SPIRITUALITÀ ED ESOTERISMO

Conversando con il Daimon, il nostro "Demone" custode

Daimon - Selene Calloni Williams - Speciale

Impara a guarire con i miti attraverso la visione immaginale e la comunicazione col tuo Daimon, leggendo l'anteprima del nuovo libro di Selene Calloni Williams.

Conversando con il Daimon, il nostro "Demone" custode

La voce del Daimon

Per adempiere alla missione della nostra anima, e dunque raggiungere la felicità, ci attende un cammino verso la conoscenza di noi stessi che deve avere inizio con la scoperta del nostro daimon, poiché senza la guida interiore la ricerca di sé rischia di essere vana.

Per connetterci con la voce del daimon dobbiamo silenziare il brusio del mondo, liberandoci dall’ossessiva voce della mente che pensa, analizza, calcola, riflette, giudicando e separando.

Zittire la mente è il solo modo per ascoltare il daimon. Il contatto con la natura, la meditazione e tutte le discipline spirituali e artistiche che ci liberano dall’ansia e dalla paura — di cui il discorso mentale si nutre — possono aiutarci a raggiungere lo stato di non-mente, che è la condizione in cui il daimon si ode chiaro e forte.

Il daimon non comunica attraverso le parole né per mezzo della mente: i suoi veicoli sono l'emozione, il cuore, la passione e l'immaginazione. Perciò, per agire in conformità con i precetti del daimon — che sono le leggi del cuore —, dobbiamo immaginare prima di pensare.

Ciò non significa non pensare, non giudicare, non analizzare e non riflettere, ma vuol dire farlo anche solo un attimo dopo aver immaginato sulla scia della passione, sull'onda dell’emozione. Allora il nostro pensiero non sarà più condizionato dai valori del mondo (che hanno come fine la nostra governabilità, misurabilità e prevedibilità), ma sarà un pensiero libero di creare, un pensiero che si definisce "immaginale", ovvero un pensiero che scaturisce da una mente poetica.

A me piace chiamare "mente poetica" il pensiero che è ispirato dal daimon e che proviene dalle profondità dell'essere, anziché dai modelli sociali che ci indirizzano verso una lettura utilitaristica delle cose, a seconda del vantaggio o dello svantaggio che ci procurano gli eventi. Si tratta di un pensiero che non giudica, ma include, che non analizza e non separa, ma unisce.

La mente poetica è una overmind, una "sovramente", è quel "pensiero del cuore" a cui hanno fatto riferimento, con diversi nomi, tanti grandi illuminati nel corso della storia, come lo yogin indiano Sri Aurobindo e lo psicoanalista americano James Hillman, per citare due esempi moderni: uno parte della cultura orientale e l’altro di quella occidentale.

 

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Il linguaggio del daimon

Nel raccontare il mito di Er, alla fine del dialogo "La Repubblica", Platone ci suggerisce l’idea che, prima di venire al mondo, ciascuno di noi ha la possibilità di scegliere una "grande imago", un disegno, che poi dovrà realizzare nel corso della vita.

Nel momento in cui entriamo nella matrice, nell’utero materno, noi però dimentichiamo la nostra scelta ed è compito del daimon, che, per tramite delle Moire, si unisce a noi prima della nostra nascita, di ricordarci la nostra grande immagine, il disegno della nostra vita, il perché siamo giunti sulla Terra.

Egli è dunque il custode del nostro destino, e ci sprona a esprimere i nostri talenti e le nostre virtù per raggiungere il vero Bene, che è Bellezza e Verità.

Possiamo quindi dire che il daimon, conoscendo la nostra missione, ci guida sussurrando incessantemente dalle profondità del nostro cuore per consentirne la realizzazione. Il daimon parla per immagini e il suo tono è poetico e mitico.

La psiche stessa, che rappresenta l’insieme delle energie e dei mezzi del daimon, ha una struttura poetica. Ecco perché, per intendere il daimon e il mito che stiamo mettendo sulla scena della vita, dobbiamo staccarci dalla mente dualistica-razionale e acquisire una mente poetica.

Il daimon è il depositario delle nostre inclinazioni e conosce gli strumenti che ci servono per sfruttarle. Esso fa sentire la sua voce fin da subito, persino nel modo in cui i nostri genitori ci hanno concepito, nel modo in cui siamo venuti al mondo, nei giochi della nostra infanzia, nei sogni onirici e nei nostri desideri e passioni.

Perciò dobbiamo prestare orecchio al linguaggio in cui si esprime, cercando di evocare ricordi, essere consapevoli anche dei desideri più reconditi, il che non significa tentare di realizzarli a tutti i costi, ma riconoscerli e sapere che sono dentro di noi.

 

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Per intendere la voce del daimon dobbiamo fare attenzione ai segni interiori ed esteriori, i secondi riflesso dei primi, senza giudicare, analizzare, riflettere. La buona riuscita è strettamente legata all’assenza di paura: più c'è ansia e senso di colpa, più si ha bisogno di giudicare, analizzare gli avvenimenti nel tentativo di misurarli, prevederli, controllarli.

Lasciarsi andare è il modo migliore per intuire il linguaggio del daimon. Il nostro spirito guida ci chiede una prova di fede e, se ci affidiamo, ci conduce impeccabilmente e infallibilmente verso la realizzazione della nostra missione, a volte persino senza sforzo, trasportandoci oltre ogni ostacolo.

Attraverso le piccole e grandi cose che ci accadono — un meraviglioso tramonto, un innamoramento, ma anche una malattia, un tradimento, il volo di un uccello che attraversa il nostro spazio visivo — possiamo sentire la sua voce.

Imparare a decifrare il linguaggio del daimon è come imparare a decifrare il linguaggio del mito. Il daimon ci appare sia come il narratore della nostra storia, sia come il nostro stesso destino. Infatti, il narratore e la narrazione coincidono, quando si tratta di pensiero mitico.

Ciascuno di noi mette sulla scena della vita un mito e ciascuno di noi si risolve, si riscatta, si libera quando "vede" il mito che sta vivendo e, iniziando a dialogare con il proprio daimon, si fa co-creatore del proprio destino, cessando di esserne vittima.

Noi siamo narrazione e il mondo è narrazione. Da ciò si comprende che ogni esperienza si è prodotta per la prima volta, attraverso la creazione dei miti, in un tempo mitologico, nel tempo degli dèi. Il mito ci consegna l'origine delle cose e, quindi, la conoscenza del mito ci fornisce la chiave del vero cambiamento, poiché risalendo all’origine delle cose ci è possibile trasformarle.

Chi conosce il linguaggio immaginale del mito è il padrone delle cose.

 

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Il linguaggio immaginale del mito

Dove umano e divino, conscio e inconscio, visibile e invisibile si incontrano, lì si trova la grande terra di mezzo. È in quel luogo liminale da cui tutta la creazione mitopoietica — ovvero la creazione del mito o la creazione attraverso il mito — prende avvio e le immagini, le possibilità dell’esistenza si esprimono.

Chi giunge in questo non-luogo è mago, poeta, sciamano e ha il potere di modificare le cose.

In Grecia si utilizzava la parola màgos fin dall'epoca classica e il termine arrivava dall’antica Persia nella quale i màgos erano gli specialisti del mondo spirituale: "È Erodoto a parlarcene per primo: i màgos, che formano una tribù o società segreta persiana, hanno la responsabilità dei sacrifici reali, dei riti funebri, della divinazione, e dell’interpretazione dei sogni. Senofonte li qualifica come “esperti” in “tutto ciò che concerne gli dèi”"?

Il mago, come il poeta, ha un potere creativo e trasmutativo perché, parlando con gli dèi, può raggiungere l’immaginale. Per conquistare la terra immaginale, il mago (ma anche ognuno di noi che decide di avventurarsi in questo non-luogo) deve lasciare andare le proprie credenze, deve decostruire, frantumare, ripulire, togliere e non aggiungere, demolire e non produrre.

Questa operazione può essere rischiosa se non accompagnata dalla metafora narrativa. La credenza mentale è il mostro, Medusa — una delle tre Gorgoni —, che dobbiamo affrontare.

Ma, come il mito di Perseo ci insegna, non è possibile sfidare Medusa guardandola in modo diretto poiché i suoi occhi pietrificano. Occorre uno strumento. Perseo ha utilizzato il proprio scudo come specchio per vedere il riflesso di Medusa e tagliarle la testa.

Questo specchio, come rivela Italo Calvino (si veda in proposito la "lezione americana" dal titolo "Leggerezza" nella quale, appunto, lo scrittore affronta il mito di Perseo), è proprio il simbolo della metafora narrativa.

 

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Perseo non uccide Medusa, in verità la libera dalla sua condizione infera, mostruosa. Infatti, dal collo mozzato di Medusa escono Pegaso, il cavallo alato, e il gigante Crisaore, i figli concepiti con Poseidone. Inoltre, secondo alcune versioni del mito, dal sangue di Medusa gocciolato nel mare nasce l’anfesibena, il mitico serpente a due teste, e da alcune alghe pietrificate dal suo sguardo ha origine il corallo.

Attraverso la narrazione del mito, dunque, è possibile esercitare un'operazione magico-sciamanica che ci consente di trasformare i "mostri" della nostra vita in strumenti di libertà e di forza. Perseo, dopo aver tagliato la testa di Medusa, riuscirà a sottrarsi all'ira delle sue sorelle proprio grazie a Pegaso.

Fuggirà dal mondo infero e donerà la testa mozzata della Gorgone ad Atena, la quale la porrà sul proprio scudo rendendo se stessa e la città di Atene invincibili.

Perseo è il prototipo del màgos: egli si sacrifica per amore di sua madre, Danae. Avendo compiuto il sacrificio di sé, essendosi recato nell’Ade, raggiunge infine Medusa e la trasmuta, liberandola dal suo ruolo infernale.

Leggere il mito in chiave immaginale significa rintracciare nel mito quel potere di stabilire ordinamenti sociali e regole di vita comune, che è tipico del mito, e simultaneamente, proprio grazie a questo stesso atto di consapevolezza, liberarsi dall’ipnosi che esercitano sugli inconsapevoli queste regole, norme e leggi umane.

In questo contesto si collocano le figure degli arconti: nella polis greca così si chiamavano i magistrati ma anche le leggi e quindi le potenze che danno le regole al cosmo e che, nello stesso tempo, soggiogano l’uomo proprio con tali regole.

La parola "arconti" deriva da arkhontes che contiene la radice arkho, che significa "comando, governo". Da notare che anche la parola "anarchia" ha la stessa radice, ma è preceduta dal prefisso an che vuol dire "senza". Ecco quindi che i due concetti nascono da un terreno comune come a dirci che il raggiungimento della consapevolezza dell’esistenza delle leggi universali diventa una forma di ribellione anarchica alle regole stesse.

 

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Che cos'è il mito?

Il mito narra l'origine delle cose, ci racconta della prima volta in cui qualcosa si è manifestato nel mondo. Esso ci parla di un tempo delle origini, che non deve essere considerato come un tempo passato, ma come un eterno presente. Il racconto del mito, infatti, porta con sé tutta la forza del potere creativo della poesia, che è anche poiesi, creazione dell'anima. Attraverso le narrazioni archetipiche, conosciamo una possibilità che può sempre realmente accadere.

Ascoltare o leggere il mito di Arianna e Minosse, per esempio, significa appropriarsi del codice per decifrare e risolvere l’esperienza del tradimento. Grazie a esso, comprendiamo il tradimento, sia quello compiuto sia quello subìto, e capiamo come attraversare l’esperienza in modo vincente.

Il mito di Antigone ci fornisce gli elementi per cogliere le ragioni profonde dei nostri fallimenti e del nostro vittimismo, in modo da superarle e non fallire più, non essere più vittime.

Il mito di Perseo ci dà la possibilità di partire da un rifiuto o da un abbandono e andare a conquistarci il superpotere dell’invisibilità.

La lettura del mito di Cassandra ci aiuta a vincere il dubbio, a vivere le esperienze fino in fondo, esorcizzando la paura tramite l'emozione.

Orfeo è il maestro che, attraverso il processo della separazione, ci conduce all’unione vera.

Leggere il mito di Medea in chiave immaginale vuole dire non sperimentare mai più la tristezza, o almeno non come un'emozione capace di renderci vittima e di schiacciarci. Nel mito di Medea ci sono gli strumenti per trasformare rabbia e tristezza in forze e potenti alleate.

Prometeo ci offre un grande sostegno per smettere di autoboicottarci e liberarci dai sensi di colpa.

La storia di Agamennone ci mostra da vicino gli effetti di una prospettiva patricentrica non mediata dall'anima, che viene sacrificata in nome del potere. Riconoscerli quando si presentano nel nostro mondo e nelle nostre vite è fondamentale per superarli.

Arianna, Antigone, Perseo, Cassandra, Orfeo, Medea, Prometeo, Agamennone sono gli otto miti contenuti in questo libro: leggerli è un viaggio per prendersi cura dell'anima.

Data di Pubblicazione: 17 maggio 2022

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