Scopri gli strumenti che ti permetteranno di cavalcare il cambiamento da protagonista vincente leggendo l'anteprima del libro di Selene Calloni Williams.
Dall'economia lineare all'economia circolare
Inizio a scrivere questo libo nel giorno del mio compleanno e mi accorgo che non avrei potuto scegliere un momento migliore. In queste pagine parlo di tempo che scorre e di cambiamento, di riti di passaggio e di rinnovamento.
Il cambiamento è ciò che ci dà la dimensione del tempo che passa. Il cambiamento è un tutt’uno con la vita, essere vivi significa mutare in continuazione. La morte, che è una dimensione senza tempo, è immutabile, irreversibile, almeno allo sguardo comune.
La nostra epoca sta vivendo un’accelerazione del ritmo del cambiamento, e questo è dovuto soprattutto alle nuove tecnologie; ma non solo. Dopo aver contaminato il pianeta e, forse, proprio per questo, ci stiamo rendendo conto della nostra inscindibile unione con la natura e del bisogno di cambiare la rotta del nostro modo di fare economia e politica.
Siamo in un transito epocale, segnato dal mutare di alcuni simboli macroscopici e microscopici come, per esempio, il passaggio da un’economia del petrolio a una green economy, da una economia lineare a una circolare, dall’era della produttività a quella della ricerca del benessere psicofisico, della longevità, della consapevolezza di sé.
Si tratta di un transito che - come tutti i cambiamenti - favorirà alcuni e renderà vittime altri. Bisogna operare affinché le differenze vengano contenute il più possibile. Dapprima bisogna capire quali sono gli strumenti che ci permetteranno di cavalcare il cambiamento da protagonisti vincenti, anziché lasciarci travolgere da esso.
A ciò è dedicato questo libro, che vuole essere un esercizio di consapevolezza delle dinamiche del cambiamento.
Senza un reale esercizio di consapevolezza, infatti, anche le persone e le organizzazioni con la migliore volontà di cambiamento rischiano di essere fagocitate dall’inerzia dei vecchi schemi e, alla fine, di essere travolte dalla necessità di trasformazione che proviene dalla natura e dalle profondità della psiche umana, che è inscindibilmente unita alla natura. Questo sarebbe un vero peccato, considerate le belle forze di innovazione che abbiamo oggi sia in Italia, sia nel mondo.
La spinta originaria al cambiamento proviene dai fiumi, dai mari, dalla pioggia, dalle foreste, dagli alberi, dalle praterie e dai conigli selvatici, arriva come un segnale forte di disagio misto a una spinta dell’istinto: ci viene da dentro! Quando questo non è percepito si rischia di non realizzare un cambiamento reale, ma di raccontarsi le stesse cose, solo in modo un po’ diverso rispetto a prima.
La vita è una continua spinta evolutiva, che agisce dall’in-temo degli individui con massima potenza quando, come succede oggi, dopo decenni di economia del petrolio, l’istinto di sopravvivenza della specie si mette anch’esso in moto.
Nelle vite private degli individui la volontà del cambiamento sta operando, ma se non c’è consapevolezza non viene colta, la vera trasformazione diviene impossibile, l’inerzia genera frustrazione che porta tristezza.
In economia e in politica la volontà del cambiamento è pure all’opera, ma necessita di un numero maggiore di individui che la sappiano cogliere fino in fondo, altrimenti le trasformazioni rimarranno apparenti e anche le forze politiche più promettenti in questo senso saranno fagocitate dall’inerzia.
In Europa e in Italia si assiste a un invecchiamento sociale, che non è solo un invecchiamento dell’età media della popolazione, ma anche un’obsolescenza dei sistemi e delle istituzioni. L’invecchiamento, per contrasto, crea la presenza di onde sane, fresche, nuove, reattive alla spinta del cambiamento; esse non devono cadere nuovamente nella fossa dell’inconsapevolezza ed essere riassorbite dal passato, dalle abitudini, dall’inerzia.
Questo libro è dedicato a tutti coloro che in Italia, in Europa e nel mondo vogliono davvero cambiare le cose in armonia con la necessità di trasformazione che si sprigiona dall’istinto e dal cuore non appena prendiamo consapevolezza della contaminazione del pianeta e delle reali condizioni della natura e dei nostri corpi.
Per cambiare le cose veramente dobbiamo innanzitutto sviluppare un alto grado di chiarezza, lucidità e consapevolezza della nostra attuale condizione. Questa operazione stenta a essere compiuta, sia dalla filosofia e dalle forze politiche a favore dei sistemi sociali, sia dalla psicologia e dalle religioni a favore dei singoli individui umani.
È fondamentale capire che dietro i comportamenti personali, sociali, politici ed economici vi sono dei miti e dei simboli attivi ed è indispensabile prendere consapevolezza di questi miti e questi simboli al fine di trasformarli.
Si tratta di un’operazione ad alto rischio, assai più pericolosa che giocare in borsa, andare su Marte o fumare due pacchetti di sigarette al giorno, ma il premio in palio è gigantesco e bisogna tentare.
Mundus symbolicus
Viviamo in un mondo simbolico, o, come lo chiamava Henri Corbin, un mundus ìmaginalis.
In questo mondo tutto è simbolo, immagine, riflesso di qualcosa che non sta affatto altrove, che è qui, proprio qui, ma è invisibile. Perdere il contatto con l’invisibilità significa smarrire le chiavi d’accesso alla realtà e perdersi nell’inganno dei sensi. D’altra parte, rifiutare i sensi e affidarsi unicamente a un principio invisibile vuol dire ugualmente smarrire il principio della realtà e la consapevolezza della propria dimensione di esistenza.
Le chiavi d’accesso alla realtà sono nella grande terra di mezzo, la zona liminale che a me piace definire immaginale, là dove il visibile e l’invisibile s’incontrano e l’immagine e il suo significato fanno l’amore.
In effetti la parola “simbolo” ci rimanda proprio al significato di “mettere insieme”, “unire”.
Dire che tutto è simbolo in questo mondo significa affermare che ogni cosa, ogni gesto, evento, luogo o persona è un’immagine evidente che rimanda a qualcosa di non visibile. L’invisibile è ciò che descrive il visibile e ci trasmette il significato di ciò che è visibile.
Senza l’invisibile l’uomo non potrebbe approcciare il visibile. Prendiamo ad esempio un bicchiere d’acqua. Se non sappiamo cosa significa, non sappiamo a cosa serve, non sappiamo come utilizzarlo, possiamo averlo dinnanzi per ore senza renderci conto di cosa ci dobbiamo fare. I significati ci aiutano a orientarci nella realtà, ma anche la limitano tremendamente.
Proviamo a immaginare la scena di un selvaggio che non ha mai visto un bicchiere in vita sua, ha sempre bevuto insieme alle zebre e alle gazzelle dal fiume che attraversa la foresta dove vive. Cosa farebbe dinnanzi a un bicchiere d’acqua? Rimarrebbe in contemplazione con uno stupore, una meraviglia assoluta, forse toccherebbe l’acqua con un dito, ne assaggerebbe una goccia, l’acqua gli parlerebbe, perché è qualcosa che lui conosce, anche se non l’ha mai vista contenuta in una forma di vetro piccola e artificiale, forse piangerebbe, entrando in empatia con lo spirito dell’acqua prigioniero, con la forza dell’acqua che non può fluire, forse scaraventerebbe il bicchiere a terra e lo manderebbe in frantumi per liberare l’acqua, forse la raccoglierebbe nella sua bocca e inizierebbe a correre alla ricerca di un ruscello dove sputarla; che la berrebbe è l’ultima ipotesi che mi viene alla mente. A meno che non fosse assetato, io non immagino un selvaggio bere dell’acqua che non può fluire, gorgogliare, bagnare, irrigare, che è costretta alla stasi; forse non la riconoscerebbe neppure come acqua, perché gli oggetti sono inscindibili dal potere che gli diamo.
Noi umani attuali abbiamo privato l’acqua del suo potere. La consumiamo dopo che ha dimorato lungamente in bottiglie di plastica e ha perduto il suo spirito naturale, ma di questo normalmente non ci curiamo, per noi l’acqua è una “risorsa”.
Vediamo tutto da una prospettiva antropocentrica.
Noi umani attuali abbiamo privato la natura e il nostro stesso corpo del loro reale potere, separandoli dal loro vero significato originario e sostituendo quest’ultimo con un surrogato, e questa operazione l’abbiamo chiamata civiltà. Si sa che errare è umano, ma perseverare è diabolico!
La civiltà
Nasce da un atto con cui l’uomo separa il visibile dall’invisibile, la vita dalla morte, il conscio dall’inconscio, cioè separa cose ed eventi dal loro significato originario per metterli in relazione con un significato nuovo, artificiale, attraverso il quale essi diventano apparentemente controllabili e governabili dalla mente umana.
Non possiamo pensare di controllare lo spirito dell’acqua, ma se separiamo l’acqua dal suo spirito possiamo anche metterla in bottiglie di plastica; non possiamo pensare di esercitare un potere sullo spirito della materia, ma se separiamo la materia dal suo spirito, possiamo anche spaccare l’atomo senza chiedere il permesso, possiamo tagliare un albero, senza chiedere il permesso o persino deviare il corso di un fiume senza chiedere il permesso.
I popoli primitivi chiedevano il permesso per ogni cosa. L’uomo attuale ha un dio che vive in un cielo lontano, non è più nell’acqua, nella pioggia, nell’atomo, nell’albero, nel fiume. In tutto ciò che è visibile l’individuo attuale ha messo un significato mentale al posto dello spirito che vi dimorava all’origine.
In questa situazione come può esprimersi una green economy? In che modo possiamo pensare che un’economia circolare riesca veramente a cambiare le cose migliorando la relazione tra l’uomo e il pianeta?
Avendo separato i nostri stessi organi dal loro significato originario, bombardandoli in molti modi meccanici e chimici senza mai chiedere il permesso ai loro spiriti, come possiamo pensare di condurre vite serene e felici?
Avendo smarrito il vero significato dell’altro, avendo perso la capacità di vedere nell’altro il mistero di noi stessi, come possiamo pensare di cambiare davvero i sistemi politici e sociali? Se non liberiamo il vero significato delle immagini con le quali siamo costantemente in relazione - gli altri, la natura, gli eventi - non possiamo veramente trasformare i sistemi politici, anche con tutte le migliori intenzioni del mondo.
Le immagini non si possono manifestare, niente può esistere senza un significato. Dare significato vuol dire creare. Il significato è dato alle cose quando le si narra. Il primo racconto di una cosa la porta in essere; questo racconto primordiale è il mito. Esiste un mito naturale di cui è narratore il divino e un mito sociale di cui è narratore l’individuo. I miti sociali si formano per inquinamento dei miti naturali e sono pericolosi perché portano in essere dolore e sofferenza. L’inquinamento del pianeta che stiamo sperimentando è il simbolo manifesto dell’invisibile inquinamento del mito naturale. Se vogliamo davvero riuscire a portare avanti un’economia verde dobbiamo purificare i miti riportandoli alla loro natura originaria, altrimenti continueremo, in tanti modi diversi, a inquinare e a distruggere, magari con il pretesto di conoscere, ripulire e sistemare.
Data di Pubblicazione: 20 giugno 2019