Può l'amore di coppia renderci felici o infelici? Scoprilo leggendo l'anteprima del libro di Joan Garriga.
Vivere nell'amore
Nel corso della nostra vita, le corde che più intensamente vibrano nell’interiorità delle persone sono senza dubbio quelle dell’amore e del disamore, quelle della dipendenza e della perdita, quelle dei movimenti espansivi del cuore e dei suoi movimenti contrari. Ballando al suono dei suoi ritmi sentiamo pienezza o vuoto, un’enorme fortuna o il gelo del malessere e della sregolatezza. Siamo così: mammiferi, bisognosi e gregari.
Un desiderio non sempre completamente soddisfatto e persistente negli esseri umani è vivere l’amore con qualcuno di significativo o meglio con molti che siano significativi. Da bambini, i nostri genitori, fratelli e sorelle, zii e zie, nonni e altri parenti; da adulti, il nostro partner e i nostri figli, soprattutto. E naturalmente anche altri familiari, amici, soci, maestri, alunni, amanti, compagni per alcuni tratti di cammino... E' impossibile immaginare un castigo più grande, per un essere umano, di quello della solitudine e del disamore. Schopenhauer affermava che la più grande crudeltà e il più grande castigo concepibili per l'uomo sarebbero l’essere invisibile e immortale allo stesso tempo. Suona terribile e disumano.
Abbiamo bisogno di allontanare la tremula solitudine e vivere in comunità che per noi significhino qualcosa di importante, pertanto siamo sempre disposti a consegnarci al miracolo dell’incontro reale con un altro essere umano, a quella scintilla di vita nella quale l’altro si illumina e noi con lui; nella quale in qualche momento ci appartiene pienamente e in questo modo apparteniamo pienamente a noi stessi; nella quale si conquista il vero scambio tra dare e avere; nella quale, finalmente e per fortuna, il nostro cuore si apre e percepiamo l’esperienza di essere uno, la genuina intimità e il convertirci nel destino l'uno dell’altro. E così che spesso si forma una coppia e la si percepisce come felicità.
Cerchiamo l’unità, persa in qualche luogo della nostra mente da quando, ancora bambini, iniziammo a scomporre la realtà in piccoli pezzi di pensiero e a dar loro un nome, allontanandoci dall’essere puro ed essenziale che fummo e che ancora inseguiamo. E la cerchiamo, con o senza successo, nell’altro. Desideriamo ritrovare il silenzio interiore lasciandoci cadere nella nostra presenza reale e in quella dell’altro. Guardiamo costantemente gli occhi del “fratello eterno” per conquistare la pienezza della vita, come spiega il racconto omonimo di Stefan Zweig, a voler dire che nell’incontro reale e amoroso con l’altro riusciamo a riconoscere profondamente noi stessi: se io guardo te e vedo che anche tu sei me, qualcosa nell’essenza di noi stessi si calma. Pertanto, un ingrediente della felicità terrena che sicuramente possiamo sperimentare in questa vita giunge a noi attraverso il sentirci uniti, l’avere relazioni ricche, fertili, fraterne, cooperative e amorose.
Siamo onesti: sicuramente nessun ambito della vita è così pieno di aspettative e promesse come quello dell’amore di coppia (eccezion fatta, forse, per altri falsi grandi Graal come la ricchezza, il potere o l’affanno di popolarità) ed è probabile che sia così poiché gli attribuiamo la potenzialità di farci ritornare al paradiso perduto dell’unità originale con i genitori o di portarci alla terra promessa, piena di abbondanza, nella quale i nostri timori si dissolveranno e la nostra solitudine esistenziale diventerà meno fredda e abissale, o addirittura sparirà.
E senza dubbio l’amore di coppia ci dà qualcosa di quanto detto finora, ma può renderci felici o infelici?
La buona notizia: nessuno può renderti infelice
Il partner non ha la capacità di renderci infelici, nonostante in alcune occasioni sembri di sì, specialmente in momenti di dolore, perdita, discussioni, scontri o frustrazioni. In una relazione possiamo vivere un ampio ventaglio di sentimenti, tra i quali la sofferenza e il disamore, ma non dobbiamo esserne vittime, dal momento che il nostro percorso e il nostro destino rimangono sempre integri nelle nostre mani. Non è importante soltanto ciò che viviamo, ma la nostra attitudine rispetto a ciò che viviamo.
Questa è la buona notizia: nonostante i brutti momenti, in realtà nessuno ha il potere di renderti infelice dal momento che rimane sempre nelle tue mani la decisione di come vivrai le cose, il senso che darai loro, la possibilità di indirizzarle verso la positività e l’utilità. Prendiamo il famoso caso di Viktor Frankl, che ci mostra meglio di qualunque altro il senso del vivere anche nel peggiore degli incubi o, come nel suo caso, in un campo di concentramento. O quello di Nelson Mandela, che forgiò buona parte della propria integrità nell’impotenza della sua lunga reclusione e che può ben incarnare i versi del poeta William Ernest Henley: «Io sono il padrone del mio destino, sono il capitano della mia anima». O, più giocosamente, quello di Socrate, la cui moglie era famosa per il suo carattere ostinato; il filosofo era solito consigliare alla gente di sposarsi poiché se avesse funzionato si sarebbe ottenuta un po’ di felicità, e altrimenti sarebbe sempre rimasta l’opzione di diventare filosofo.
Non sembra è un buon affare far dipendere il nostro benessere dall’altro, cedendogli e allo stesso tempo imponendogli questo potere. La felicità dipende principalmente dalla nostra attitudine e dal nostro modo di stare di fronte a ciò che dobbiamo vivere. In particolare dipende dal riuscire, con il nostro atteggiamento, a non impiantarci sul vittimismo, il risentimento, la vendetta, la lamentela, l’edonismo, l’orgoglio, il timore, l’avarizia, l’affanno di popolarità, la ricchezza smisurata, la pigrizia spirituale, ecc. Ognuno di questi atteggiamenti è parte di un elenco di personaggi della commedia e della sofferenza umane.
La felicità dipende anche dal nostro rimanere nella nostra forza reale, che deriva dal riconoscere la nostra responsabilità, la nostra capacità di risposta in ogni momento. I poteri falsi portano inevitabilmente alla sofferenza e fanno soffrire gli altri. E più felice colui che agisce come un discepolo della realtà e dei fatti e ne approfitta per il proprio bene e per il bene della vita. È più felice colui che, invece di lamentarsi e soffrire con rassegnazione, prende posizione, orienta le proprie azioni, genera speranza e disegna un promettente futuro; in definitiva, colui che si converte in discepolo della realtà, non in vittima della stessa.
Quindi il partner non può renderci infelici in senso stretto, dal momento che la felicità è uno stato interiore che in ultima analisi dipende solo da se stessi e dal coltivare una coscienza più elevata, così come una conoscenza chiara di se stessi. Malgrado questo, spesso ci dimentichiamo di tutto ciò e pretendiamo che il partner si converta nel rimedio per tutti i nostri mali e per tutte le nostre carenze affettive. Ci deresponsabilizziamo, affidiamo il nostro destino a mani estranee e rinunciamo a una parte fondamentale della nostra libertà e del nostro essere. E non siamo coscienti del fatto che, pensando e agendo in questo modo, diamo all’altro un potere che non gli spetta e che può anche risultare un pesante fardello. Un potere che in ogni caso è una zavorra per la coppia.
La felicità è qualcos’altro
E conveniente accettare anche che la felicità non significa piacere né successo né assenza di dolore o di frustrazione. La felicità è qualcos’altro: una sintonia con l’aroma dell’essere essenziale e con la forza della vita, un "sì" incondizionato a tutte le sue dimensioni, un vivere conforme alle nostre predisposizioni e un tessere relazioni e legami ricchi e significativi con gli altri.
Quindi, se sappiamo che non possiamo chiedere la piena felicità al nostro partner, chi è che dentro di noi la reclama e si impegna nel trovare bisogni e argomentazioni infelici perché la realtà non assomiglia affatto ai suoi sogni? Chi scrive intensi drammi con brillanti, e allo stesso tempo fatali, argomentazioni? Be’, semplicemente il bambino che continua a vivere dentro di noi.
Se le parole di tante canzoni romantiche fossero il sensore in grado di dirci la verità sulle questioni chiave a livello emotivo nella coppia, il risultato sarebbe inequivocabile: il partner avrebbe il potere di vita e di morte e oltretutto sarebbe il solo senso della vita. Ad esempio, ascoltiamo strofe che dicono: «Non posso vivere senza di te», «Morirei se te ne andassi», «Senza di te, niente ha senso», «Non esiste altro inferno che stare in tua assenza», ecc. Se analizziamo con attenzione queste frasi, vedremo che possono provenire solamente da un bambino. Per un bambino potrebbero essere frasi reali, dal momento che nell’infanzia l’assenza della madre o del padre viene vissuta come un inferno. La sua dipendenza è così grande che, senza di loro, sente che non riuscirebbe a sopravvivere o che non avrebbe senso vivere: senza di loro potrebbe morire, letteralmente. Dunque il messaggio popolare che scaturisce da queste canzoni si riferisce all’amore di coppia nella sua versione infantile.
Come ho detto, siamo mammiferi e abbiamo bisogno del contatto e dello sguardo altrui per sentire che stiamo vivendo. E non si tratta solo di parole: durante la Seconda Guerra Mondiale è stato documentato che in alcuni orfanotrofi, in cui i bambini erano formalmente alimentati e curati ma mancavano di una persona significativa che li guardasse, li accarezzasse e stabilisse con loro un rapporto personale, i bambini si lasciavano morire. Fu denominato “marasma ospedaliero”. Come se, con la propria morte, i bambini manifestassero che la vita senza connessioni amorose significative non può trionfare sulla morte.
Quando si tratta di coppia, bisogna interrogarsi sulla qualità di questo amore: è possibile arrivare a impegnarsi realmente, profondamente e costruire benessere in una relazione portata avanti da due bambini? La coppia è una relazione materno-paterno/filiale o una relazione tra adulti? Cosa è legittimo è ragionevole chiedere e aspettarsi in una relazione di coppia e cosa no? Cosa spetta al bambino e cosa all’adulto?
Data di Pubblicazione: 6 maggio 2020