SAGGI E RACCONTI

Crisi della Rappresentanza, Crisi della Democrazia

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Populismo - Anteprima del libro di Alain de Benoist

Crisi della Rappresentanza, Crisi della Democrazia

La democrazia è in crisi 

Democrazia di opinione? Democrazia televisiva? Democrazia di mercato? La democrazia è in crisi e le patologie che minano le democrazie contemporanee attirano sempre di più l'attenzione degli osservatori. L'opinione generale è che queste patologie, lungi dall'essere inerenti alla democrazia stessa, derivino da una corruzione dei suoi principi. Alcuni attribuiscono questa corruzione a fattori o fenomeni esterni, il che equivale a mettere in discussione esclusivamente l'evoluzione dei costumi e le trasformazioni della società. Altri pongono l'accento su fattori endogeni, per spiegare il divario più o meno pronunciato tra ciò che è divenuta la democrazia e ciò che dovrebbe essere rispetto ai suoi principi fondatori. Altri ancora non esitano a parlare di "post-democrazia", non per dire che la democrazia è giunta alla fine, ma per indicare che ha adottato da sé delle forme post-democratiche le quali debbono allora essere definite e analizzate. Alcuni suggeriscono che oggi siamo in una situazione simile a quella in cui era la Francia pochi anni prima della Rivoluzione. L'atmosfera più comune è quella dell'inquietudine e della disillusione.

La crisi attuale non è la prima che le democrazie europee hanno conosciuto. Marcel Gauchet ha pubblicato, a questo proposito, un vasto affresco (in quattro volumi), L'Avènement de la démocratie, di cui ha fornito un riassunto in una conferenza tenuta ad Angers nel giugno del 2006, anch'essa pubblicata in forma di pamphlet: La Démocratie d’une crise a l'autrea.

La prima crisi della democrazia si delinea in Francia a partire dal 1880 e si afferma con lo "choc del 1900", ma esplode davvero solo dopo la prima guerra mondiale per poi culminare negli anni Trenta del Novecento. In quell'epoca, scrive Gauchet,

«il regime parlamentare si rivela al contempo ingannevole e impotente; la società, travagliata dalla divisione del lavoro e dall'antagonismo delle classi, dà l'impressione di sfasciarsi; il cambiamento storico si generalizza e, contemporaneamente, si accelera, si amplifica, si sottrae ad ogni controllo».

Si entra nell'era delle masse, e la società è lacerata dalle lotte di classe. Le solidarietà organiche cominciano inoltre a disfarsi e le campagne a svuotarsi.

La conseguenza diretta di qvlesta crisi sarà, prima, l'ascesa di ideologie che puntano ad affidare il potere politico a "esperti" (pianismo, tecnocrazia); poi, e soprattutto, lo scatenarsi dei regimi totalitari, che si sforzeranno, come ha ben illustrato Louis Dumont (e in misura minore Claude Lefort), di compensare gli effetti dissolventi dell'individualismo e la destrutturazione culturale delle società con un olismo tanto artificiale quanto brutale, legato alla mobilitazione delle masse e all'instaurazione nella società globale di un regime da caserma, sullo sfondo dell'appello a nozioni prepolitiche come la "comunità razziale" o il "comuniSmo primitivo". In realtà, nota Gauchet, «essi tornano, o tentano di tornare, in un linguaggio laico, alla società religiosa, alla sua coerenza e alla convergenza delle sue parti». Ma i totalitarismi del XX secolo sono anche figli (illegittimi) della democratizzazione.

La fine della seconda guerra mondiale

La fine della seconda guerra mondiale segna il grande ritorno della democrazia liberale. In un primo momento, tuttavia, per evitare di ricadere nelle derive precedenti allo scatenarsi del conflitto, questa democrazia liberale indosserà gli abiti nuovi dello Stato sociale. Nel contesto del fordismo trionfante, si metterà in effetti in piedi un regime misto, che associ il classico Stato di diritto con elementi di essenza più democratica, ma in cui la democrazia sia percepita anzitutto come "democrazia sociale". Gauchet elenca alcune caratteristiche di quella "sintesi libe-raldemocratica": rivalutazione del potere esecutivo in seno al sistema rappresentativo; adozione di tutta una serie di riforme sociali tendenti a proteggere gli individui dalla malattia, dalla disoccupazione, dalla vecchiaia o dall'indigenza; infine, realizzazione di un apparato di regolazione e previsione in grado di porre rimedio all'anarchia provocata dal libero sviluppo degli scambi sui mercati. Questo sistema funzionerà pressoché normalmente sino alla fine del "Glorioso trentennio", ossia sino alla metà degli anni Settanta.

A partire dal periodo 1975-1980 appaiono nuove tendenze che ricreano le condizioni della crisi, ma di una crisi differente. La democrazia sociale, concepita come una società assicurativa o un'organizzazione di beneficenza, comincia a perdere colpi e il liberalismo puro riprende il sopravvento. La società civile, privilegiata senza più alcuna cautela, diventa il motore di una nuova fase dell'organizzazione autonoma della vita sociale. Il liberalismo economico ritorna prepotentemente, mentre il capitalismo si libera a poco a poco di tutti gli ostacoli che ancora lo intralciavano; processo che culminerà nella globalizzazione che subentrerà alla disgregazione del sistema sovietico. L'ideologia dei diritti dell'uomo, a lungo relegata in un ruolo simbolico o decorativo riservato alle venerabili astrazioni di un'altra epoca, si afferma a poco a poco come la religione dei tempi nuovi e, contemporaneamente, come cultura dei buoni sentimenti. Lo Stato-nazione, nello stesso tempo, si rivela sempre più impotente a fronteggiare delle sfide divenute planetarie e perde progressivamente tutti ì suoi "valori di maestà", mentre si assiste, in tutti i campi, a un massiccio rilancio del processo di individualizzazione, che si manifesta attraverso la scomparsa di fatto di tutti i grandi progetti collettivi fondatori di un "noi". Mentre in passato «si parlava solo di masse e di classi, e l'individuo era colto attraverso il suo gruppo, la società di massa è stata sovvertita dall interno da un individualismo di massa, che stacca l'individuo dalle sue appartenenze». È anche l'epoca della quasi scomparsa delle società rurali (in Francia, gli agricoltori rappresentano oggi solo poco più dell'1% dei nuclei familiari), una vera rivoluzione silenziosa i cui effetti profondi passeranno più o meno inosservati, e della generalizzazione delle società multietniche risultanti dall'immigrazione di massa.

Per comprendere questa evoluzione, bisogna capire bene cosa distingue la democrazia antica dalla democrazia moderna. La prima, già ispirata all'idea di un'auto-costituzione delle- comunità umane, può essere definita come la messa in forma politica dei mezzi dell'autonomia tramite la partecipazione dei cittadini agli affari pubblici. La democrazia moderna è mvece intrinsecamente legata alla modernità, ma lo è attraverso il liberalismo, che tende a snaturarla. La causa profonda della crisi è la lega contro natura della democrazia con il liberalismo, che Marcel Gauchet ha potuto presentare come la «dottrina stessa del mondo moderno». L'espressione "democrazia liberale" associa due termini posti come complementari, quando invece sono contraddittori. Questa antinomia, rivelandosi ormai pienamente, minaccia i fondamenti stessi della democrazia. «Il liberalismo mette la democrazia in crisi», dice ancora Gauchet. Molto giustamente, Chantal Mouffe ha osservato:

«Da un lato abbiamo la tradizione liberale costituita dal regno della legge, dalla difesa dei diritti dell'uomo e dal rispetto della libertà individuale; dall'altro, la tradizione democratica, le cui idee principali sono quelle dell uguaglianza, dell'identità tra governanti e governati e della sovranità popolare. Non c'è un'articolazione necessaria tra queste due tradizioni differenti, ma soltanto un'articolazione storica contingente».

Chi non vede questa distinzione non può comprendere niente dell'attuale crisi della democrazia, che è, puramente e semplicemente, una crisi sistemica di questa «articolazione storica contingente». Democrazia e liberalismo non sono affatto sinonimi. Su alcuni punti importanti sono persino nozioni opposte. Possono esserci democrazie non liberali (democrazie tout court) e forme di governo liberale che non hanno niente di rigorosamente democratico. Cari Schmitt arrivava fino al punto di affermare che una democrazia, più è liberale, meno è democratica.

La grande differenza della democrazia moderna

Rispetto alla democrazia antica, la grande differenza della democrazia moderna, così come si evince dai suoi principi messi a punto a partire dal 1750, sta nel fatto che si fonda non tanto sulla partecipazione dei cittadini agli affari pubblici quanto sul diritto universale degli individui, e d'altra parte essa non è nemmeno estranea, nella sua origine storica, all'ideologia del progresso. Il liberalismo porta a una confusione della politica con la morale e il diritto. L'ideologia del progresso conferisce alla dinamica democratica un orientamento, proiettandola costantemente in avanti nell'invenzione dell'avvenire. Il ribaltamento verso il futuro, dimensione storica ormai privilegiata, provoca una «completa riorganizzazione dell'ordinamento delle società». In particolare, porta a una «inversione di segno nei rapporti tra potere e società». La società, e non più il potere, è posta come sede della dinamica collettiva. Se ne deduce che il sistema politico deve garantire anzitutto la libertà degli individui, i quali sono i veri attori della storia. Non sono più, allora, le leggi a determinare i costumi, ma i costumi a modificare progressivamente le leggi.

Scrive Gauchet:

«Il potere, in questo quadro, non può più essere considerato la causa della società, l'istanza incaricata di farla esistere ordinandola [...]. Il potere va considerato come l'effetto della società. Non può che esserne il prodotto e non può avere altro ruolo che quello di compiere le missioni che essa gli impartisce. In breve, ha senso solo nel rappresentarla».

La democrazia, certo, è pur sempre classicamente definita come il regime politico che consacra il "potere del popolo", ma in realtà, divenuta liberale e puramente rappresentativa, non è altro che il regime politico che consacra l'ascesa dell'individualismo moderno e il primato della "società civile" sull'autorità politica.

A partire dalla fine degli anni Ottanta, che vedono anche l'emergere della postmodernità, l'avvento della "democrazia dei diritti dell'uomo" esprime una rinnovata influenza del liberalismo sulla democrazia. Questo fenomeno corrisponde a quello che Marcel Gauchet definisce il «capovolgimento della democrazia contro se stessa»:

«La nozione di Stato di diritto acquista in questa congiuntura un rilievo che supera di molto l'accezione tecnica in cui era stata relegata e tende a confondersi con l'idea stessa della democrazia, assimilata alla salva-guardia delle libertà private e al rispetto delle procedure che presiedono alla loro espressione pubblica. Significativamente, il senso spontaneo • della parola "democrazia" è cambiato [...]. Essa designava la potenza collettiva, la capacità di autogoverno, ma ormai rinvia solo alle libertà personali. Si ritiene che vada nel senso della democrazia tutto ciò che accresce il posto e il molo delle prerogative individuali. Una visione liberale della democrazia ha soppiantato la sua nozione classica. La pietra di paragone, in materia, non è più la sovranità del popolo, ma la sovranità dell'individuo, definita dalla possibilità ultima di mettere in scacco, se necessario, la potenza collettiva. Di qui, a poco a poco, la promozione del diritto democratico provoca l'inabilitazione politica della democrazia».

La democrazia implica l'esistenza di un soggetto democratico, nella fattispecie il cittadino. L'individuo atomizzato, quale lo concepisce la teoria liberale, non può essere in primo luogo un cittadino, perché è per definizione estraneo all'appartenenza che fonda il volervi vere in comune. I dottrinari liberali sostengono di difendere la libertà individuale ignorando al contempo l'esigenza di dominio collettivo inerente alla democrazia. Inoltre, la logica dei diritti dell'individuo è una logica dell'illimitato, perché è portata dalla «astrazione del diritto che non si arresta mai» (Gauchet). L'accento posto sulla sola libertà individuale proibisce di creare le condizioni della libertà collettiva nella misura in cui la prima si esercita a spese della seconda, provocando così una disunione sociale. Tocqueville pensava che la passione dell'uguaglianza minacciasse costantemente la libertà. Ha commesso Terrore di non vedere che, al contrario, anche la passione di una libertà astratta minaccia la democrazia. La democrazia procedurale si fonda sull'idea di una libertà senza potere, che non è altro che un ossimoro (il potere passa semplicemente altrove).

Questo testo è estratto dal libro "Populismo".

Data di Pubblicazione: 29 settembre 2017

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