EDUCAZIONE E FAMIGLIA   |   Tempo di Lettura: 10 min

Compiti per casa: lotta continua con tuo figlio? I 3 punti in cui (quasi) tutti sbagliano

Compiti per casa: genitori e figli

Far fare i compiti a tuo figlio ti sembra una battaglia persa in partenza? Non fai che arrabbiarti e tuo figlio è sempre più demotivato? Forse stai commettendo degli errori nel tuo approccio educativo. Scopri dove sbagli.

Compiti per casa: che stress!

I figli so' piezz 'e core, recita un proverbio. Ovvero: i figli sono pezzi di cuore, di quello stesso cuore con il quale li ami tanto profondamente e incondizionatamente.

Perché tu lo ami incondizionatamente, tuo figlio, giusto?

Mi spiego meglio: ami tuo figlio anche quando non va bene a scuola, anche quando gli insegnanti ti dicono che non si impegna abbastanza, che non rende abbastanza, che è “intelligente, ma non si applica”?

E che dire di quando torna a casa con un brutto voto nel compito in classe, o addirittura sulla pagella? E quando il pomeriggio si trasforma in una battaglia per fargli finire i compiti? Oppure sei un genitore che lavora e rientri la sera dopo una dura giornata in ufficio con lui o lei che non ha ancora aperto un libro e ti ritrovi di fronte alla prospettiva di una serata tra operazioni di matematica, analisi grammaticali o dialoghi di inglese da ripetere fino alla nausea.

E tutto ciò che sognavi era sdraiarti sul divano, magari con il tuo cucciolo accoccolato a te a chiacchierare in totale relax o guardarvi insieme il vostro programma tv preferito…

Compiti per casa: stress continuo

Da alcuni anni ho a che fare con bambini e ragazzini i cui genitori si rivolgono a me per dare una mano ai propri figli con i compiti.

C’è il ragazzino che pur di finire i compiti il più in fretta possibile non mette la minima cura in ciò che fa, quello che è lì fisicamente ma con la testa non si sa bene quale spazio astrale stia esplorando, quello che perde continuamente l’attenzione, quella scoraggiata e insicura perché l’insegnante le dice “per questa materia proprio non sei portata”… e la lista potrebbe continuare a lungo.

I genitori, quasi sempre, manifestano nei miei confronti una gratitudine che va ben al di là di ciò che effettivamente mi sembra di fare per loro. Eppure, alla mia risposta “Figurati, per così poco”, mi sento spesso controbattere qualcosa che suona come: “No davvero, per me è veramente importante perché quando si tratta di fare i compiti insieme finiamo sempre per litigare. Io mi arrabbio, lui si arrabbia e ce ne diciamo di tutti i colori”.

Tutto ciò mi ha dato molto da pensare. E quando in ufficio è arrivato il nuovo libro di Shefali Tsabary “Zero Disciplina”, guida rivoluzionaria per genitori alla ricerca di un metodo educativo efficace per crescere i figli e vivere con loro in armonia, non ho potuto fare a meno di sfogliarlo con interesse.

L’autrice di questo libro, psicologa clinica, ha alle spalle diversi anni di esperienza pratica, anni in cui ha seguito innumerevoli casi di genitori esasperati e figli demotivati per “colpa” della scuola e dei compiti. O meglio, per colpa di un approccio sbagliato e del tutto inefficace alla scuola e ai compiti.

Il capitolo 21 del libro “Zero Disciplina” si intitola proprio “Evitate le battaglie sui compiti scolastici”. Vediamo insieme alcuni degli errori che molti genitori commettono quando si tratta di seguire i figli nello studio.

Errore n. 1: Interferire eccessivamente e assumere un atteggiamento giudicante

Un esempio tratto dal libro: Audrey e Mike sono mamma e figlio. Quando Mike fa i compiti, Audrey all’improvviso entra in scena e, controllando gli esercizi che Mike sta svolgendo per conto proprio, inizia ad aggredirlo verbalmente con frasi del tipo: “Stai sbagliando tutto” o “Sei talmente pigro. Vuoi prendere sempre la strada più facile” e altre cose del genere. A quel punto Mike perde il controllo, inizia a urlare e, ovviamente, chiude i libri e per quel giorno non vuole più saperne di fare nulla.

Ti è mai capitato qualcosa di simile? Credo si tratti di un problema assai comune: so addirittura di una mamma talmente spazientita dal fatto che il figlio non riuscisse a svolgere certi esercizi da essere uscita come una furia dalla stanza e aver scaricato la rabbia mandando in frantumi un portafotografie capitatole sventuratamente sotto mano.

Compiti per casa: mamma arrabbiata

Qual è il problema?

Secondo l’autrice del libro, se ti comporti come Audrey stai sbagliando approccio. Come genitore, infatti, non sei tenuto a svolgere il ruolo del suo insegnante (ed anzi, sarebbe meglio che tu evitassi di farlo), soprattutto se né tuo figlio, né i suoi insegnanti te lo hanno richiesto.

La tua interferenza, per quanto motivata dalle migliori intenzioni (nel caso di Audrey si trattava della preoccupazione che suo figlio andasse male a scuola), può essere altamente controproducente, perché è probabile che vada a minare la fiducia che tuo figlio ha in sé stesso e dunque prosciughi la sua motivazione.

Qual è la soluzione?

Permetti a tuo figlio di valutare in maniera autonoma il suo lavoro e imparare ad autoregolarsi. Fai in modo che sia lui a capire cosa prova nei confronti del lavoro che ha prodotto (se è soddisfatto, se ritiene ci sia spazio di miglioramento ecc.). Come suggerisce l’autrice, lascia che tuo figlio si metta “al timone del proprio destino scolastico.”

E se ha bisogno di aiuto, lascia sia lui a chiedertelo, oppure poni domande per capire dove puoi effettivamente aiutarlo, ma cerca di rimanere paziente, coerente e compassionevole, senza farlo sentire costantemente giudicato.

Errore n. 2: Identificare tuo figlio con i suoi voti, fargli sentire che il suo valore dipende dai risultati scolastici

Questo è davvero un grosso problema. Viviamo in una società che promuove l’idea che il valore personale di ciascun individuo sia legato alle sue performance. A ciò che fa, a quanto riesce a essere produttivo, a quali risultati porta a casa.

Il mondo del lavoro funziona così, te ne sarai reso conto… ma anche la scuola tende, purtroppo, ad avere una simile impostazione.

Brutti voti e ansia da prestazione

Ma ciò non fa che generare negli alunni, soprattutto in quelli più sensibili, una forte ansia da prestazione. Il timore di non corrispondere alle aspettative di insegnanti e genitori, e dunque di non meritare apprezzamento, riconoscimento e, più in generale, amore semplicemente per ciò che si è, è davvero una sensazione spiacevole. E, ciò che è peggio, se interiorizzata da bambini, è qualcosa che rischia di accompagnare tuo figlio per tutta la vita, anche al di fuori del contesto scolastico.

Riferisce l’autrice: “Troppi dei miei giovani pazienti, addirittura di 8-9 anni di età, hanno i crampi allo stomaco per colpa di un’acuta ansietà riferita al loro profitto scolastico”.

E ciò non è affatto sano.

Qual è la soluzione?

Evita di porre sempre l’accento sui voti, di mostrarti eccessivamente interessato al rendimento di tuo figlio, come se fosse la sola cosa che conta per te. E quando torna da scuola, che ne pensi di evitare domande del tipo: “Come è andata la verifica?” o “Che voto hai preso” a favore di “Come ti senti?” o “Come è andata la tua giornata?” Forse, in questo modo, eviterai di trasmettere a tuo figlio l’idea che il suo rendimento è più importante rispetto al suo benessere.

Afferma l’autrice su sé stessa: “Sono meno interessata alla posizione di mia figlia nella classifica del profitto della sua classe che non alla sua crescita come individuo dalle molte sfaccettature. E, naturalmente, non credo affatto che i suoi voti si riflettano su di me.” Se non ti trovi d’accordo con questa affermazione, pensa alla possibilità di rivedere la tua posizione.

Errore n. 3: Imporre lo studio, anziché incentivare la curiosità naturale di tuo figlio

Molti genitori, fa notare Shefali Tsabary, si chiedono come fare a trasmettere il valore dello studio e motivare i propri figli a impegnarsi a scuola.

Promuovere la competizione, la rincorsa al risultato fine a sé stesso e l’idea dello studio come dovere non porterà i frutti sperati.

La competizione e la corsa al voto, come abbiamo già visto, producono ansia nei bambini e nei ragazzi (con il risultato che anche il loro rendimento, inevitabilmente, ne risente), mentre imporre i compiti, minacciare punizioni e tentare di inculcare la motivazione con la disciplina e il controllo non fanno che acuire il problema esistente, trasmettendo al bambino un senso di inadeguatezza da un lato e di impotenza dall’altro.

Compiti per casa: bambini stressati

Qual è la soluzione?

Tsabary fa giustamente riflettere sul fatto che un bambino, normalmente, è curioso per natura (hai presente che quando è piccolo e sta scoprendo il mondo per la prima volta non fa altro che chiedere: “Perché questo? Perché quello? Perché quest’altro ancora?”). È la sua indole naturale che lo porta a voler esplorare, stupirsi e meravigliarsi.

Dice l’autrice: “I figli hanno una connessione innata con la vita”. Non ti sembra una cosa assolutamente meravigliosa, oltre che profondamente vera?

E allora perché il blocco, se non addirittura il rifiuto, dei figli di fronte allo studio?

Semplice: perché hanno smarrito il piacere dello studio (ebbene sì, studiare, e dunque scoprire, può essere piacevole), e quindi lo vivono non come possibilità di arricchimento, ma solo ed esclusivamente come imposizione esterna artificiale.

Promuovi allora la curiosità naturale di tuo figlio, incoraggialo a studiare per il puro piacere di acquisire gli strumenti necessari a sviluppare maggiore consapevolezza di sé stesso e del mondo, fagli capire che non è necessario né gli è richiesto eccellere in tutte le materie, ma è importante che scopra quali sono le sue inclinazioni naturali, per essere un giorno in grado di trovare la sua strada e perseguire la sua felicità.

Non è forse questo tutto ciò che conta davvero? Che tuo figlio sia felice, o perlomeno sereno e in pace con sé stesso?

Dice l’autrice: “è sbagliato non promuovere la curiosità naturale dei figli, che permette loro di svilupparsi nelle aree di esperienza con cui hanno affinità anziché costringerli a seguire curricula prestabiliti, che hanno più a che fare con i nostri interessi che con i loro; così facendo, i figli perdono la loro connessione innata con la vita.”

E sono certa che tu non voglia questo.

Dunque, ricapitolando, come devi fare per finire di arrabbiarti e non stressare tuo figlio quando si parla di compiti per casa?

  • Non essere troppo giudicante e non cercare di esercitare il controllo con atteggiamenti coercitivi: potresti generare insicurezza;
  • non dare troppa importanza ai voti: l’ansia da prestazione non aiuterà tuo figlio (soprattutto sul lungo termine);
  • non imporre lo studio come dovere: è probabile che questo susciti atteggiamenti di ribellione, se non addirittura di totale chiusura.

Ehi, non fraintendermi: non sto affatto dicendo che tutto ciò sia facile! Capisco benissimo che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, che “tu non hai figli, non puoi capire” e tante altre care cose…

Il mio intento è solo quello di spingerti a riflettere…

E se hai interesse ad approfondire altri aspetti del rapporto genitori e figli, (Come dire “sì” o “no” con efficacia; Che cosa fare quando vostro figlio vi taglia fuori; Come comportarsi con un adolescente ribelle; Rivalità tra fratelli e coetanei) e tanto, tanto altro corri a leggere “Zero Disciplina”.

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Data di Pubblicazione: 23 novembre 2018

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