Un racconto autentico per capire come funziona questa paura senza nome e cosa succede davvero nel nostro corpo quando proviamo quei sintomi terribili.
Di cosa parlo quando parlo di ansia
Quando capita, per un motivo o per l’altro, di dire a qualcuno che soffro di ansia, spesso ottengo reazioni a metà tra l’imbarazzo e la diffidenza. Imbarazzo perché il disagio psicologico è ancora un tabù. C’è gente capace di raccontarti nei minimi dettagli della sua colonscopia, però di malattie mentali non si deve parlare. I matti sono una cosa a parte; non a caso in passato li abbiamo tenuti ben nascosti dietro i cancelli dei manicomi. La diffidenza, invece, penso che nasca perché in fondo l’ansia è uno stato d’animo comune, ed è difficile spiegare, a chi non l’ha mai provata, la differenza tra un’ansia normale e un’ansia patologica.
Molti pensano che sia un fatto di volontà e questa è davvero una cosa stupida. Come se io andassi da una persona a letto con l’influenza e dicessi: «Eh però potresti anche fare uno sforzo, secondo me non ti impegni abbastanza a guarire.» Succede anche per la depressione, i pregiudizi sono gli stessi. D’altra parte ansia e depressione sono sorelle, e comunque puoi stare sicuro che se soffri d’ansia per un periodo sufficientemente lungo, un po’ depresso lo diventi per forza.
Chi soffre di ansia, di depressione e di altri disturbi affini è un malato colpevole: la società tende a considerare i suoi problemi non come una malattia, ma come una debolezza del carattere. Bella fregatura. Non basta essere malati, finisci pure con il sentirti incapace, inadatto, inadeguato.
Che poi «debolezza del carattere» fa sorridere, perché, al contrario, per sopportare ogni giorno l’ansia e la depressione bisogna essere forti. Se chi non l’ha mai provato si trovasse anche solo per un giorno nei panni di un ansioso grave, credo che ne uscirebbe spaventato a morte.
Ogni giorno è un piccolo inferno. Le cose semplici diventano difficili, ogni problema, perfino quello più insignificante, si trasforma in un ostacolo insuperabile. Eppure, finché sai che non è niente, che è solo ansia, vai avanti e continui a funzionare normalmente (o almeno ci provi). Gli altri non si accorgono nemmeno di cosa hai, perché l’ansia da fuori non si vede. Magari sembri un po’ musona, o tetra, eccessivamente agitata in certe circostanze, ma nulla di più.
Da quando sono scivolata in questa situazione di ansia generalizzata ho avuto spesso la sensazione di essere racchiusa in una corazza. Trascorro gran parte delle mie giornate in uno stato di estremo allarme psico-fisico, ma poco o nulla trapela all’esterno. Sono chiusa in me stessa, oppressa da mille pensieri e preoccupazioni, isolata dal resto del mondo e incapace di trovare un varco che torni a mettermi in contatto con l’esterno.
La parola ansia viene dal latino anxietas, che a sua volta viene dal greco angh. Nella Grecia antica la parola angh era usata soprattutto per esprimere sensazioni fisiche di tensione, costrizione, disagio. Ed è proprio questa l’ansia, una roba che prima di tutto hai nel corpo. Certo, sentirsi ansiosi, in apprensione, preoccupati, fa riferimento a stati d’animo, emozioni e pensieri, ma il cuore della condizione d’ansia si manifesta prima di tutto nel corpo. Il male lo senti lì: nei muscoli, nel battito cardiaco, nello stomaco, nel respiro, nella gola.
Quali sensazioni?
Sono sensazioni che tutti proviamo di tanto in tanto: una stretta allo stomaco, una leggera accelerazione del battito cardiaco, la bocca secca, un po’ di nausea. La sera prima degli esami, quando aspetti l’esito di un’analisi dal dottore, quando devi affrontare una prova difficile, quando senti un rumore improvviso dietro di te nel buio. Tutti ci siamo sentiti così qualche volta.
Quando tutto funziona bene, un pochino di ansia è utile: ci aiuta a essere lucidi, ad affrontare le situazioni nel giusto stato di tensione per potere dare il meglio di noi. Poi, quando la situazione si risolve, anche l’ansia se ne va. Subentra una sensazione di rilassamento, il corpo e la mente si acquietano, la tensione si scioglie.
Non è così però per chi soffre di disturbi d’ansia: il meccanismo si inceppa, la tensione permane, il corpo resta in una condizione continua di allarme, senza riposo, senza tregua.
Le mie giornate da ansiosa cominciano tutte con un piccolo trauma: appena emergo dal sonno e si accendono i pensieri coscienti vengo sopraffatta dalla paura e dal disagio. Penso alla giornata che mi attende e la sento piena di oscure minacce, cose spaventose che si muovono nell’ombra e che io non ho il coraggio di affrontare. Ogni mattina mi serve sempre del tempo per diradare questa nebbia e dare ai miei pensieri una parvenza di ordine.
Appena faccio colazione mi viene la nausea. Mi lavo i denti combattendo contro i conati di vomito. Proprio un bel modo per cominciare la giornata. Poi ci sono le vertigini: una sensazione continua di instabilità e sbandamento. Cammini per strada e ti sembra di non riuscire ad andare dritto. Prendi un caffè con i colleghi, e mentre loro chiacchierano tu hai la chiara sensazione di essere sull’orlo di uno svenimento. Quindi sorridi a denti stretti e fai finta di seguire la conversazione, mentre dentro di te sei lì che preghi di non crollare a terra.
Anche la respirazione è compromessa. Sembra che tutto il tuo apparato respiratorio sia contratto, rattrappito, bloccato. I respiri si fermano a metà strada, come se i polmoni avessero perso la loro naturale elasticità.
E ancora, i formicolìi. C’è stato un periodo, l’anno scorso, in cui tutti i pomeriggi mi formicolavano i piedi e andava avanti finché non andavo a dormire. Al mattino passava e puntuale dopo pranzo tornava. Dopo qualche settimana avevo anche perso la sensibilità in alcuni punti delle piante dei piedi: sembrava ci fossero bolle di plastica al posto della pelle. Feci una visita neurologica e una risonanza magnetica, ma - manco a dirlo - non c’era assolutamente niente. Durò qualche mese e poi se ne andò così come era arrivato.
Poi i disturbi alla vista, il bisogno di andare a fare la pipì di continuo e la tachicardia. Spesso mi parte il cuore così, senza motivo, e le pulsazioni salgono sopra i cento anche se sono a riposo. Un pomeriggio la scorsa estate, dopo il lavoro, mi trascinai in farmacia per misurare la pressione, che credevo fosse bassa. La farmacista mi disse: «La pressione va bene, ma i battiti del cuore no, centoventi pulsazioni al minuto non è normale, ne dovrebbe parlare con il suo medico.»
Me ne andai senza dirle che negli ultimi due anni avevo fatto almeno quattro elettrocardiogrammi, di cui due sotto sforzo, ed era risultato tutto nella norma.
Sintomi reali
Alcune persone pensano che chi soffre d’ansia immagini i suoi sintomi, che se li inventi. Non è così: la tachicardia è reale, così come sono reali i problemi di digestione, i formicolìi, le mani fredde, la tensione muscolare continua. La forza di volontà o la debolezza del carattere c’entrano ben poco: non è qualcosa che si possa controllare o modificare con uno sforzo consapevole. Non puoi impedire al tuo cuore di battere troppo forte, alle mani di tremare, allo stomaco di rivoltarsi.
Ecco, soffrire di ansia è questa cosa qui. Hai un cervello che vive perennemente in allarme e che comanda al corpo di comportarsi di conseguenza. Vivi come se ci fosse una pistola puntata alla tua tempia.
C’è una metafora che secondo me rende bene l’idea. Pensa di tenere in mano un bicchiere d’acqua: quanto pesa? Forse tra i due e i trecento grammi, ma a ben vedere il peso oggettivo ha poca importanza, quello che conta è per quanto tempo lo devi tenere sollevato. Se è per un minuto, il bicchiere sarà leggero, non sentirai nemmeno lo sforzo. Ma se lo devi tenere in mano un’ora, allora diventerà più pesante e sentirai il braccio dolorante. E se lo tieni tutto il giorno? Sarà molto più pesante, al punto di sentire il braccio come paralizzato.
I disturbi d’ansia sono un po’ così. Attacchi di panico a parte, non c’è nulla di veramente insopportabile. Cosa vuoi che sia il cuore un po’ accelerato, il respiro corto, il formicolio o la nausea. Ma è così ogni minuto, ogni ora, ogni giorno, per settimane, mesi, anni. E diventa pesante, logorante, insostenibile. Sai che non è niente ma questo non impedisce ai sintomi di esistere e di rendere la tua vita un inferno. È un assedio: all’inizio ti barrichi dentro e verifichi di avere abbastanza riserve per resistere alia pressione. Ma se dura troppo a lungo arriva il momento in cui esaurisci le forze e semplicemente non ce la fai più.
Data di Pubblicazione: 21 dicembre 2018