Anteprima del libro "La Creazione di Gesù e del Nuovo Testamento" di Giuseppe Verdi
L’evanescente Gesù
Intorno all’anno 30, dunque, sarebbe salito alla ribalta palestinese un uomo di circa trent’anni, nato a Betlemme, figlio di un falegname e di una giovane donna. Costui avrebbe iniziato a predicare con forza l’imminente regno di Dio, operando ogni sorta di miracoli e di guarigioni e lanciando un messaggio di pace e di fratellanza che avrebbe letteralmente conquistato le folle. La sua fama si sarebbe diffusa per l’intera Palestina in maniera così rapida da mettere alle corde le autorità religiose giudaiche, irritate da quell’uomo la cui impudenza arrivava al punto da autoproclamarsi figlio di Dio. Arrestato grazie al tradimento di uno dei suoi discepoli, Gesù sarebbe stato processato dal Sinedrio e, quantunque lo stesso Pilato non avesse trovato in lui alcuna colpa, le autorità locali avrebbero convinto il praefectus a farlo ugualmente condannare alla crocifissione. Agli occhi di chi crede in Gesù, tuttavia, quell’evento non era che l’inevitabile epilogo del disegno di Dio, che aveva pianificato l’invio di suo figlio tra gli uomini e il suo sacrificio finale, al preciso scopo di farsi carico non solo dei peccati del popolo eletto, ma addirittura dell’intero genere umano, in un’improvvisa quanto poco plausibile “universalizzazione” della religione giudaica.
L’atto finale di quella straordinaria vicenda sarebbe stata la resurrezione di Gesù, segno tangibile della sua vittoria sulla morte e, con essa, del potere salvifico del suo sacrificio.
Questa, per lo meno, la bella storia narrata dai vangeli. Ce, però, un pesantissimo interrogativo: come mai nessuno storico antico parla esplicitamente di Gesù? Come mai di Gesù nessuno conosce con esattezza la data di nascita, né ciò che egli fece negli anni dell’infanzia e della giovinezza, né, infine, in quale anno sia stato crocifisso? Come mai nessuno parla di lui, delle sue gesta e della sua resurrezione?
Tutto quello che sappiamo su di lui giunge dal Nuovo Testamento e in particolare dai vangeli, che, tuttavia, non essendo resoconti testimoniali diretti, quanto piuttosto strumenti di propaganda della nuova fede, si caratterizzano per una credibilità storica a dir poco discutibile, anche perché le contraddizioni tra l’uno e l’altro sono tante e tali da generare seri dubbi circa la veridicità dei fatti e dei personaggi descritti.
Al di fuori dei vangeli, non esiste alcun riscontro documentale o archeologico riguardante Gesù, sul quale la storia ci ha lasciato un fragoroso silenzio. Possibile che il figlio di Dio, trascinatore di folle e autore di prodigi di ogni sorta, sembri essere passato inosservato ai suoi contemporanei? Possibile che Gesù sia in realtà, come pensano alcuni studiosi, un mito? O, piuttosto, la vicenda che lo vide protagonista è stata successivamente distorta allo scopo di fare dell’uomo un dio incarnato?
Si è sempre trattato di un’autentica spina nel fianco della chiesa, che ha cercato in tutti i modi di minimizzare il problema. Eppure, chiunque si prenda la briga di documentarsi sulle fonti storiche del I secolo, alla ricerca di conferme dirette o indirette di quanto si legge nei vangeli, si ritrova di fronte all’assoluto silenzio su Gesù, Giuseppe e Maria, gli apostoli e chi, come san Paolo, sarebbe stato protagonista della diffusione della nuova fede. Sembra incredibile, eppure l’uomo più famoso di tutti i tempi non viene degnato di una parola dagli scrittori del I secolo e di quelli successivi, a dispetto del fatto che proprio quel periodo della storia - giudaica e non - è tra i meglio documentati e ricchi di testimonianze.
Com’è possibile? Stando ai vangeli, la fama di Gesù si era sparsa per tutta la Palestina; fiumi di gente accorrevano ad ascoltare i suoi sermoni; decine di malati erano stati guariti da lui; cosa più importante, il suo ascendente sul popolo era divenuto tale da far sì che le autorità percepissero quell’uomo come un pericolo per l’ordine pubblico, con la conseguenza che era stato addirittura processato e condannato a morte. Come se non bastasse, al momento del suo decesso avrebbero avuto luogo cataclismi straordinari (terremoti, eclissi, ecc.) e, infine, un paio di giorni dopo, Gesù sarebbe stato visto andarsene in giro vivo e vegeto. A dispetto di tutto questo, tuttavia, sembra proprio che nessuno abbia scritto una sola riga su di lui, nessuno abbia scolpito una sua statua, nessuno abbia coniato una moneta con la sua effigie. Le prime notizie sul suo conto, per di più, risalirebbero a non prima del 60-70, periodo al quale la chiesa fa risalire la composizione del più antico vangelo, quello di Marco, e che in ogni caso si collocherebbero a circa quarant’anni dopo la presunta morte e resurrezione. L’evidenza storico-documentale, in altre parole, appare talmente fragile da indurci a ritenere che il Gesù biblico non sia mai esistito.
Si badi bene, non stiamo dicendo che Gesù sia un personaggio di fantasia; stiamo affermando che il Gesù dei vangeli non è mai esistito: un concetto completamente diverso.
Il problema delle fonti
Un conto, dunque, è affermare che non è mai esistito Gesù, un altro è sostenere che non è mai esistito il Gesù dei vangeli. Questa seconda posizione sottintende infatti che Gesù sia stato un uomo in carne e ossa, ma che ciò che di lui raccontano i vangeli non è veritiero, o lo è solo in parte, o va interpretato secondo una diversa chiave di lettura; ed è proprio in questa direzione che si muove l’orientamento recente degli studiosi, la cui maggioranza propende per la realtà storica di Gesù.
Nulla, tuttavia, può far venire meno un dato di fatto incontestabile, vale a dire la divergenza tra quanto affermano le fonti cristiane e quanto emerge dalle fonti non cristiane dei primi secoli; di Gesù, infatti, si parla pressoché esclusivamente nelle prime, mentre le seconde ci forniscono solo vaghi accenni.
In termini molto semplici, dalle fonti non cristiane emerge ben poco che possa fornire elementi solidi in merito alla storicità del personaggio. Ne consegue che, paradossalmente, la presenza di ben quattro resoconti (o presunti tali) della missione terrena di Gesù, lungi dal puntellarne quella pretesa storicità, appare come una stonatura di fronte all’impressionante carenza di notizie coeve su di lui.
La storia, dunque, tace su Gesù o, quanto meno, appare estrema-mente disinteressata a lui. Possibile che l’evangelista Giovanni abbia esagerato, quando scrisse che, riguardo alla straordinaria vita del figlio di Dio, «il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere»?
Come mai, invece, non c’è ombra di quest’ipotetica messe letteraria? Su Gesù, infatti, tacciono le personalità e gli storici vissuti in quei tempi e che avrebbero dovuto certamente farvi cenno: Filone Alessandrino, Seneca il Giovane, Plinio il Vecchio, Caio Velleio Patercolo, Plutarco, Giusto di Tiberiade e molti altri, tra cui illustri nomi della storia e della letteratura del I e del II secolo. Per di più, restringendo l’analisi ai primi cento anni successivi alla presunta morte di Gesù, possiamo affermare senza tema di smentita che non esiste alcun testo degno di essere considerato testimonianza storica dell’esistenza di un uomo chiamato Gesù di Nazareth.
Qualche esempio sarà più che sufficiente a rendere l’idea di quanto affermiamo. Prendiamo, dunque, un paio dei (pochissimi) riferimenti di autori antichi - tutti romani - ai quali gli apologeti continuano a fare appello come prove della storicità di Gesù. Non sarà difficile dimostrarne l’assoluta inaffidabilità.
Un breve passo a volte tirato in ballo per dimostrare l’esistenza del Gesù storico proviene dallo storico Caio Svetonio Tranquillo (circa 70 - dopo il 120 d.C.), erudito e biografo latino autore delle celebri Vite dei Cesari, che raccoglie le biografie degli imperatori romani da Giulio Cesare a Domiziano. Il brano così recita: «Poiché i Giudei provocavano continui disordini su istigazione di un certo Cresto, [Claudio] li espulse da Roma».
Il passo in questione si riferisce al 54 d.C., l’ultimo anno di vita di Claudio. Viene pertanto spontaneo chiedersi che cosa ci facesse Gesù a Roma, circa vent’anni dopo la sua crocifissione, oltretutto a provocare sommosse. Ironia a parte, risulta evidente che quel Chrestus doveva essere qualche sovversivo giudeo che, nel 54, prese parte ai disordini sfociati nell’espulsione dei Giudei da Roma.
La storicità di Gesù
Un’altra presunta prova della storicità di Gesù è, secondo i cristiani, un passo di Plinio il Giovane. Nato nel 62 e morto intorno al 112 d.C., Plinio fu letterato e funzionario imperiale; ci ha lasciato un enorme Epistolario in dieci libri, l’ultimo dei quali contiene la corrispondenza ufficiale diretta all’imperatore Traiano quando Plinio ricopriva la carica di governatore di Ponto-Bitinia. Ebbene, in una delle lettere scritte a Traiano, Plinio gli chiedeva lumi circa il trattamento da adottare nei confronti dei cristiani:
«Ho stabilito questa regola nei casi in cui avevo a che fare con chi veniva condotto innanzi a me in quanto cristiano. Chiedevo se fossero davvero tali; se confessavano, glielo chiedevo una seconda e una terza volta, minacciando una punizione; se perseveravano, ordinavo che venissero giustiziati [...]. Essi mi assicuravano che il loro unico crimine o errore consisteva nell’abitudine di riunirsi un dato giorno prima dell’alba e cantare a turno un inno a Cristo, come a una divinità [...]. Considerai quindi necessario dapprima ricorrere alla tortura per ottenere la verità da due schiave che essi chiamavano diaconesse. Ma scoprii che si trattava solo di una superstizione negativa ed eccessiva [...]. I riti sacri che gli era stato concesso di ripudiare vengono di nuovo celebrati e la carne delle vittime sacrificali è in vendita dappertutto.. .».
Il passo rappresenta il primo, esplicito riferimento extrabiblico ai cristiani. Questo, tuttavia, significa ben poco, in quanto parlare dei cristiani e di ciò in cui essi credevano non prova nulla riguardo all’esistenza di Gesù; mille divinità antiche hanno avuto i loro seguaci, ma questo non implica necessariamente la loro storicità. In secondo luogo, un’attenta lettura dell’intera missiva rivela che Piinio non metteva sotto processo i cristiani in ragione delle loro convinzioni, ma solo perché aveva proibito le associazioni politiche, cosa di cui evidentemente essi erano sospettati. Lo scopo della lettera, inoltre, non era solo quello di informare l’imperatore di quanto stava accadendo con i cristiani, ma anche di chiedergli come comportarsi con i più testardi, quelli che non abiuravano e continuavano a seguire ciò che Plinio descrive come un diffuso “contagio”. La risposta di Traiano recitava come segue:
«Non è necessario che vengano ricercati; se vengono denunciati e riconosciuti colpevoli, devono essere puniti, con una riserva: che chiunque neghi di essere cristiano e ne fornisca le prove - per esempio venerando i nostri dèi —, anche se è stato sospettato in passato, otterrà il perdono grazie al suo pentimento».
Più che aggrapparsi a queste pseudo-testimonianze, i difensori della storicità di Gesù dovrebbero riflettere su ciò che alcuni scrittori non hanno detto riguardo a lui.
Di Gesù, ad esempio, sembra non sapere nulla il già citato Filone di Alessandria, suo contemporaneo, quantunque nelle sue opere non sia parco di notizie nemmeno su Pilato. Discorso analogo può essere fatto per Giusto di Tiberiade, contemporaneo e conterraneo di Gesù (dato che costui pare facesse sovente capolino a Tiberiade), autore di un’imponente Cronaca dei Re Giudei: ebbene, incredibile a dirsi, Giusto non spende una sola parola su Gesù; è vero, quest’opera ci è pervenuta in maniera solo frammentaria, ma nulla autorizza gli apologeti a sostenere che, nei libri perduti, certamente l’autore parlasse di Gesù; anzi, appare probabile il contrario, dato che, nel IX secolo, Fozio, patriarca di Costantinopoli, nel suo My-riobiblon vantava tra i suoi tanti volumi una copia dell’opera di Giusto e metteva in evidenza proprio l’imbarazzante silenzio del cronista giudeo riguardo a Gesù.
Questo testo è estratto dal libro "La Creazione di Gesù e del Nuovo Testamento".
Data di Pubblicazione: 2 febbraio 2018