Scopri chi è Abigail Rain, nebula quarantuno dei settantadue, primo dei decani leggendo l'anteprima del libro di Piero Ragone.
Mi chiamo Abigail Rain
Mi chiamo Abi Rain. Mi chiamo Abi. Per tutti Abi.
Sono un esorcista e si può dire che lo sia da quando sono nato.
Dimenticate quello che fanno passare per inchieste scoop, che vedete nei documentari soft per cuori puri o che spacciano per vero nelle serie tv da divano e popcorn. Un esorcismo non ha tappe stabilite e non ci sono procedure standard, non è materia di religione e il latino da solo non basta. Non è come nel calcio, non c’è un arbitro, nessun fair play, nessuna regola. Un esorcismo può durare cinque minuti o mesi interi. Quella volta in cui ho scacciato Legione, ho impiegato tre settimane per capire chi fosse e cinque minuti per fargli sputare il nome.
Dimentica le fesserie che credi di sapere, la maggior parte dei vessel non sa nemmeno di esserlo. Quello che leggete è creato ad arte per mettervi al corrente solo di ciò che si conviene conosciate, i veri esorcismi non si eseguono su gente che sbraita al contrario o che erutta centrifughe di vegetali. Quella è roba da chiesa per convincere la gente a casa che il male può essere sconfitto con un po’ di fede e una boccetta di acquasanta. Come no? Provateci pure, e poi non lamentatevi dei calci astrali che beccherete nel deretano.
Nessun libro di esorcismi può spiegarvi cosa fare quando si arriva alla parte del “Designa te”, non spiega cosa fare quando il demone ti afferra per il collo, o ti strappa il libricino dalle mani e fa merenda con quel che ti rimane dell’anima.
Tanto per chiarirci, non penso affatto che ci salveremo, non abbiamo gli antidoti mentali per resistere alla loro presenza, non siamo geneticamente predisposti per impedire ai qliphoth di indossarci come un abito in affitto per balli da liceali. Magari il mio pensiero non è in linea con la filosofia del nonaedro, ma credere di non potercela fare non vuol dire che non mi piaccia battermi, al contrario, c’è un sottinteso brivido alla Leonida e i trecento nel combattere battaglie da cui è quasi certo che non puoi uscirne vivo. Ci si batte per rimandare l’inevitabile caduta nel baratro alla fine della strada, non per evitarlo.
Devi possedere tre requisiti per essere ammesso al nonaedro: carisma, disciplina, virtù. Il carisma è un dono di nascita, la disciplina serve per acquisire le virtù. Dieci virtù fanno di te un decano. Il mio carisma è il sangue freddo. Non ho mai avuto disciplina, quindi questa la saltiamo. La mia virtù numero uno è l’odio gotico Marvel verso tutti gli infiltrati e il disprezzo per me stesso con cui affronto i negativi. Ne ho rispediti così tanti al mittente che a volte penso che Dante avrebbe fatto bene a creare un girone all’inferno intitolato ad Abi Rain, un buco esclusivo nel quale finiscono quelli che hanno la sfiga di vedersela con me. Dev’essere per questo che dicono che sono il migliore sulla piazza.
Se non fosse stato per don Grimorio, oggi non avremmo le avventure di Abigail Rain. Quando sono nato, Dongri era un decano. È lui che mi ha iniziato.
Per essere un decano, devi aver accumulato dieci virtù e almeno vent’anni di servizio, e in genere non ci arrivi prima dei cinquant’anni. Per me è stato diverso perché sono un nebula da quando ne avevo sette. Ora Dongri è un guardiano e io sono un decano o vanian, diminutivo di transylvanian, come il mitico Dave Vanian. Ci chiamano così per il pallore spettrale di chi ha una relazione complicata con le ore notturne.
Il nonaedro è l’insieme delle nove sfere, nove ordini con otto membri ciascuno fa settantadue, da cui l’altro nome con cui ci conoscono, club dei settantadue, ma nel giro ci chiamiamo nebula perché siamo come nuvole, a metà strada tra la terra e il cielo, a contrastare le potenze dell’aria.
Abigail Rain, nebula quarantuno dei settantadue, primo dei decani
Così ti presenti agli altri nebula, e poi “Secondo le regole dell’ombra e della luce”, la frase di riconoscimento. “Per l’ombra e per la luce”, la risposta di conferma.
Dopo dieci anni di onorata violenza, avrei potuto accettare una sfera superiore e godermi la pensione da nebula sistemandomi nei catari o nei guardiani come Dongri, ma vuoi mettere il brivido analogico dell’imprevisto, quando hai un demone di fronte e non sai se ce la fai?
Se sei nato con la stoffa del riparatore, hai nostalgia per gli esiliati da castigare come se al John Wayne di Ombre Rosse portassi via gli apache. E poi ammettiamolo, chi mi vedrebbe in una casa a lucidare ricordi o a sistemare l’erba del giardino? Nessuna è così folle da condividere una vita con me. Un Abi va bene a piccole dosi, mi sopporti quel tanto che basta per innamorarti della carta regalo, ma prima o poi c’è la tua amica che ti consiglia di lasciar stare, se non vuoi un futuro pieno di guai.
I decani operano allo scoperto, sono quelli che si sporcano le mani praticando sui contenitori presi in prestito dagli esiliati. I magdalah sono i nostri esploratori. Il loro compito è presidiare la griglia di competenza e segnalare anomalie ai guardiani. Se l’anomalia è comprovata e un exodus ha messo radici in un corpo illegittimo, il guardiano segnala il caso agli arcani, gli arcani consultano i szandor, i szandor o legislatori trovano legge e cavillo, gli arcani autorizzano, i guardiani ricevono la bolla e incaricano il decano, e infine il decano esorcizza con l’ausilio di un guardiano e di una torre dei magdalah. La torre è tutta al femminile. A volte assiste anche un novizio, per abituarlo alla presenza.
Conosco la procedura perché sei obbligato ad impararla. Inutile chiedermi se l’ho mai rispettata. Non ci sono regole per me, e dio solo sa perché non mi hanno mai impalato. So di decani espulsi e sputtanati con scandali mediatici per molto meno di una violazione alla Abi Rain.
A volte è don Grimorio che mi passa l’incarico, a volte è Miwa che mi lancia i componenti. “Miwa, lanciami i componenti” dico, che nel mio gergo significa “Dammi indizi, forniscimi dati”. Miwa è una magdalah, anche se ha meno anni di me in servizio. Mah. Cavillate burocratiche per cui non mi do pena.
A volte c’è da chiedersi se lo faccio per salvare la vita al prossimo o per dare libero sfogo alla mia creatività psicotica exorpunk e farmi una bella scazzottata con un demone qualsiasi purché sia forte, sgradevole e affamato, come quella volta che me la sono vista con Adramelech, ottavo degli arcidiavoli, un gran picchiatore, uno che incassa senza fuggire nel subconscio, l’ideale per schiarirsi le idee dopo una giornata no. Era una notte di mezza estate, una di quelle con il cielo denso di nuvole aggrottate che rispecchiano il tuo stato, ed ero incazzato per via di Jean. C’era Dongri che provava a darci un taglio, sotto gli occhi increduli dei famigliari della vittima del negativo, chiedendomi di lasciare a lui la coda finale della procedura, ma io dicevo “No, Dongri, lo stronzo è mio, non ho ancora la sua piena confessione”. Tanto per farla breve, a metà notte era lo stesso Adri a recitare le parole che avrei dovuto pronunciare io, una forma di autoesorcismo di un demone di buon livello mai censita negli annali.
«Per hoc sigillum ecc.» ci stava provando lui.
«Dove vai?» gli ho detto interrompendo il flusso. «Con te non ho finito» ho chiuso mentre gli infilavo tra i denti un confetto di stoffa bianca intrisa di catrame benedetto delle dimensioni di una palla da baseball.
Tutto ciò che Dongri ricorda di quella notte da b-movie è questo Abi, cupo come la pece del vomito color asfalto del poveraccio, che si avvicina alla porta d’ingresso col sottofondo dell’amico che sbraita, implorando una pietà che non ho mai avuto per nessuno degli intrusi.
«Non aspettarmi sveglio» ho sussurrato a Dongri più spettrale del demone stesso, poi la porta si è richiusa in faccia al suo naso e il don ascoltava il raglio d’asino di Adramelech, che non ho lasciato andare finché non ho trovato pace.
Schermo nero che più nero non si può. Dissolvenza morbida ad aprire.
In questa scena, io e Dongri siamo al bancone dell’Undead, lui col suo bicchiere di Jack Daniel’s mezzo pieno e gli occhi fissi su di me, colmi di interrogativi che è meglio non portare a galla, io con tre vuoti di Desperados disposti in fila mentre abbandono il quarto, mi studio le mani imbrattate di spremuta di bitume rigettata dal mio amico Adramelech e dico «Ricordami di lavarmi le mani, prima di colazione.»
Di un vero esorcismo non troverete mai un resoconto affidabile, il rito che conta non ha nulla a che vedere con messali e formulari. Gli esorcisti che a voi sembrano preti sono in realtà decani camuffati o anubis, i guardiani. Ai mano nera e ai mano grigia è concesso riparare e insegnare. I decani sono mano nera, i guardiani sono mano grigia. L’abito da sacerdote è solo una delle coperture per chi agisce in zona, la metà di quelli che esorcizzano non ha mai preso i voti. Non ci sono veri sacerdoti a dar battaglia agli intrusi: un don Abbondio di campagna se la farebbe sotto al primo vagito in doppia voce.
Quando un demone s’impadronisce di un corpo, noi nebula diciamo che “veste un vuoto” o che “possiede un vessel”. Nell’esperienza che facciamo quaggiù, ci serviamo dei corpi come mezzi di trasporto per le anime. Noi li chiamiamo “vessel” o “vuoti” e non sono un possesso esclusivo dell’anima che li governa, così come non siamo inseparabili da essi. Un corpo è un’automobile, una cabina di trasporto e un esiliato può sottrarlo quando vuole, se conosce vincoli, codici e password.
Il corpo che hai alla nascita è un vessel legittimo. Se viene sottratto con la possessione, allora è un vessel abusivo.
Un esorcismo non è un gioco
Non è una clip su youtube. Non è un esperimento. Non è un esercizio di memoria. Un esorcismo è una partita a scacchi che giochi con la mente senza regole da gentiluomo, una sfida a Risiko contro le truppe del signore dei dannati.
Un demone intercetta i sentimenti che hanno davanti il segno meno: dolore, rabbia, paura, rimorso, senso di colpa, sfiducia, tristezza, ma non è in grado di avvertire le emozioni positive.
Chiedetevi: perché un demone oltrepassa? Qual è il motivo per cui prende possesso di qualcuno? Non parlo di leader politici, di presidenti o di magnati senza scrupoli. Perché entrare nel corpo di una bambina o di un passante che non conta nulla nello scacchiere delle sorti umane?
Quando esorcizzi un qliphoth, capisci che quello è il momento per cui si diventa decani. Adrenalina pura che ustiona cellule nervose, sangue che evapora, sudore che divampa, tutto è sul piatto di una bilancia caricata ad acido, un’esperienza mistica che resta tatuata dentro. Quanto a me, l’esser plateale non è previsto dalla procedura ma fa parte della mia kayfabe, un marchio di fabbrica dell’Abi productions, un copyright che mi concedo per rendere teatrale la mia vanità da primo vanian.
Ogni lottatore di wrestling ha la sua finisher, la mossa per chiudere. Quella di un decano ecclesiastico è quando dice “Per il potere conferitomi da dio il padre, dio il figlio, dio lo spirito santo, nel nome di nostro signore Gesù Cristo ecc.”, il mio è quando impugno il Maelstrom e recito la formula dell’Ego sum lux per aprire il sentiero che li ricaccia nel buco che li ha sputati fuori. Per creare un varco è necessaria la forza dell’aura convertita in negativo da una certa dose di raggi gamma disciolta in una soluzione di sali minerali. Il sette virgola due percento è sufficiente per sfornare la giusta quantità di positroni che apre un portale, grande abbastanza da farci passare il negativo.
Sono tre i varchi del cielo attraverso cui i netzach e i gevurah accedono alla nostra dimensione, e si trovano all’altezza della stella Kalbelaphard dell’Idra, di Aldebaran del Toro e di Capella dell’Auriga.
In breve, la storia è questa: l’universo era in origine equamente suddiviso, nove sephiroth nel regno della luce e nove qliphoth al seguito dell’ombra. Con il tradimento di Lucifero, un terzo delle stelle del cielo, composto dalle schiere di netzach e gevurah, ha scelto di seguirlo aprendo i tre varchi per consentire ai negativi l’accesso alla Terra. Nove più due fa undici qliphoth, nove meno due fa sette sephiroth. Fine dell’equilibrio. Ecco perché dico che non ce la faremo. Non abbiamo nessun Rambo tra le nostre fila. L’unico bomber dei nebula si chiama Abigail Rain, e io conto per uno.
Sono cresciuto in mezzo ai demoni
...con Dongri che mi portava ai suoi esorcismi perché era tempo di mettere alla prova il mio carisma. Ero sempre al séguito del don, per vedergli espellere demoni dal corpo di fanciulle mozzafiato o di vecchiette inermi. “Buio negli Occhi”, così li chiamavo perché, quando un demone prende possesso di un umano, il cuore pulsa a centottanta e la pupilla si dilata fino a oscurarne l’iride. Non è come in alcune serie tv, non diventa nero anche il bianco degli occhi. Il nero dei Buio negli Occhi è un nero vuoto.
Data di Pubblicazione: 10 giugno 2020