Leggi l'anteprima del libro di Gabriele Policardo e scopri una delle leggi fondamentali dello spirito: quella che regola il dare-prendere.
Dare e prendere
«Il vero amore sta nel dare» c’insegnano fin da piccoli. Il senso è: «Tu intanto dai. Quando è il momento di prendere, poi si vedrà». Infatti, specialmente nei paesi di tradizione cattolica, viene insegnato che Cristo si incarnò per espiare i peccati del mondo e morire per tutti: non è indicato come un grande maestro d’amore, compassione, riconciliazione a cui ispirarsi, bensì come esempio da seguire alla lettera.
Così se tu dai e ti aspetti di ricevere, vieni accusato di non saper dare bene o di farlo con un interesse: sei un cattivo bambino che da grande diverrà un pessimo adulto. In parte è vero. In amore è detestabile stare lì con il metro a misurare. Il problema è: l’amore è nel dare, non solo per me, ma anche e soprattutto per la persona a cui do!
Se io do e non posso prendere, vuol dire che io non so o non voglio prendere, non mi sento in diritto di farlo, o l’altro non sa, non può o non vuole dare. Ciò costituisce un disordine nella relazione. Siamo di fatto un genitore e un figlio.
Molti genitori, inconsapevolmente, trasmettono questo disordine, appreso a loro volta dai propri genitori, ai figli: se danno loro, per primi cadono nell’equivoco di poter prendere a propria volta, iniziando così a dipendere dai figli e a trattarli come fornitori di energia. Questo creerà uno squilibrio ineluttabile nelle future relazioni dei figli e anche nel campo del loro lavoro.
Osservare le storie d’amore, le relazioni di ogni tipo e qualsiasi forma di rapporto in cui vi sia uno scambio di amore e di energia, ha permesso a studiosi come Bert Hellinger di comprendere che la Coscienza (intesa non nel senso classico, ma come campo superiore intelligente, interconnesso e transpersonale) ha delle leggi, che esistono e agiscono costantemente, non di rado contro la nostra volontà; talvolta sono all’opposto dell’idea che abbiamo di bene e male, di “buona” e “cattiva” coscienza, della nostra stessa comprensione: queste leggi vanno rispettate affinché l’intero sistema tenda verso l’armonia e il benessere accomuni tutti. Più ci opponiamo a esse e più l’armonia viene pregiudicata, maggiore sarà la sofferenza a cui esporremo noi stessi, le persone che amiamo e quanti verranno dopo di noi. Poiché, com’è facile osservare, sono in genere i piccoli a scontare le responsabilità e gli irrisolti dei grandi.
Una delle leggi fondamentali dello spirito è quella che regola il dare-prendere. Senza dubbio l’amore è nel dare. Ma se ciò è vero, altrettanto deve esserlo per la persona a cui diamo. Se io dono un mazzo di fiori con un sorriso a una persona che amo e lei ricambia il mio sentimento, il suo amore nel dare la porterà naturalmente a ricambiare, con una piccola aggiunta. Io, a mia volta, cercherò di fare di più; in questo modo il nostro amore - con due semplici mosse - è già cresciuto. Più che nel dare, quindi, dovremmo dire che il vero amore è nel darsi. E - con grande sorpresa - ci accorgiamo che la colpa è necessaria alla crescita, poiché l’aver ricevuto genera una pressione, un sentirsi in debito, che si allevia solo dando a propria volta. Perciò, quando c’è un disordine nel dare-prendere, la relazione è da subito minata alle fondamenta.
Infatti, se al mio mazzo di fiori la persona ricambia con qualcosa di meno o addirittura con nulla (per non dire con disprezzo, come accade talvolta) annullerà o sminuirà il dono ricevuto e io, a mia volta, sottrarrò qualcosa. In questa maniera, il rapporto si è già svuotato e non ha futuro. Qualunque cosa cerchiamo di farne!
Si tratta di dinamiche difficili da riconoscere quando si è protagonisti e all’interno della relazione, soprattutto con il trascorrere del tempo e il peso dei modelli familiari, quasi sempre contraddistinti da violazioni; inoltre, per riconoscere un disordine relazionale, è necessario un punto di vista esterno perché alcuni confini sono molto labili. È semplice osservare come molte relazioni abbiano dei momenti di crescita e decrescita che si alternano costantemente, portando a vere e proprie guerre di posizione e a conflitti snervanti.
Sono ricorrenti le storie in cui uno dà, l’altro prende e non restituisce nulla indietro. Il primo quindi alterna momenti in cui dà ad altri in cui si ferma, ad altri ancora in cui dà molto, molto di più, nella speranza di poter riavere qualcosa.
Ogni tentativo è vano: di solito, chi inizia a prendere e a non dare, finisce in una spirale dalla quale esce difficilmente. Perché l’amore che riceve lo stabilizza, lo impigrisce, lo cura, lo rende dipendente e, per effetto paradossale, più piccolo, pur costruendo in lui una falsa sicurezza. Fino a che non scapperà, sottraendosi alla relazione, sopraffatto dall’inadeguatezza a dare, oppresso da un senso di colpa divenuto insopportabile. E infatti più facile abbandonare una relazione in cui ci si sente inadeguati a dare, che cambiare.
Un dolce sforzo
Se osserviamo con sguardo attento, molte delle coppie che vediamo entrare in crisi all’inizio godevano di “ottima salute ”. Tutti o quasi tutti sono bravi, nei primi momenti di una relazione, a mostrarsi attenti, premurosi, accurati, affettuosi: presi dall’euforia della conquista, stregati dall’ebbrezza del nuovo amore e sedotti dal magnetismo dell’altro, alle prese con una nuova dimensione di sé; mettono in ombra i lati peggiori, superano la pigrizia, sopportano molti sforzi e si sacrificano, pur di accaparrarsi una nuova realtà, più appagante e felice. La magia purtroppo si dissolve presto e i due devono trovare altri presupposti e, più di ogni altra cosa, dei nuovi “sé" da esibire, da mettere in relazione con l’altro, nonché un progetto da costruire insieme. La transizione da un progetto "Io” a un progetto "Noi”, che richiede necessariamente delle rinunce e delle negoziazioni, costituisce il punto di frattura di tanti nuovi amori. Ci sono relazioni che spesso sopravvivono a questa crisi, ma in forma di qualcosa che non è un vero e proprio legame, bensì uno stare assieme, senza guardare nella stessa direzione, di frequente con molte distrazioni e senza una reale evoluzione.
In questo passaggio di crescita muoiono molti amori: i sentimenti e le idee non sono capaci - da sé - di costruire progetti. Occorre uno sforzo superiore. La volontà e l’impegno sono componenti fondamentali nel successo, in amore come nella vita. In più, quando una relazione si deteriora, di solito è perché hanno prevalso gli irretimenti e si sta ripetendo un destino già avvenuto nella storia familiare, o si è semplicemente in balìa di un compito assunto sulle proprie spalle, per la famiglia stessa, che impedisce di guardare alla propria strada.
Cosa si può fare in questo caso? A parte tentare un approccio d’aiuto sistemico, come una costellazione spirituale o un’analisi del copione o ancora uno studio attraverso la psicogenealogia, è possibile tener presente che una parte del destino è sempre nelle nostre mani. E sta a noi salvaguardare la salute di una relazione, facendo, giorno dopo giorno, un dolce sforzo perché ciascun partner rispetti l’altro e si ponga al suo servizio.
Questo dolce sforzo nel dare e prendere non va però confuso con la pratica di dare al solo scopo di ricevere qualcosa in cambio. In quest’ultimo caso l’attitudine è diversa: si dà ponendo l’altro sotto esame. Si dà per pretendere, con attaccamento, non con amore. Di solito è un modo di dare infantile, nella chiusura del cuore e non nell’apertura.
Capire che tipo di attitudine muove il nostro dare è semplice: se il nostro dare crea espansione nel cuore, è con amore. Se causa rabbia, contrazione, dolore, è con attaccamento.
Prendere e dare sono come i due piatti di una bilancia. Quando prendete, dovete dare per ristabilire l’equilibrio; e anche se non prendete, dovete comunque dare. Perché? Perché in tal modo date origine a un movimento e ricevete qualcosa in cambio. Ma iniziate almeno imparando a dare quando avete preso: sarà già un progresso. Rivedete le vostre relazioni con gli esseri che vi circondano, esaminate molto sinceramente il modo in cui vi comportate con i vostri genitori, i vostri figli, i vostri amici, la società, ma anche con la natura, e infine con Dio. Vedrete che avete preso una quantità di cose dalle creature visibili e invisibili, senza però preoccuparvi di restituire alcunché. Dunque, avete dei debiti. Ebbene, sappiate che è per pagare tutti questi debiti che ci si reincarna. Tutti, senza eccezione, abbiamo un karma da pagare. Che si tratti di un karma individuale o collettivo, poco importa. Vi sono karma personali così come vi sono karma sociali, nazionali e di razza, ma non è tanto necessario farsi domande: occorre pagare i propri debiti, tutto qui, poiché questa è la giustizia. E quando sentite pronunciare la parola «giustizia», tutto il vostro essere deve fremere al pensiero che questa parola contenga i segreti dell’equilibrio cosmico.
Colpa e rabbia: i guardiani della relazione
Come scrive saggiamente Aivanhov, esiste sempre un prezzo da pagare. Più alto è il prezzo, maggiore è il valore del bene che si conquista. Tutti vorrebbero una relazione di successo, un grande amore, una storia da fiaba, un lieto fine: ma quanti sono davvero disposti a pagarne il prezzo? Una relazione che riesce è un capolavoro dell’architettura sistemica. Due famiglie, con due coscienze diverse, talvolta persino in opposizione, che si congiungono attraverso due loro membri. Non riflettiamo mai su quale miracolo sia, in effetti, la fusione tra due coscienze familiari, nella riuscita di un legame che funzioni.
Perciò è facile cadere in una violazione e tanti fanno in modo che il prezzo di questo successo lo paghi qualcun altro per loro: creano così legami in cui chi paga il prezzo entra nella rabbia, esponendo l’altro a un senso di colpa che cresce e si radica nel tempo.
Rabbia e colpa, infatti, sono sentimenti guardiani della relazione e dell’equilibrio dare-prendere.
Se do più di quanto prendo, entro nella rabbia. Se prendo più di quanto do, entro nella colpa. Questa non è una norma morale, sociale o comportamentale: è una legge fisica dell’universo. Chi dà senza ricevere, presto o tardi percepirà una frustrazione crescente; chi prende senza dare, spesso si rende intollerabile e fa di tutto perché la relazione finisca.
Un’eccessiva gelosia, ad esempio, è il segnale di questo desiderio inconscio di porre fine alla relazione, perché si sta prendendo troppo.
Come si può facilmente osservare nel rapporto tra madre e figlio (e in particolare tra madre e figlia), finché la madre dà, il figlio è sereno e felice. Ma quando lei smette di dare e inizia a prelevare, il figlio si sente privato del proprio diritto naturale, obbligato a diventare più grande; per amore della mamma si sforza con tutto il proprio cuore di dare - non di rado, fino all’estremo sacrificio: «Mi ammalo per te, muoio per te» - e la rabbia inizia a manifestarsi come forza al servizio dell’ordine e dell’armonia.
La madre, inconsciamente, si sente in colpa. Tuttavia, la comodità della situazione può farle accantonare la colpa e formalizzare questo sbilanciamento. Il tempo non farà che peggiorare le cose. Negli anni, per lei sarà sempre più difficile rimettere le cose a posto e per il figlio sempre più dura farsi strada nella vita, nel lavoro e nell’amore, mentre si trova in conflitto con la propria mamma. Un conflitto che poggia sulle colonne dell'amore.
Anche il papà, che dovrebbe in natura condurre i figli nel mondo, può interferire con il loro processo di crescita e, ad esempio, decidere di mantenerli economicamente e tenerli sotto questa dipendenza. In tal modo li mantiene sempre bambini e impedisce loro di farsi strada nel mondo. Per molti ragazzi questa gabbia d’oro sembra allettante, ma prima o poi si rivela una prigione insopportabile.
La colpa può avere anche altre cause. Quando una donna è fortemente colpevole, c’è una causa reale a monte, ad esempio l’interruzione di una gravidanza.
Qui si manifestano sia la colpa, sia quella disconnessione dalla realtà che i bambini interpretano come un abbandono materno, come il segnale che è necessario mettersi da parte e occuparsi con amore della mamma. Nel linguaggio delle costellazioni familiari si dice che «la mamma guarda al figlio abortito e desidera ricongiungersi». I figli in vita, di fronte a questa madre depressa, vorranno salvarla, mettendosi da parte, sacrificandosi in prima persona. Questa decisione intima, presa quasi sempre nei primi anni di vita, configura un copione relazionale disastroso.
Torniamo al discorso del valore. Un figlio che si trova in simili condizioni, che valore attribuirà a sé? Crederà fermamente di non valere niente. Di non meritare l’amore, l’attenzione, le premure; dunque anche l’affetto, il denaro, il riconoscimento e in fin dei conti anche la stima e l'amicizia. Similmente, non riconoscerà un valore al proprio amore e ne darà a dismisura, credendo non sia mai abbastanza.
Si sceglierà amicizie vittimistiche, persone che si lamentano e gli scaricano addosso i propri drammi e frustrazioni. Avrà un partner infantile, possessivo, geloso e discontinuo, che prenderà molto e darà poco. Infine, si accontenterà di un lavoro che esprima pochissimo o nulla della sua anima, "terapizzando” colleghi e spesso anche superiori: sarà retribuito per una minima parte rispetto a quel che dà e all'impegno che profonde. Per questo finirà con l’alienarsi, per dei motivi che sono stati spiegati molto bene da Karl Marx nella sua opera Il Capitale.
Nel caso della donna, sarà condotta a contattare gli altri solo come madre, a crearsi un mondo di bambini intorno: lamentosi, egoisti, vittime. Colpevoli, in misura proporzionale alla sua rabbia, di non saper dare. Di tutto ciò, forse, lei stessa si farà una colpa. Perciò è piuttosto difficile uscire da simili meccanismi senza uno sguardo esterno, senza l'aiuto di qualcuno al di fuori di questo sistema.
In primo luogo, sarà necessario che lei ritorni piccola nei confronti della madre e faccia pace con lei. «Cara mamma, sono io quella piccola qui!» Poi potrà circondarsi di persone con cui scambiare energia, sentimenti e condivisioni a un livello più alto.
Infine, le sarà possibile liberare i figli dalla ripetizione di un simile destino.
Data di Pubblicazione: 26 ottobre 2018