbassò sensibilmente dal suo lato. Allacciarsi la cintura le richiese un bel po' di tentativi. Prima di inserire le chiavi nel quadro, guardò Leon con aria contrita.
«Il mio nome è Maude.»
«Leon.»
«Meglio che ti abitui alle delusioni, Leon. Il mondo è una fogna e l'amore fa schifo.»
Mise in moto annuendo fra sé. L'auto prese a scivolare fra le abitazioni in cui la vita e il tempo andavano avanti, appesantendosi o alleggerendosi, come aveva detto Sylvia prima di affidare a Leon la sua missione eroica e senza speranza.
Questo testo è estratto dal libro "L'Altra Linea della Vita".
Data di Pubblicazione: 30 settembre 2017