SELF-HELP E PSICOLOGIA

Comunicare dal cuore e con il cuore per arrivare al cuore dell’altro

Scopri la comunicazione evolutiva

Scopri la comunicazione evolutiva come condizione imprescindibile per creare relazioni sane leggendo l'anteprima del libro di Michele Micheletti.

Siamo tutti fanatici credenti

Crediamo fermamente nell’ideologia del vincere e nell’uso incondizionato degli altri allo scopo di vincere. La competitività, dettata dalla crescita marginale sconsiderata, ci ha proiettati in un universo sociale verticalizzato del quale non si riesce a vedere il limite. La tensione emotiva si è sostituita alla pulsione vitale dell’identificazione naturale, l’eccesso di informazione ci dis-informa, formattando il nostro interesse comunicativo. Abbiamo smesso di comunicare con lo scopo di intenderci e capirci: adesso comunichiamo soltanto per vincere.

Ma chi vince? E chi perde? In questa corsa in apnea verso il potere, il successo, la carriera, la perfetta forma fisica, il benessere ottenuto a qualsiasi costo spesso si contano più vittime che vincitori. Siamo vittime di un’aberrazione di sistema; siamo vittime dell’ansia; dello stress che auto-generiamo interagendo con l’ambiente - che abbiamo creato o modificato a immagine e somiglianza del nostro caos mentale - e con gli altri, nell’ecosistema relazionale nel quale siamo immersi.

Lavoriamo e comunichiamo in modo superficiale e assolutamente non efficace. Ci affanniamo a utilizzare una logica asettica nel tentativo di mantenere le nostre comunicazioni su piani gelidi e disimpegnati, neutri dal punto di vista emozionale: totale celebrazione della mente e corrispondente sacrificio del cuore. Non ci rendiamo conto che nei rapporti interpersonali la scelta di sopprimere l’interesse dell’altro peggiora inesorabilmente la qualità della nostra vita, anziché migliorarla.

Le persone comunicano prevalentemente con la testa: è tutto un fiorire di tecniche di comunicazione che lavorano quasi esclusivamente sulla nostra parte cognitiva, allontanando sempre di più i cuori delle persone coinvolte nella relazione. Ma la comunicazione è innanzitutto scoperta dell’altro, è l’incontro in campo aperto, fuori dalle mura fortificate che contengono le nostre paure, angosce, convinzioni e risposte automatiche. Il predominio schiacciante della razionalità soffoca le risposte emozionali, evidentemente smorzate perché ritenute scomode o addirittura ingombranti.

Siamo così convinti che le emozioni siano esclusivamente un fatto privato e intimo che cerchiamo disperatamente di nasconderle nei recessi dei nostri atteggiamenti. Siamo spinti a credere che la rivelazione emozionale sia un’espressione di debolezza e quindi, nel contesto della nostra società iper-competitiva, da evitare come ciò che potrebbe farci perdere la partita. Nella relazione interpersonale, quando vogliamo vincere e battere l’altro a ogni costo, quando vogliamo dimostrare sul campo che siamo migliori, più preparati, più competenti, quando vogliamo imporre la nostra tesi come la tesi giusta, da detentori unici della verità, in realtà perdiamo sempre.

Creare relazioni sane

Concordiamo sull’importanza di una comunicazione efficace come condizione imprescindibile per creare relazioni sane e reciprocamente gratificanti. Nonostante ciò, comunicare bene diventa sempre più difficile e in alcuni casi addirittura impossibile. A ognuno di noi sarà capitato un episodio, in ambito comunicativo e relazionale, che ci ha visti partire armati dei migliori propositi di condotta leale e trasparente per poi finire nelle fiamme del diverbio e della degenerazione emotiva. Siamo più propensi a difendere la nostra posizione che a comunicare per cercare di allargare il nostro punto di vista anche accogliendo la visione dell’altro. Siamo disposti a entrare in conflitto piuttosto che ad aprirci sinceramente al dialogo. Ma nel conflitto si finisce sempre per distruggere qualcosa e ci si espone alla necessità di pagarne le conseguenze, di render conto, per così dire, di questa stessa distruzione.

Il conflitto rivela tutti i nostri limiti e le nostre incapacità comunicative. Ma perché, allora, ci lasciamo trascinare nel conflitto? E perché replichiamo continuamente questa dinamica nelle nostre relazioni e ci impataniamo nelle sue sabbie mobili? Sappiamo bene che tutto questo ci procurerà (e procurerà agli altri) sofferenza e malessere. Ma allora perché lo facciamo? Si potrebbe abbozzare una risposta soltanto apparentemente banale: in qualche modo siamo stupidi, nel senso che non siamo abbastanza intelligenti. Per la precisione, non siamo abbastanza intelligenti emotivamente. Manchiamo di quella forma sofisticata, ma indispensabile, di intelligenza umana di livello superiore, che è appunto l’intelligenza emotiva, e così il nostro modo di comunicare risulta inefficace e inappropriato, qualche volta anche socialmente scorretto e comunque disfunzionale rispetto agli obiettivi che vorremmo raggiungere. La mancanza di questo “talento”, vuoi perché non è stato sufficientemente educato, vuoi perché addirittura ne ignoriamo l’esistenza, implica inevitabilmente il verificarsi di una comunicazione patologica.

L’intelligenza emotiva permette di fare la differenza tra chi utilizza in modo competente gli strumenti della comunicazione, ottenendo buoni risultati in termini di approvazione sociale e consenso, e chi, non riconoscendo l’essenzialità di questa dote, compromette irrimediabilmente gli esiti comunicativi, riportando la peggio in ogni situazione o procurando un danno agli interlocutori. La comunicazione efficace, in fondo, è soprattutto questo: una disponibilità individuale di intelligenza specifica che ci permette di avere un occhio attento al nostro interlocutore per ascoltarlo profondamente, per ascoltarlo emotivamente.

Si parla molto di essere assertivi; ma consigliare a una persona di essere più assertiva quando comunica è come chiedere a me, calciatore negato, di replicare le prestazioni di Cristiano Ronaldo quando tira una punizione dal limite dell’area di rigore. Si tratta di una caratteristica legata allo sviluppo personale: alcuni individui ne sono dotati (non è questa la sede per discutere se geneticamente, per imprinting famigliare, per formazione e via discorrendo); altri necessitano di sperimentarne giorno dopo giorno i “patterns di esecuzione”, fino a quando non saranno completamente trascritti nel proprio codice procedurale - fino a quando, cioè, non saranno diventati abitudini coerenti.

Intelligenza emotiva e comunicazione

Quando si è emotivamente intelligenti, si è in grado di comunicare con il cuore e non si sente il bisogno di umiliare, offendere, squalificare l’altro; non si pretende di primeggiare e vincere a tutti i costi alla ricerca di un potere che sostenga il riconoscimento sociale del nostro ego. Quando disponiamo di questo talento, le cose avvengono in modo naturale, si verificano flussi di accomodamento continui che cambiano da persona a persona. Non siamo più automatici ma adattivi; siamo sempre nel flusso, coscienti, brillanti e vigili.

Quando ci lasciamo guidare solo dalla cognizione e dalla razionalità mettendo da parte il cuore e le sue ragioni, finiamo quasi sempre per ritrovarci in una disputa in cui ognuno rimane ancorato alle proprie posizioni. In questo scenario ci sono già le premesse per lo scontento finale: tutte le parti saranno insoddisfatte nonostante le “tecniche di comunicazione” applicate con grande perizia. Ci dimentichiamo con facilità che la ragione è il vero luogo delle paure, delle ansie, delle insicurezze - su se stessi, sulle proprie capacità professionali, sul proprio valore. La ragione necessita di bilanciamento: l’educazione scolastica ci spinge alla razionalità e allo sviluppo della mente logica, uno sviluppo per il quale veniamo valutati come rendimento, in una visione cartesiana della formazione. Questo però non funziona quando mettiamo in atto una relazione tra esseri umani.

Per Blaise Pascal il dualismo radicale, di cartesiana ascendenza, tra anima e corpo, tra mente e cuore, non funziona come ci si aspetterebbe. Il filosofo dei Pensieri, attingendo agli insegnamenti biblici e alla filosofia della tradizione cattolica, precorre - contro Cartesio, e prima ancora Platone e gli gnostici - l’idea odierna di embodied mind, «una concezione cognitiva della mente umana e dell’umano conoscere, in cui il pensiero e le emozioni non sono separabili». L’uomo non è solo cervello e non conosce solo tramite il cervello: è ragione e cuore, e “pensa” con entrambi: «Conosciamo la verità non soltanto con la ragione, ma anche con il cuore»; mentre il cuore «ha le sue ragioni, che la ragione non conosce».

Il bilanciamento di cuore e ragione attiva l’elemento fondamentale dell’intelligenza emotiva: la consapevolezza, l’occhio su sé stessi. Il riuscire a vederci durante l’atto comunicativo ci consente di monitorare lo stile relazionale evitando gli errori. Quando non siamo consapevoli e non possediamo lo sguardo su cosa stiamo facendo, siamo automatici e attenti solo ai triggers emotivi che ci fanno reagire in base ai movimenti dell’altro. Quando si è in ansia e sale la tensione emotiva, si è più rigidi ed emotivamente vulnerabili; il comportamento appare disorganizzato e la comunicazione diventa meno fluida e lineare, più difficile da gestire perché concentrata sull’esigenza di controllo e potere personale di cui avvertiamo un forte bisogno per non sentirci minacciati.

Quante persone cólte e dotate di un’intelligenza razionale acuta dimostrano poi, nei fatti, limiti evidenti di intelligenza, di comprensione della realtà, delle relazioni con le persone, del senso più profondo della vita! Il confronto diventa produttivo quando si mettono in campo dei Sé strutturati e solidi: le fragilità individuali comportano la conflittualità e la condizione di dover giocare ogni partita nel campo dell’ansia e della paura. Due individui che si relazionano, in condizione di normalità evolutiva, dimostrano sempre stati di difesa: in questi casi, quella che nasce come una semplice discussione o un confronto, per effetto della dissonanza cognitiva, potrebbe finire in una situazione di aspro conflitto che generalmente diventa guerra psicologica a oltranza.

Qual è il percorso da intraprendere?

Alla base di questi comportamenti ci sono sempre le nostre debolezze e le nostre convinzioni riguardo alla propria posizione esistenziale. Si tratta di un aspetto decisivo della nostra personalità, che identifica il modo di porsi nei confronti degli altri e della vita. E un eccesso di razionalità misto ad ansia può spingere l’individuo a pensare di essere migliore rispetto al suo interlocutore, di disporre di maggiore verità argomentativa, di essere nel giusto a prescindere dal confronto, squalificando l’interlocutore e attribuendogli inconsciamente il ruolo di perdente. Fino a quando non saremo in grado di vedere l’altro come un partner comunicativo, complementare e indispensabile per l’arricchimento comune, non riusciremo a gettare le basi del dialogo: il rispetto reciproco, la tolleranza e l’accettazione dell’altro.

Stando così le cose, allora, qual è il percorso da intraprendere? Esso consiste nel riuscire a comunicare dal cuore e con il cuore per arrivare al cuore dell’altro, lasciando il necessario spazio ai sentimenti e alle emozioni. Ciò significa aprirsi sinceramente alla cultura del dialogo, dell’uguaglianza e della parità dei diritti. Entrare in una dimensione comunicativa e relazionale vera, autentica, profondamente gratificante, alla base della quale ci sono sentimenti importanti come la fiducia, la tolleranza, l’empatia, l’amore, il rispetto. Ecco una prima, splendida definizione di intelligenza emotiva! Ed è ciò che serve per creare sintonia comunicativa, cultura del dialogo, simmetria relazionale, convergenza sugli obiettivi e, in ultima analisi, un risultato reciprocamente soddisfacente, che consente a entrambi di vincere.

Tutto chiaro, dunque; e tutto giusto e socialmente inattaccabile. Ma c’è un però. Nessuno è stato educato a comunicare secondo questi criteri e quindi quasi nessuno riesce a farlo. Quasi nessuno ha avuto ottimi maestri di comunicazione evolutiva in famiglia, a scuola, nel gruppo degli amici o nel lavoro ed è per questo che oggi risulta difficile operare una inversione di tendenza che richiede coraggio e flessibilità. Dove lo troviamo dunque il coraggio per operare questa svolta? Chi riesce a mettere in discussione le proprie credenze solidificate e stratificate? Occorre uno sforzo notevole di ristrutturazione cognitiva e di cambiamento del proprio stile di comunicazione e di comportamento sociale per riuscire a riconoscere, gestire ed esprimere adeguatamente i propri pensieri e le proprie emozioni.

La maggior parte delle persone non è disposta a compiere questo sforzo, pur sapendo che si tratta di un salto di qualità che può produrre grandi opportunità e una vita migliore. A volte si pensa semplicemente di non esserne in grado e lo pensiamo perché l’automatismo di certi modelli difensivi nella comunicazione è divenuto solido come la roccia, anche se disfunzionale. Cambiare è dolorosamente difficile ma non esiste un’altra soluzione al conflitto relazionale.

Questo libro lo abbiamo pensato come un percorso di presa di coscienza per il lettore sensibile alla tematica della comunicazione viva. Acquisire consapevolezza della necessità di questo percorso significa già essere a buon punto sulla strada lunga - e a volte in salita - della scoperta del cuore. Il resto viene da sé: sapendo che il viaggio intrapreso è un viaggio interminabile, ma allo stesso tempo che è un’esperienza entusiasmante, un’autentica sfida con se stessi che vale la pena di affrontare perché forse rappresenta l’unica strada per arrivare a star bene con se stessi e con gli altri. Iniziamo quindi questo viaggio alla scoperta della comunicazione evolutiva.

Buona comunicazione!

Data di Pubblicazione: 28 dicembre 2020

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