Conosci i tuoi desideri, le tue convinzioni, le tue reazioni alle situazioni e prendine coscienza leggendo l'anteprima del libro di Marcello Di Muzio.
Conosci te stesso
"Conosci te stesso". Tutti sappiamo che questa frase accompagna il cammino dell’uomo da millenni. Tanto è vero che, conosciuta da molti, questa esortazione è scritta sul tempio di Delfi nell’antica Grecia.
Molti, nel tempo, hanno preso il "Conosci te stesso" come un dogma, come ciò che l’individuo deve fare per raggiungere qualcosa, ma non è così. Il senso di quell’insegnamento è ben altro.
"Conosci te stesso" è semplicemente un’indicazione di quello che è il percorso che ogni individuo - che voglia o che non voglia - dovrà per forza compiere nella vita per raggiungere quello stato di comprensione, di consapevolezza interna che gli permetterà di capire i meccanismi dell’esistenza e soprattutto di ridurre le esperienze dolorose della vita.
Altrimenti l’individuo continuerà ad essere sballottato da un’esperienza ad un’altra, fino a quando la vita e l’esistenza non riusciranno a fare breccia in lui e a portargli, comunque, quelle comprensioni che non riesce in altro modo a raggiungere.
L’evoluzione avverrà comunque ed in qualsiasi condizione si ponga l’individuo, ma il "Conosci te stesso" risparmierà a lui, in buona sintesi, le esperienze più dolorose per giungervi. Conoscere se stessi significa conoscere la vera realtà dell’essere nostro. Significa comprendere che cosa è in noi stessi che proviene dall’ambiente e dai condizionamenti esterni.
L’uomo, vivendo continuamente immerso in un ambiente sociale e culturale, ne riceve inevitabilmente, dalla nascita, una certa influenza. In ciò non vi è alcunché di sbagliato. L’errore dell’individuo semmai è nel credere che l’educazione, la formazione del suo carattere, possano derivare esclusivamente da un fattore esterno.
Conoscere se stessi significa allora operare una introspezione accurata, sincera. Significa comprendere, ad esempio, se ciò che noi crediamo pazienza, altruismo, o amore, è veramente tale.
Significa conoscere i propri desideri, le proprie convinzioni, le reazioni alle situazioni. Conoscerle non perché vanno moralmente giudicate e corrette; conoscerle vuol dire semplicemente esserne al corrente, esserne consapevoli come se stessimo osservando i comportamenti di un’altra persona, nulla di più.
La conoscenza di se stessi va conquistata
Certamente non è sufficiente pensare di potersi mettere lì e, di punto in bianco, aspettare di conoscere se stessi. La conoscenza di se stessi va conquistata, va trovata lentamente e costantemente lungo il proprio percorso di vita assieme a tutti quegli elementi e quegli indizi che possono contribuire o aiutare a renderla possibile, più vera, più profonda.
Conoscere se stessi significa, in definitiva, arrivare a conoscere i propri limiti. Limiti morali, limiti del carattere o del modo di pensare, limiti della pazienza, limiti dati da preconcetti, limiti nel donare e così via.
Così difendetevi dai vostri simili se, dall’esame sincero di voi stessi, scoprite di non avere la forza per sopportare l'altrui offesa; opponetevi a chi vuol portarvi via la tunica se veramente non avete la generosità di donare anche il mantello. Un atto di altruismo compiuto senza valutarne il peso e le conseguenze è un dono che fate senza sapere ciò che avete donato, è una cambiale che non sapete se potrete pagare. Questo significa conoscere i propri limiti.
Conoscere i propri limiti proprio per evitare di muovere cause che in futuro avranno ripercussioni dolorose.
Se un individuo, pur vivendo una vita agiata, volesse arrivare per forza di cose a guadagnare e possedere più di un suo collega di lavoro, egli in caso di insuccesso potrebbe benissimo giustificare il suo “fallimento” dando la colpa al verificarsi di contingenze economiche e di avvenimenti avversi che gli hanno impedito di ottenere uno stipendio più alto, mentre la sua sofferenza poteva essere in gran parte evitata comprendendo che, in realtà, ciò che soffre non è la persona fisica ma è il suo Io, il quale si sentiva sminuito e a disagio in rapporto agli altri colleghi che, nei suoi confronti, hanno di più.
Senza la consapevolezza di ciò che si è e di cosa ci muove realmente, il nostro Io (ovvero noi stessi a livello inconsapevole) creerà mille scuse per nascondere il suo egoismo al solo fine di accrescere se stesso.
Essere consapevoli di noi stessi non vuol dire mettersi nei panni dell’Io al fine di auto-analizzarsi, bensì trovare la forza di porsi al di fuori dell’Io stesso e osservare le sue azioni e le sue reazioni come se egli fosse un ’altra persona. Tutto ciò al solo fine di capire - proprio come se stessimo giudicando un altro - cosa realmente ci spinge ad agire in una maniera piuttosto che in un’altra.
Per una buona riuscita in questo intento, l’attributo fondamentale è la sincerità con voi stessi, difficile da rendere costante ma assolutamente necessaria, per sfuggire alle trappole più o meno sottili che l’io pone sul vostro cammino col fine di mettervi fuori strada.
Fortunatamente, per aiutarci in questo esercizio l’esistenza ci offre due preziosi alleati: l’esperienza di tutti i giorni, la quale - in continuazione - ci propone molte possibilità di conoscerci meglio, e l’esperienza altrui, e siamo ormai subissati ovunque di spunti morali su cui riflettere e confrontarci.
E chiaro che alla base dell’esistenza di ognuno c’è l’egoismo e che l’egoismo non può essere sradicato ipso factou. L’egoismo nasce con l’uomo già dalla sua prima incarnazione. Egli, sentendosi d’esistere e non avendo altri mezzi per elaborare una reazione equilibrata verso l’esterno e gli altri, non avendo ancora una coscienza costituita - dal punto di vista evolutivo egli è nudo - reagisce nella maniera più semplice per la sua logica morale, ovverosia sfruttando l’ambiente e quindi anche il prossimo a suo massimo beneficio. L’Io egoistico prenderà il sopravvento in qualsiasi decisione e costituirà il carattere prevalente dell’individuo nel corso di quella vita.
Ma come è possibile superare l’io egoistico?
Per secoli gli uomini, quando hanno pensato a questo problema sollecitati dalle grandi spiritualità, hanno creduto sufficiente comportarsi come degli altruisti per cancellare il proprio egoismo, e non hanno pensato invece che cambiando l’atteggiamento esteriore, la natura interiore rimane immutata. E perfettamente inutile che l’ambizioso si cosparga il capo di cenere, se non ha mutato la sua natura interiore: lo farà indubbiamente per meritarsi un posto preminente in una supposta vita spirituale.
Con ciò non si vuole intendere che imitare una moralità più alta non abbia utilità alcuna. Difatti, avere un comportamento più giusto, più retto nei confronti dei nostri simili ha una valenza importantissima nei confronti della società in cui viviamo; ma ben dobbiamo sapere che ciò non è sufficiente per indurci a cambiare. Dentro, nei momenti del bisogno, torniamo ad essere quelli di prima. Tuttavia, fare il proprio dovere verso il prossimo è necessario e fondamentale affinché la libertà del singolo non divenga egoistica prevaricazione e prepotenza verso il prossimo. È, diciamo, un primo passo.
Vedete, lo scopo della vita dell'uomo potete chiamarlo come volete, ma - in sostanza - significa una cosa sola: superare una visione egoistica dell’esistenza. Questo, in poche parole, lo scopo della vita dell’uomo. Allora, cosa fare? Di nuovo, occorre solo un po’ di costanza, e molta pazienza. È necessario cioè eseguire una sorta di auto-psicanalisi, come se nella vita di tutti i giorni fossimo continuamente davanti a uno specchio.
Dobbiamo fare attenzione agli stati d’animo, ai comportamenti, alle abitudini, alle reazioni soprattutto. Ancora una volta, dobbiamo essere tanto bravi nel giudicare noi stessi quanto lo siamo nel giudicare gli altri.
“Perché mi ha fatto questa domanda?”, “Per quale motivo ha avuto quella reazione?”. Le stesse domande adesso le dobbiamo porre a noi stessi, mantenendo lo stesso distacco emotivo e la stessa acuta sincerità di giudizio che abbiamo verso il prossimo.
Vediamo di fare un altro esempio: supponiamo che, analizzando noi stessi, scopriamo di essere degli arrivisti che non esitano a scavalcare il prossimo e soprattutto i nostri colleghi pur di raggiungere i nostri obiettivi al fine di valorizzare noi stessi ed essere “più” degli altri. Innanzitutto l’arrivismo, da un certo punto di vista, non è un difetto ma un pregio perché rende attivo l’individuo, è uno stimolo creativo che lo spinge a sperimentare cose sempre nuove.
Ma se l’arrivismo, come figurato nell’esempio, è creato sulla base dell’egoismo e quindi dannoso per gli altri, l’individuo diventa schiavo del suo ego e crudele nei confronti del prossimo. Allora l’arrivismo è un difetto che andrebbe troncato alla radice, e si giunge alla radice non comportandosi come dei non arrivisti, ma ponendosi fuori di quella concezione che vi conduce ad essere degli arrivisti.
Questo significa che non è negandoci e costringendoci a non essere arrivisti che miglioreremo il nostro intimo; è sicuramente un gesto lodevole nei confronti degli altri frenarci in quegli atteggiamenti egoistici che scopriamo di avere, ed è sicuramente un primo passo da compiere nella giusta direzione.
Ma dobbiamo anche comprendere che questo è il risultato di un atteggiamento solo esteriore; nel nostro intimo anche dopo quei gesti noi non saremo cambiati e sarà solo con la presa di coscienza che la felicità non sta nell’accumulare cose e ruoli o essere più degli altri che produrrà quel vero cambiamento della coscienza. Solo allora l’arrivismo, così come è stato configurato, non ci interesserà più.
In questo consiste il "conosci te stesso". Non è facile, tutt’altro. È un lavoro lungo, lungo un’intera vita.
L’alternativa, per noi, è lasciar fare tutto alla vita, forti della certezza che ci penserà essa stessa, con le sue esperienze più o meno dolorose, a ricondurci sulla strada prevista per la nostra evoluzione.
Data di Pubblicazione: 26 settembre 2019