Scopri l'utilizzo dell'immaginazione per attingere all'intelligenza che incomincia dove la mente finisce leggendo l'estratto del libro di Igor Sibaldi.
Due Maestri
I due Maestri di cui narro in questo libro, e che mi hanno aiutato a scriverlo, sono un prodotto della mia immaginazione.
Non che li abbia inventati. L'immaginazione e l'invenzione sono due attività diverse: ci si può inventare qualsiasi cosa; immaginare, invece, è dare forme provvisorie a qualcosa che percepiamo ma che la nostra mente razionale non riesce ancora a spiegare.
Forse i miei due Maestri sono forme che do a quella nostra intelligenza che incomincia dove la mente finisce, e da cui ci vengono le buone idee. Tutti sanno che quell'intelligenza esiste (chi non ha mai avuto un'ispirazione?), ma nessuno è ancora riuscito a capire dove sia. È in noi, nel nostro cervello? O è intorno a noi, da qualche parte, magari in un'altra dimensione? Secondo me si trova nel nostro futuro, sa ciò che sapremo tra molto tempo, e possiamo riceverne informazioni attraverso un qualche varco spazio-temporale che ancora non capiamo; ma non posso dimostrarlo, e quindi ammetto volentieri che anche questa mia ipotesi sia soltanto immaginaria, proprio come i miei Maestri.
Quello che conta è il risultato: in genere, l'intelligenza extramentale non si può contattare a proprio piacimento, e può facilmente succedere che le buone idee non ci arrivino quando ne avremmo bisogno ma quando meno ce le aspetteremmo; invece i Miei (li chiamo così, i Maestri) sono sempre disponibili. Tanti altri autori, da millenni, sostengono di aver avuto conversazioni simili a quelle che descrivo nelle prossime pagine, e a tutti risulta lo stesso che a me: ai Maestri immaginari basta chiedere, fiduciosamente, come bambini, e le risposte arrivano subito, chiare, profonde, e sempre diverse da quelle che uno si aspetterebbe. Bisogna solo essere svelti ad annotarsele, perché in pochi istanti svaniscono, come il ricordo dei sogni. È una bella emozione imparare qualcosa a questo modo, quasi nell'atto stesso di scriverlo.
Immagino le obiezioni di chi non abbia mai sentito parlare di tale metodo di scoperta: di chi, cioè, non si sia accorto che Virgilio e Beatrice sono due Maestri con cui Dante conversa in tutta la Divina Commedia, e che Mosè ed Elia sono i Maestri di Gesù nell'episodio della Trasfigurazione ("Ecco, due uomini venivano a parlare con lui: erano Mosè ed Elia", Luca 9,30) e via dicendo. L'obiezione principale sarebbe la seguente: "Chi mi garantisce che quelli che io potrei immaginare siano veramente Maestri con la maiuscola, e non qualcos'altro?". Risposta: nessuno. Qualsiasi risposta ottenuta con l'immaginazione va poi valutata. Se è chiara, profonda e sorprendente, la si prenda in considerazione. Altrimenti no. È il criterio che ho seguito anche in questo libro.
Di certo non è un metodo che possano approvare gli esperti degli argomenti a cui questo libro è dedicato: la psicologia delle religioni, la cosmologia antica, la Qabbalah ebraica e cristiana vengono studiate oggi in modo rigorosamente razionale, come se si trattasse di storia, filosofia o matematica. Ma Dio e gli Angeli sono stati scoperti grazie a ciò che qui chiamo immaginazione, e sono convinto che solo immaginando si possa scoprirne qualcosa di più, qualcosa che fino a poco fa non saremmo riusciti a pensare - o, almeno, non ci sarei riuscito io, con la mia mente soltanto e con ciò che ho imparato da maestri realmente esistiti.
Dialogo
Ma Dio com'è incominciato?, chiedo ai Miei, e scrivo quello che mi dicono.
«Hai idea del perché vuoi saperlo?» mi chiede il più giovane dei due, che sembra un intagliatore al lavoro.
No. È solo una curiosità che ho da tanto tempo.
«Ah, bene. Quando sai perché ci chiedi qualcosa, vuol dire che non stai facendo la domanda giusta.» E mi immagino l'Intagliatore che soffia via qualche truciolo.
«Gli Dei incominciano da ciò che non riuscite a risolvere» dice l'altro mio interlocutore immaginario, il Fiume. Lo chiamo così perché quando parla ho sempre l'impressione che scorra, largo, da lontano, e porti lontano. «E gli Dei sono il modo migliore di usare i vostri grandi problemi irrisolti.»
In che senso: "usare i problemi"?
«Se non riuscite a risolvere un problema è perché è più forte di voi. E gli antichi si erano accorti che la cosa giusta da fare con una forza superiore è onorarla e chiederle aiuto. Allora, più grande è, meglio è.»
E come può un problema aiutare qualcuno?
«Va trattato nel modo giusto» continua il Fiume. «Innanzitutto, bisogna accorgersi di un problema molto grande, e questa è una cosa che succede di rado: ai problemi molto grandi ci si abitua in fretta, e la gente li prende come fatti normali. Per esempio, l'aggressività. O l'innamoramento. I più sanno che capita a tutti di essere aggressivi, o di innamorarsi, e non ci trovano niente di strano. Ma a un certo punto qualcuno intuisce che sono fenomeni incomprensibili. Perché ci si innamora? Perché impulsi omicidi sconvolgono interi popoli e poi passano? Ancora oggi nessuno lo sa, vero?»
Vero.
«Una volta trovato il grande problema che nessuno sa risolvere, lo si personifica. È un'arte. Si immagina il volto del problema, la sua personalità, gli si dà un nome: l'aggressività diventa Ares, l'innamoramento diventa Afrodite. Poi lo si colloca lontano, generalmente in alto, ma non tanto da non poterlo raggiungere con la preghiera. E lo si prega: tu che sei tanto grande, dammi una mano in tutti i guai che mi causi. Per esempio: Afrodite, aiutami a far innamorare le persone di cui mi innamoro. Ares, aiutami quando mi aggrediscono o quando devo aggredire. Eccetera. E spesso funziona.»
Costruirsi un proprio Dio
Quindi ognuno potrebbe costruirsi il proprio Dio?
«Non è impossibile» risponde il Fiume «ma è raro che uno trovi grandi problemi non ancora personificati.»
Il Dio cristiano da che problema viene?
«È la personificazione del potere maschile, dato che lo si chiama: il Signore, non: la Signora. E siccome il potere maschile è stato ed è il più grande problema di alcune civiltà, queste civiltà non hanno altri Dei all'infuori di lui.»
«Tra le religioni c'è questa gara a chi trova il problema più grande» dice l'Intagliatore. «È perché il Dio-problema più grande fa sparire gli altri Dei-problemi. Li ingloba. Ogni religione non vede l'ora di prevalere sulle altre.»
E se uno non ha nessun Dio?
«Ci rimette molto» risponde il Fiume. «Avere un Dio è disporre di un sistema energetico. È come un'enorme pila: polo negativo e polo positivo; i devoti di un Dio diventano un polo, il Dio è l'altro polo, e la preghiera è il filo conduttore. Nella preghiera si innestano le richieste, come la lampadina sul filo. E quando l'energia del sistema le attraversa, le richieste si illuminano, come il tungsteno nelle lampadine. Prima erano oscure resistenze, poi si accendono e ti permettono di vedere più in là.»
Non è quello che succede anche quando parlo con voi?
«Non proprio. Siamo anche noi personificazioni costruite da te, ma non siamo Dei, perché i tuoi problemi non sono ancora abbastanza grandi, e noi te li risolviamo, e spariscono.»
Ma i grandi problemi divinizzati, non possiamo risolvere anche quelli?
«Se chiedi» risponde l'Intagliatore.
Ridono. Negli istanti in cui ridono non li vedo più, diventano come due stati d'animo: ed è allora che mi sembrano più reali, perché li sento senza doverli immaginare.
Perché ridete?
«Perché è esattamente quello che farai tra un po': risolvere Dei-problemi.»
Ma se uno li risolve, il loro sistema energetico si perde: il polo superiore sparisce e quel Dio-problema non c'è più?
«Sì» risponde l'Intagliatore. «Si raggiunge il polo superiore, come diceva il famoso serpente. Ma poi si forma un altro polo più su, e così via.»
Così vìa all'infinito?
«No. I problemi non sono infiniti. Vedrai.»
Data di Pubblicazione: 22 febbraio 2021